Intervista con Frédéric Arnault

Intervista con Frédéric Arnault

di Angelo Pannofino

In occasione dell’apertura della prima boutique di Tag Heuer a Milano abbiamo incontrato Frédéric Arnault, CEO del brand di orologi svizzero, per parlare di futuro, di passato e anche di tennis.

E infine Milano. Dopo Venezia, Roma e Firenze, Tag Heuer, storica maison svizzera di orologeria, apre la sua prima boutique meneghina. Il giorno dell’inaugurazione è facile individuarla, tra quelle di via Montenapoleone, per la calca di fan che premono sulla vetrina e bloccano il traffico pomeridiano, tenuti a distanza dagli addetti alla sicurezza. È la vigilia del Gran Premio d’Italia di Formula 1 a Monza, e al di là del vetro, insieme agli orologi, c’è il campione in carica Max Verstappen, pilota della scuderia Red Bull di cui Tag Heuer è partner.


A pochi metri dal subbuglio di questa scena, nel silenzio moquettato di una saletta privata del Four Seasons, incontro il CEO di Tag Heuer, Frédéric Arnault. Ventotto anni, fare discreto e gentile, serio, preparato, abito-blu-e-camicia-bianca, il quarto dei cinque figli di quel Bernard, fondatore e CEO del colosso del lusso LVMH, è piacevolmente stupito dall’accoglienza calorosa riservata al pilota olandese: «Anche se siamo avversari della Ferrari in Formula1, qui in Italia sorprendentemente c’è molto rispetto». Un buon auspicio anche per le sorti in terra italiana del brand svizzero, la cui strategia, da qualche anno, è di aprire boutique monomarca nelle località del Bel Paese più note nel mondo, come Ponte Vecchio, via dei Condotti, piazza San Marco e, appunto, via Montenapoleone: «È un grande cambiamento che abbiamo portato circa cinque anni fa», spiega Arnault, «vogliamo essere presenti nelle città chiave e in vie iconiche, con boutique non troppo grandi, perfette per sviluppare delle relazioni vere con i nostri clienti e mettere in mostra i nostri pezzi migliori. L’Italia è un Paese molto importante per noi, e Milano lo è ancora di più». Se ci arrivano solo adesso è «perché si tratta di uno dei nostri maggiori investimenti, quindi abbiamo preferito aspettare finché non abbiamo trovato il negozio giusto».


Dall’Italia il discorso si sposta ai clienti italiani: «Come sono? Direi molto sofisticati e amanti degli sport automobilistici, quindi si accordano perfettamente con le due anime di Tag Heuer, quella più elegante e quella più sportiva, ben rappresentata da due orologi come Monaco e Monza». Allo storico Autodromo Nazionale, infatti, era già stato dedicato un modello in passato, oggi riproposto, rivisto e aggiornato, col nome Monza Calibre Heuer 02 Flyback Chronograph: «Nei nostri archivi c’era questo modello, dedicato a Monza, di cui collezionisti e amanti del brand continuavano a parlarci, così abbiamo deciso di lanciarlo modernizzandolo con nuovi materiali e nuove complicazioni». Modernizzare, in fondo, è ciò che Arnault sta facendo da quando, nel 2020, è diventato CEO dell’azienda svizzera fondata nel 1860. Dopo aver fatto la storia dell’orologeria realizzando il primo “orologio connesso” Swiss made, non ha intenzione di fermarsi: «Siamo anche i primi a utilizzare per i nostri orologi diamanti creati in laboratorio, una tecnologia che ci consente di dare alle pietre forme e consistenze impossibili da ottenere con i diamanti veri». Un processo di modernizzazione, quello avviato da Arnault, che passa anche da «una profonda digitalizzazione che ha riguardato ogni parte del brand: non solo il prodotto, come l’orologio connesso, ma anche i metodi con cui creiamo gli orologi meccanici, servendoci di software molto complessi per fare i test, e il modo in cui ci rapportiamo con i clienti, sia online sia nelle boutique».


I valori che lo guidano nel fare il suo lavoro, dice, «sono in linea con quelli del brand: l’eccellenza, innanzitutto, ovvero pensare alla qualità in ogni cosa che facciamo, dai prodotti agli eventi. Il secondo è la creatività, perché è importante sorprendere il cliente. Il terzo valore, infine, è la disciplina». Insomma, parlando con Frédéric Arnault, saranno il tono, i modi, le cose che dice o l’abito blu, si rischia di dimenticare di avere davanti un ragazzo di 28 anni, che a 25 era già alla guida di un brand di livello mondiale: «È la mia prima esperienza da CEO. Cosa ho imparato finora? Innanzitutto come si gestisce un’azienda, in particolare una che fa orologi, che ha le sue peculiarità, specialmente in termini di timeline, per costruire icone, sviluppare i prodotti, creare l’immagine del brand. Ho imparato che non ci sono scorciatoie, soprattutto con brand storici come Tag Heuer. È un mercato molto competitivo che necessita di grandi investimenti e obiettivi chiari».


Per fare il CEO ha dovuto privarsi di qualcosa, ovviamente, ma non di ciò che ci si potrebbe aspettare da un ragazzo della sua età: «Ho rinunciato al concerto di pianoforte che facevo ogni anno», dice. Una passione, il piano, ereditata dalla madre, pianista canadese di fama mondiale: «Sono sempre in viaggio e non posso portare il pianoforte con me. Certo, suono ancora, ma non abbastanza per fare un concerto professionale». Oltre alla musica, dice, la sua grande passione è lo sport: «Golf, automobilismo (ma solo da spettatore), soprattutto il tennis», e così finiamo a parlare dei tennisti preferiti e scopriamo di avere in comune una passione, un po’ scontata, per Roger Federer. Meno scontato poter dire: «Ho giocato in doppio con lui due settimane fa». Cose che capitano se ti chiami Frédéric Arnault.