In conversazione con Jack Irv

In conversazione con Jack Irv

Il giovane attore fotografato dall’obiettivo di Bruce Weber si racconta a Julia Fox per Icon

di Julia Fox

Sei di New York, vero? Ho l’impressione di averti già visto in giro da Lucien… Credo che tu e i tuoi amici, una volta, abbiate addirittura fatto delle scritte sulla mia auto con un pastello o non so cos’altro.

Se non ricordo male, era una cabrio rossa pazzesca, una Mercedes Classe S, qualcosa del genere. I miei amici ti trovavano stupenda e hanno pensato che scrivendo sulla tua auto con uno stick di burro di cacao l’avresti presa sul ridere. Però, non sono stato io. In ogni caso, ho la sensazione di conoscerti per interposta persona… Abbiamo tante conoscenze in comune. Li adoro, quei ragazzi! La gente dimentica quanto è piccola quest’isola (Manhattan, ndr) in cui viviamo. In genere, si pensa che New York sia una città enorme, senza fine, ma se sei di qui ti rendi conto di quanto sia angusta e claustrofobica. È quasi impossibile non conoscere o non incrociare tutti, prima o poi.


Prima di dedicarti alla recitazione hai avuto altre esperienze nel campo dell’arte? Di che cosa ti occupavi?

Ho sempre disegnato, dipinto e fatto fotografie. Da qualche tempo ho cominciato a raccogliere centinaia di ruvidissimi ritratti fotografici di gente incontrata per strada, scatti realizzati perlopiù in Giappone, abbinandoli a immagini di spazi desolati, di tunnel della metropolitana, e dei miei viaggi. Mi piace pensare che assomiglino a certe foto di Boris Mikhailov, ma il paragone è audace. Lavoro in collaborazione con un team che sta in Cina: ci scambiamo immagini che finiscono a comporre collage foto-realistici di 1,8×1,2 metri. Spero di poterli esporre, presto o tardi. Ho visto la tua mostra PTSD in Canal Street, era vicinissima a casa mia. E mi è piaciuto tantissimo anche il libro.

Grazie! Da quando faccio l’attrice ho decisamente messo da parte l’artista che c’è in me, perché il cinema è molto più faticoso e porta via più tempo. A te pare di aver meno tempo per l’arte ora che hai un manager e stai cominciando la tua carriera di attore?

No, non necessariamente. È una di quelle cose che sento il bisogno di fare. Sono sempre lì che disegno e faccio cose, appena ho del tempo libero: mi viene assolutamente naturale, come mangiare o dormire. Preparare video e fare le audizioni è comunque sempre una scommessa, mentre quando faccio i miei lavori ho un controllo totale e non sono alla mercé di altri.

I non-attori hanno una presenza scenica più interessante sullo schermo rispetto agli attori di professione?

L’esperienza di vita, a volte, riesce davvero a essere più interessante, nella misura in cui per recitare bisogna attingere alla realtà. Persino più interessante dei bambini, a volte, e dei professionisti troppo impostati. Nei film di Josh e Benny Safdie, ad esempio, balza all’occhio: i non-attori che ne hanno passate di tutti i colori possono attingere alla loro esperienza e, anche se mancano di certe capacità tecniche, possono ispirarsi alla vita vissuta. Il resto lo si impara, ma certe esperienze pazzesche si possono solo vivere.


T shirt Levi’s

Ti spieghi benissimo. I non professionisti trasudano questa impareggiabile veracità che neanche i migliori attori riescono a rendere. Buddy Duress, ad esempio, è uno così. Nascere con il talento non basta: dentro certe storiacce bisogna passarci. E uno si porta in giro queste cicatrici invisibili, che la gente riesce a captare. Che cosa ti ha spinto a cimentarti con il cinema? 

Sono cresciuto in un mondo pieno di film e di cinema: mio fratello e io siamo dei fanatici. E anche i miei genitori hanno questa fissa: in famiglia, ogni ritrovo finisce per girare intorno agli aneddoti cinematografici. Mia madre non fa altro che imitare Hyman Roth. E tanti amici di mio padre, quando ero piccolo, lavoravano a vario titolo in quel campo. Qualcosa dev’essermi rimasto addosso, anche perché quelle persone sembravano felici come nessun altro. Io e mio fratello rubavamo sempre la videocamera di mia madre per girare dei piccoli film. A dire il vero, lo facciamo ancora, con gli amici. Alcuni di questi video sono diventati saggi accademici. Anche tu hai fatto dei nuovi corsi, giusto? Comunque, per me, l’opportunità di essere considerato sul piano professionale è un sogno che si realizza, provo un’enorme gratitudine, per questo. Non so se riuscirò mai ad abituarmici. Mio fratello Ben ha appena fatto un film con Ben Affleck che si intitola Tornare a vincere. Io spero che qualcuno, prima o poi, ci scritturi per qualcosa di diverso dai soliti liceali sportivi e fighetti. Fatemi assassinare da un alieno o recitare il consulente di moda gay.

