Sottrarre per diventare più sostenibili a tavola, l’impegno di Stefano Sforza
Courtesy Opera, credits Giulia Nutricati

Sottrarre per diventare più sostenibili a tavola, l’impegno di Stefano Sforza

di Penelope Vaglini

Lo chef del Ristorante torinese Opera Ingegno e Creatività ha eliminato completamente alcuni ingredienti dal suo menu per essere più sostenibile. Un processo di sottrazione che avviene anche nel piatto, per privilegiare il gusto ed esaltare in modo più naturale i sapori di ogni singola materia prima.

Un anno e mezzo di chiusure e aperture, servizi a ritmo sincopato tra l’incertezza e la voglia di ricominciare, hanno segnato anche un momento di profonda riflessione. Gli stop forzati hanno permesso a molti di compiere una profonda analisi dei propri metodi e obiettivi, sia professionali che personali, talvolta innescando una sana voglia di cambiare e migliorarsi. Anche Stefano Sforza, chef di Opera Ingegno e Creatività, ha fatto un passo oltre, acquisendo nuove consapevolezze su come il cuoco, oggi, possa vestire il ruolo chiave di ambasciatore della sostenibilità. Per sensibilizzare il pubblico sull’importanza di compiere scelte etiche in cucina, rispettando gli ecosistemi e valorizzando al meglio ciò che la natura e le stagioni offrono. Così è nato un percorso di riduzione di ingredienti che, per scarsità o metodi produttivi poco etici, non rendevano sostenibile la carta del ristorante. Con il supporto di Antonio Cometto, proprietario dell’insegna torinese, Sforza ha iniziato a rimuovere elementi e creare piatti impattanti e innovativi, senza minimamente tralasciare il gusto. Ecco il suo racconto in questa intervista per Icon.

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Courtesy Opera, credits Giulia Nutricati

Come nasce la svolta etica e sostenibile di Opera Ingegno e Creatività?

Si tratta di un pensiero. Devi averlo dentro e sentirlo. Non è un lavoro che fai meramente per apparire, ma per migliorarti costantemente, anche al di fuori del ristorante. La cucina di Opera è il tramite del mio pensiero e, quando il cliente lo percepisce attraverso i piatti e il racconto dei ragazzi in sala, torna a casa con un valore aggiunto, che va oltre l’esperienza a tavola. Una volta fatta luce sull’importanza della sostenibilità in cucina e di come un singolo ingrediente possa fare la differenza per l’ecosistema, rinunciarvi in favore di altre materie prime gustose, sane ed eticamente più sostenibili, non rappresenta uno sforzo, ma si rivela un’opportunità.

C’è qualcuno che ha ispirato questo pensiero, spingendoti a tradurlo in azioni concrete attraverso il lavoro da Opera?

L’incontro con Lisa Casali e Franco Aliberti è stato molto interessante. Attraverso i loro racconti ho riflettuto su alcuni ingredienti che utilizzavo in cucina e di cui non conoscevo appieno l’impatto ambientale. Per esempio l’anguilla, inserita dall’IUCN – International Union for Conservation of Nature – tra le specie in via di estinzione, di cui a oggi non esistono forme di allevamento sostenibile. Oppure la rana pescatrice, molto vulnerabile alla sovrapesca. Da lì, l’idea di cambiare che già mi passava per la testa, è diventata realtà. Senza stravolgere il mio pensiero di cucina, ma evolvendolo e migliorandolo, andando a cercare prodotti alternativi da valorizzare allo stesso modo di materie prime costose e pregiate. Come il foie gras, caposaldo della ristorazione mondiale, sotto la lente di ingrandimento per la crudeltà dei metodi di allevamento delle oche. A New York sarà bandito dal 2022, mentre da Opera lo è già, sostituito, per esempio, da un prodotto povero come il midollo, dalla medesima forza espressiva.

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Courtesy Opera, credits Giulia Nutricati

In quest’ottica, c’è un ingrediente che ti ha dato particolari soddisfazioni?

