Dall’idea della Liquid History alle tendenze future dettate dal passato

Facciamo un salto indietro nel tempo: siamo a Maiori, sulla costiera Amalfitana, in pieno boom economico. Un ragazzino di 11 anni comincia a lavorare presso l’Hotel Reginna, spedito dal padre a farsi le ossa invece che bighellonare per strada. Trascorre qualche decennio e Salvatore Calabrese, questo il nome del ragazzino, si trasferisce a Londra, conquista sul campo l’appellativo The Maestro e diventa uno dei bartender più influenti al mondo.

Nel corso della sua lunga carriera ha servito musicisti del calibro di Mick Jagger, Elton John, Ron Wood e Stevie Wonder, ma anche attori come Steve Carell, Jude Law, Kevin Spacey e John Malkovich, cui si aggiungono le teste coronate (Elisabetta II d’Inghilterra), i piloti (Michael Schumacher), gli stilisti (Tommy Hilfiger), i capi di stato (George Bush senior) e i premi Pulitzer (Stanton Delaplane).

Ha vinto una ventina di riconoscimenti e pubblicato una decina di libri, il primo dei quali, Classic Cocktails, ha sfiorato il milione di copie vendute. Ed è richiestissimo come membro di giurie chiamate a esprimersi sui bartender del futuro: l’ultima sua esperienza risale alla finale della Campari Barman Competition tenutasi il 14 gennaio 2016. Ed è in quest’occasione che lo intervistiamo.

Una delle prime cose che dice è confermare il ritorno in auge del mezcal («specialmente nei cocktail, per via delle note affumicate») e l’affermazione ormai stabile del rye whiskey – quanto meno nei principali circuiti internazionali, perché l’Italia è un po’ più indietro. Poi, certo, in entrambi i casi sono ritorni all’insegna di una maggiore pulizia: «C’è una netta differenza fra un rye vecchio di 100 anni e quello che viene fatto oggi, più coltivato ed elegante, meno grezzo rispetto al passato. E lo stesso discorso vale per il mezcal».

Questa competenza storica è facile da capire: nel locale londinese che porta il suo nome, Salvatore Calabrese colleziona bottiglie d’annata: «Ad esempio il rye più vecchio che ho risale al 1860, poi ne ho uno del 1893, del 1911, 1913, 1917 eccetera».

Il collezionismo è legato a una delle sue intuizioni più famose, la cosiddetta Liquid History. Si tratta di recuperare bottiglie legate a un particolare anniversario, come ad esempio il suo Cognac del 1844, anno in cui apre la prima linea telegrafica fra Baltimora e Washington. Ma si tratta anche di «realizzare cocktail classici utilizzando non gli ingredienti che si trovano adesso ma quelli dell’epoca in cui la ricetta venne perfezionata».

Nasce così l’idea del cocktail più ‘antico’ al mondo, e incidentalmente anche il più costoso (circa 5.500 sterline a bicchiere). I liquori combinati insieme raggiungono complessivamente 730 anni d’età: cognac Clos de Griffer Vieux del 1788, curacao Dubb Orange della fine degli 60 dell’Ottocento, Kummel del 1770 e Angostura Bitter del 1915.

E se dipendesse solo dal Maestro, il futuro dei cocktail sarebbe all’insegna del passato: «Cerco di recuperare ciò che abbiamo perduto, i sapori che non abbiamo mai assaggiato e al di là delle bottiglie antiche faccio anche pressione sui distillatori affinché tornino a produrre liquori di un tempo. Insieme ad alcuni colleghi abbiamo ad esempio riportato in auge l’assenzio e l’Old Tom Gin». E visto che ne parla Salvatore Calabrese, c’è da scommettere che anche questi due ultimi ingredienti compariranno sempre più frequentemente sui banconi dei cocktail bar italiani.