Gregorio Paltrinieri

Gregorio Paltrinieri

Sulla terraferma è un tipo “sciallo”. In acqua si trasforma nel nuotatore più forte al mondo. Ha vinto tutto ma non è sazio, perché a motivarlo non sono le medaglie ma il piacere della competizione. C’è però un prezzo da pagare

di Angelo Pannofino

Non lo fermano i banchi di meduse in cui gli capita di nuotare («Brutto, ma ci sono abituato»), né i pesci scorpione e i pesci palla («In Israele era pieno, credo siano i più pericolosi al mondo»), né gli squali («Alla fine speri che non capiti a te»). Figurarsi se lo fermano i chili di metalli preziosi che si porta al collo, una zavorra di medaglie, soltanto quelle d’oro sono 61 (sessantuno!), compresa la più prestigiosa, vinta alle Olimpiadi di Rio 2016 nei 1500 stile libero. 


Accappatoio Bikkembergs

Gregorio Paltrinieri è considerato il nuotatore più forte al mondo, ha un palmarès lungo come la coda al casello di Milano sud la sera del controesodo di agosto ma la ragione per nuotare ancora e ancora e ancora, sei giorni su sette, per decine di chilometri, non è il desiderio di mettersi al collo altri dischi di metallo. Conta, ma è secondario: «Trovare le motivazioni per continuare è l’ultimo dei miei problemi: potrei vincere anche sette medaglie alle Olimpiadi, vorrò sempre gareggiare. Mi piace la competizione, è la mia ragione di vita», dice, anche se ci vorrebbe forse un verbo più adatto di “piacere” per descrivere la voracità, lo spaventoso istinto al combattimento che si porta dentro fin dall’infanzia e fa la differenza tra uno che vince e uno che vince quanto lui. Uno che subito dopo l’oro olimpico ha deciso che non bastava, che al cloro doveva aggiungere il sale delle gare in mare aperto. Che se non è un altro sport, rispetto a quelle in vasca, poco ci manca, e non solo perché in piscina è raro imbattersi in «un banco di 500 meduse in 50 metri quadri».


Felpa, shorts e scarpe
Sebago

«Tra tutte le strade che potevo prendere nella vita, essere uno contro l’altro, come in un Colosseo a battermi contro un avversario, è quella che più mi rappresenta». Mentre parla avverto la scossa causata dal cortocircuito tra la ferocia sportiva di ciò che dice e la mansuetudine del suo aspetto mentre lo dice, il sorriso fanciullesco, l’aria da bravissimo ragazzo. Devono esistere un tranquillo dottor Greg, che conduce una vita pacifica sulla terraferma («Sono uno piuttosto “sciallo”») e un mostruoso Mister Paltrinieri, che viene fuori quando l’epidermide del primo entra in contatto con due atomi di idrogeno e uno di ossigeno. Acqua, dove «serve essere cattivi e pronti al momento giusto: è quasi mistico, sfugge al mio controllo, ma in gara avverto come un flow, qualcosa che scaturisce dentro me, una voglia di competere. E non ho più paura di niente».


Felpa, camicia, pantaloncini e
cappello Sebago, orologio Omega

Nessun demone interiore, ma qualcosa che ci somiglia: «Sono nato e cresciuto in un ambiente super competitivo in cui mi vedevo come un eroe dell’Odissea che doveva raggiungere vette impossibili». Un ruolo non da poco deve averlo avuto suo padre, ex nuotatore, capace di convincerlo, senza forzarlo, a mollare il primo amore, (il basket, passione che gli è rimasta: il suo idolo è Kobe Bryant, il suo sogno, quando smetterà, è assistere dal vivo alle finali NBA), per passare al nuoto, sfidandolo in gara senza mai lasciarlo vincere. E quando infine è successo, la gioia è stata tale che nemmeno la vittoria alle Olimpiadi l’ha ridimensionata: a Rio «la felicità per l’oro è durata due o tre secondi», dopodiché il pensiero era già andato «al tempo insoddisfacente» con cui aveva trionfato.


Maglia Paul Smith

Tra i segreti per la felicità di sicuro non c’è l’ossessione per la perfezione, quella per cui Kobe Bryant era famoso: «In acqua sono io all’estremo e ogni cosa è ingigantita: picchi di gioia e poi subito la voglia di fare di più. Gli estremi non aiutano a essere felici, ma è questo che mi ha permesso di raggiungere nuovi traguardi. Non la vivo bene, però è sempre stato così. Per fortuna, nella vita fuori dall’acqua credo di essere più equilibrato». Ammette, però, che sulla terraferma fa più fatica: «In acqua mi sento al sicuro, trovo più facilmente soluzioni ai problemi e qualsiasi cosa succeda sto bene». Forse perché lì è raro imbattersi nei propri simili: «È vero, ma imparare a passare tanto tempo da solo in acqua, cosa che ora mi piace, non è stato facile».


Felpa e scarpe Sebago

Non è dalle profondità degli abissi che emergono i suoi mostri, piuttosto la paura è non riuscire a mantenere «questo livello, che è bestiale», cioè più di dieci anni da vincente: «L’anno scorso ho preso quattro medaglie ai Mondiali e quattro agli Europei», roba che «neanche da giovane», ma ho paura che «arriveranno altri e saranno più forti di me… Che alla fine sarebbe anche giusto». E, pensando al dopo, è il suo bisogno di vincere che lo spaventa, perché «qualsiasi cosa farò non sarò mai competitivo come ora».


Giacca K-Way

Cosa farà lo scopriremo tra cent’anni, quando forse smetterà: oggi tra i suoi interessi ci sono libri, serie tv, film, la moda: «Collaboro con il gruppo Basic, che ha molti brand che mi piacciono tipo K-Way, Robe di Kappa o Superga, che uso ogni giorno. Anche se sono sempre in tuta, mi piace vestirmi bene quando esco». 


Tank top Dsquared2, pantaloni Robe di Kappa, scarpe
Sebago, zaino K-Way

E quando esce si ritrova addosso gli occhi di tutti. A questa intervista è arrivato in ritardo, perché gli è «esplosa una gomma» e non era una scusa tipo “il terremoto, una tremenda inondazione, le cavallette!”: «Sono uscito dall’auto mezza distrutta e subito si sono fermati in tre che mi avevano riconosciuto. Hanno fatto marcia indietro per 50 metri per chiedermi una foto. Succede, mi fa sorridere». Non lo fermano una gomma bucata né i selfie.

Nella foto di apertura T shirt Sebago, pantaloncini Robe di Kappa

Photos by Giampaolo Sgura, Styling Edoardo Caniglia, Hair: Andrew Guida using Label.M. Styling assistant: Michele Sole