Sicuramente la carne di mucca che, nella maggior parte dei casi, viene macellata per scopi non prettamente alimentari. L’ho intercettata grazie al mio macellaio di fiducia, scoprendo un allevatore che cresce mucche principalmente per il latte, per poi macellarle tra gli otto e i dodici anni di vita. Mi sono trovato davanti qualcosa che non avevo mai utilizzato: una carne molto dura e tenace che, con ingegno e creatività, può essere resa morbida e saporita. Devo dire che mi ha dato degli ottimi risultati in termini di gusto.

Meno è meglio?

Ormai sono dell’idea che bisogna sempre togliere qualcosa. Meno grassi e soffritti, per esempio. Continuare a mettere panna e burro per ingolosire una ricetta non ha senso e la rende poco sostenibile dal punto di vista della leggerezza. Una cena, il giorno dopo, non deve lasciarti una sensazione di pesantezza, altrimenti il ricordo dei piatti verrà oscurato dal malessere e dal gonfiore dovuto alla digestione difficoltosa. In questo senso, ho eliminato molti grassi in eccesso e ridotto la presenza di fondi all’interno dei piatti. Il piccione, che prima servivo con il suo fondo, oggi è accompagnato solamente da una salsa a base di curry molto pulita e lineare all’assaggio, che ti fa percepire in modo netto quello che stai mangiando. Solo così l’ospite può apprezzare al meglio la materia prima che stai utilizzando. Credo che oggi, più che mai, non si debba “aver paura” degli ingredienti che si utilizzano: se sono di ottima qualità sapranno farsi riconoscere.

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Courtesy Opera, credits Giulia Nutricati

Qual è il ruolo dei vegetali in questo percorso di sottrazione sostenibile?

Paradossalmente, rimuovendo molte cose, si può ampliare il palato. I vegetali, per esempio, danno tanta struttura al menu e, quando arrivano direttamente dall’orto, la differenza di sapori e consistenze è incredibile. La proprietà di Opera ne possiede uno a Chieri, in un’area collinare che comprende anche una vigna. La maggior parte delle verdure e della frutta che impiego al ristorante arrivano proprio da lì, dove una persona si dedica quotidianamente alla cura delle piante. Ci sono varietà particolari di pomodori, zucchine gialle, trombetta e verdi, cavolfiori, tantissime patate, rape rosse, barbabietole, peperoni. È un lavoro in più, ma è molto stimolante, soprattutto per quanto riguarda la ricerca di nuovi ingredienti.

Oltre alla sottrazione di tutto ciò che è superfluo, da Opera si lavora per ridurre gli sprechi. In che modo?

La svolta etica di Opera viene raccontata ai clienti attraverso i nostri piatti, per far percepire loro quanta attenzione c’è nell’evitare di produrre scarti. Per esempio, quando setacciamo le olive per la tapenade di un amuse bouche, le bucce non vengono gettate, ma cotte per realizzare un brodo, servito come penultima portata del menu degustazione Opera. Oppure, dalla doppia spremitura del pomodoro estraiamo la sua acqua aromatica e creiamo un sorbetto per il dessert, mentre con la polpa che avanza realizziamo una composta. Nel nuovo menu autunnale sarà la volta del sedano rapa di cui non si butta via niente. Queste scelte, oltre ad avere un impatto positivo, fanno bene anche a me stesso, al ristorante e a chi viene a mangiare da noi. È molto stimolante lavorare ogni giorno e trovare nuove chiavi di lettura, studiando a fondo gli impieghi alternativi di un singolo ingrediente.

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Courtesy Opera, credits Giulia Nutricati

Secondo te in che direzione sta andando la cucina?

Si sta tornando alla vera essenza del “cucinare”. La ricerca spasmodica di contrasti e le acidità molto spinte hanno stancato il cliente. Oggi si preferiscono piatti più golosi e facili da comprendere. Con la carta è necessario lavorare in questa direzione, privilegiando la semplicità, sia del racconto che della ricetta, mettendo in primo piano il sapore. Netto, senza pretenziosi picchi estremisti, di cui le persone si sono stufate. Troppi tecnicismi danno poco spazio all’emozione e alla fine non ti lasciano nulla. D’altronde, il piatto simbolo di uno dei più importanti ristoranti italiani tre stelle Michelin, è un pacchero al pomodoro.