Tutti mi hanno sempre detto che avrei dovuto fare l’attrice e io, nel profondo, ero convinta di esserne capace. Solo che non credevo sarebbe stato possibile per una come me. Non pensavo che a Hollywood ci fosse spazio per una “eccentrica” come me. Invece, i tempi stanno cambiando. Il tuo film è stato prodotto da Olmo Schnabel… (Giants Being Lonely, ndr). Siete cresciuti insieme, voi due, dico bene?

L’ho conosciuto ai primi anni delle superiori, durante una festa sul terrazzo di qualcuno. Lui era ’sto figo pazzesco che fumava a nastro, con certi capelli lunghi e biondi che sembrava uscito da un dipinto tedesco dell’Ottocento, ma in streetwear. Io ero uno sbarbatello, una versione più bassa di Jennifer Lawrence… e nessuna ragazza mi degnava della minima attenzione. Mi trattavano sempre da fratellino piccolo, ragion per cui non si batteva chiodo. Quella sera, a un certo punto, Olmo si è avvicinato e, dato che c’erano delle ragazze che mi prendevano in giro, è intervenuto in mia difesa. Da quella volta siamo diventati amici per la pelle. Siamo cresciuti insieme qui in città: lui, io e suo fratello Cy.
Da piccoli erano amici della sorellina della mia migliore amica. In un certo senso vi ho visto crescere, è stupendo che ora stiate facendo cose così importanti. Sono fiera di voi. È facile imboccare strade sbagliate, com’è accaduto a tante persone che conosciamo. Ci sono cose per cui ti senti simile al personaggio che interpreti nel film? 

Altroché! “Sa che cos’è il fascino: una maniera di sentirsi rispondere sì senza aver fatto nessuna domanda chiara”. È una citazione di Camus. Si adatta alla perfezione al personaggio che ho interpretato. È tutto un confuso sogno a occhi aperti, lui non è uno che parla tanto, ma vive nella convinzione che, anche quando non sembra, tutto finirà per risolversi nel migliore dei modi. E io mi regolo spesso in questa maniera, perciò, sì, sento una grande affinità con quel personaggio.


Scegliendo Jack Irv per il suo film, Grear Patterson ha spiegato: «La prima volta che l’ho visto, Jack è uscito di casa in mutande, anche se c’era la neve. Ed era stupendo vederlo muoversi, andarsene in giro per Mercer Street come se fosse il suo cortile di casa sua, alla maniera in cui si muoveva nella natura del North Carolina».Ti sei esercitata tanto per il tuo personaggio? Eri naturalissima!
Non è stato difficile immedesimarmi nel personaggio di Julia. Io avevo già superato quella fase della mia vita, ho attinto alla mia esperienza personale quando il film lo ha richiesto. Di sicuro, esserci passata mi ha aiutato. Qual è stata la difficoltà più grande che hai incontrato recitando in questo film?Mi sono dovuto calare in situazioni tristi e dolorose. Ho dovuto prima cercare e poi tirar fuori sentimenti che non sapevo neanche di provare, cose che covavano, latenti.

Qual è stata, invece, la scoperta più sorprendente?

La cosa che più mi ha sorpreso è stata la quantità di energia che ci vuole per realizzare un film. Quanta gente, quanto tempo, quanta fatica si richiede a ogni passo del processo. Il mio rispetto per la produzione è aumentato a dismisura da quando ho visto che sorta di sforzo collettivo richiedono questi progetti. Assolutamente. Ѐ la cosa più difficile. Il più piccolo errore può mandare a monte l’intero lavoro. Non c’è margine di errore nel cinema. La pressione è massima! Com’è stato lavorare con i tuoi amici? A me è piaciuto molto fare Uncut Gems perché non mi sembrava neanche di lavorare! È stata una specie di grande festa senza interruzioni… almeno per me!
Sì, è stato un gran divertimento. C’erano tanti miei amici che collaboravano a quel film. Kevin Garnett (ex giocatore di basket, ndr) che tirava a canestro davanti a una casa… Gianna Valdes la conoscevo dai tempi del liceo ed eravamo vecchi amici: sono felice che abbia avuto quella breve scena. È sconvolgente che non ci sia più: so che eravate praticamente sorelle. Ma quel film è stato più di una cosa tra amici, c’era una totale familiarità. Tutti quelli che vi lavoravano erano intimi. Fino a quel momento li avevo visti sempre e solo come gli amici con cui ero cresciuto. Non è stato facile mettere da parte le pagliacciate e mostrarsi al massimo della vulnerabilità. Il rispetto reciproco tra di noi è cresciuto enormemente nel vedere che eravamo anche capaci di darci una regolata ed essere professionali. Stavamo tutti in una casa pazzesca del regista, sempre a stretto contatto, sembrava una colonia estiva. In realtà, essendo di New York, non sono mai stato in colonia, ma è così che me la immagino A un certo punto, ho dovuto prendere un posto a parte, su Airbnb, per allontanarmi dal delirio e concentrarmi. Mi avevano anche tolto l’auto prevista dal contratto, ragion per cui non potevo neanche andare a dipingere graffiti sui carri merci allo scalo ferroviario di Durham. 


Non credo che mi capiterà più di vivere un’esperienza come quella, per un film.Tu hai appena fatto un film con Steven Soderbergh, giusto? Stupendo.

Che somiglianze e differenze hai trovato fra un set del genere e quello di Uncut Gems?

Gli amici diventano davvero una famiglia sui set cinematografici. Si crea un’atmosfera magica, quando l’energia è quella giusta. E poi, sì, ho avuto il privilegio di lavorare con Steven Soderbergh. È stata la realizzazione di un sogno, una cosa che non mi aspettavo. In questo campo si ricevono tante porte in faccia, ma come dice il mio manager Allan Mindell, se hai pazienza, la gente giusta finisce per trovarti.

Qual è il tuo obiettivo a lungo termine nella vita?

Fare lavori che abbiano un impatto benefico per l’umanità. Mi piacerebbe continuare a fare l’attrice, ma anche dedicarmi all’arte. Un paio di bambini, vagonate di mescal e, possibilmente, neanche una giornata storta. Da giovani si fanno progetti grandiosi, ma, visto come sta andando il mondo, credo si stia tutti vivendo alla giornata. Sono contenta di svegliarmi la mattina e cerco di fare del mio meglio per sostenere le persone a cui voglio bene. So che hai scritto una sceneggiatura.


Abito Brioni, camicia President’s, cintura Jack
Boyd. Styling: Lauren Constantine

Puoi parlarcene?
Sono due anni, ormai, che ci lavoro. Ora, finalmente, l’abbiamo mandata in giro e stiamo ricevendo riscontri entusiasmanti. Stiamo coinvolgendo gente e mettendo in moto la macchina. È una frenetica storia d’amore gay tra l’erede (in fuga) di un cartello colombiano e un ragazzo di New York, entrambi lavorano in un negozio di animali e s’introducono nelle case dei ricchi e anziani clienti per pagarsi la fuga verso il loro idillio. C’è dentro tanta altra roba, un killer, le assurde famiglie dei protagonisti e altro.. Il mio vero obiettivo è cercare di normalizzare la fluidità dell’omosessualità nello storytelling. Ho l’impressione che a Hollywood o non se ne parli affatto o lo si faccia in modo troppo programmatico, tipo: questo è un film gay. Secondo me, una storia può essere pazzesca e avere personaggi fantastici che si muovono nel loro mondo e che, accidentalmente, sono gay. Questo è il mio obiettivo. Spero tu abbia modo di vederlo realizzato,
Mi piace, e hai perfettamente ragione! A dire il vero, anch’io ho scritto una sceneggiatura con i personaggi che casualmente sono gay. Hai qualche consiglio da offrire a chi desidera lavorare nel cinema?

Credo che oggi esistano molti più modi di farsi notare. Io odio Instagram e non ho mai avuto un profilo, ma ormai quando si va alle audizioni si lasciano nome, cognome e handle di Instagram. La gente viene scritturata così. Direi che la situazione sta cambiando in meglio. Di questi tempi, si stanno facendo progressi, e questo è un bene per voci e storie che magari fino a poco fa non trovavano ascolto. Mi pare che ci siano più opportunità per persone che, come te e come me, non necessariamente hanno studiato recitazione, ma amano questo lavoro. Per concludere, aggiungerei che diventare bravi in questo mestiere non è facile: chi vuole “recitare nei film” deve essere animato da una passione incredibile, perché è un mestiere da pazzi.