Isabelle Huppert, tra cinema e vita: “più dei ruoli, amo le persone”

Isabelle Huppert, tra cinema e vita: “più dei ruoli, amo le persone”

Classe ed eleganza da vendere, non solo al cinema (oltre 100 film), ma anche nel modo di raccontare la vita. Isabelle Huppert, leggendaria attrice francese, si svela, durante l’ultimo Filming Italy Sardegna Festival, parlando di cinema, progetti e verità.

Foto: Bertrand Rindoff Petroff/Getty Images
di Andrea Giordano

Grande dame del cinema francese (e internazionale), una vera leggenda vivente, desiderata e contesa. Elle est Isabelle Huppert, l’attrice – musa voluta dai grandi autori (Preminger, Tavernier, Godard, Cimino, Chabrol, Haneke, Ozon, Assayas, tanto per citarne alcuni, insieme ai nostri Bellocchio, Ferreri), e vista in ruoli memorabili (oltre 100 film), come quello de La pianista, o nel recente Elle di Paul Verhoeven, per cui è arrivata vicinissima a vincere pure l’Oscar. Un mancato appuntamento nel palmares dei riconoscimenti, già comunque ricco di altri allori: un Orso d’Argento vinto a Berlino, due Coppe Volpi a Venezia (pure un Leone d’Oro alla carriera) e altrettanti Prix a Cannes, sempre come miglior attrice protagonista. Elegante, ironica, pungente, occhiali da diva del passato, impeccabile anche nella cordialità, l’attrice parigina è una di poche parole, è vero, risposte brevi, ma sempre puntuali, mirate, pronunciate un po’ in italiano e in inglese. L’occasione d’incontro arriva all’ultimo Filming Italy Sardegna Festival, ideato da Tiziana Rocca, nel quale ha ricevuto il riconoscimento Filming Italy Woman Power Award, un premio, dice, che «non è solo qualcosa che necessariamente riguarda il potere, bensì quello che vorrei ancora fare». E infatti adesso, dopo la pausa forzata, è pronta a ricominciare, divisa tra teatro, e L’ombra di Caravaggio, il nuovo e ambizioso progetto di Michele Placido, con protagonista, nei panni del pittore milanese, Riccardo Scamarcio.

Cosa l’ha convinta?
Lui, come regista. Sono felice di ritrovarlo, dopo aver lavorato insieme in Storia di donne, era il 1981, un film tratto dal libro di Henry James, Le ali della colomba, e diretto da Benoît Jacquot. Adesso le prospettive cambiano. Michele questa volta sarà dietro la macchina da presa, e la sua è una bellissima idea: aver pensato ad un progetto parlando della luce, una cosa fortemente legata al cinema, ma raccontando soprattutto il personaggio in un modo molto affascinante. Non sarà un classico biopic, lo vedrete da un punto di vista diverso, immaginario.

Che ruolo ha?
Sono una donna nobile, chiamata a proteggerlo, supportarlo, capirne la visione, e con il quale instaura una storia d’amore. Se ne prenderà cura ecco, ma non abbiamo deciso ancora le sfumature del personaggio, potrebbe essere anche ambigua… vedremo.

Nella pellicola c’è anche sua figlia, Lolita Chammah. Non è la prima volta insieme: qual è il rapporto sul set?
Siamo semplicemente due attrici, forse lei è la madre, ed io la figlia (ride, ndr). Qui interpreterà una giovane prostituita dipinta da Caravaggio.

Questo progetto rinnova una collaborazione con il cinema italiano: che ricordi ha delle altre esperienze?
Ogni volta è come riassaporare un certo tipo di bellezza, e sono sempre le persone, gli autori, i registi e certe emozioni a trasmettermela, è la cosa più importante per me. C’è stata la gioia di essere chiamata da Marco Bellocchio (Bella addormentata, ndr), Bolognini (La storia vera della signora delle camelie, ndr), Paolo e Vittorio Taviani, e Marco Ferreri, in Storia di Piera, un regista troppo dimenticato, ma molto significativo. Quando reciti un film sai che ti stai rivolgendo a un pubblico, lo stesso accade in egual modo su un palcoscenico, sono cose diverse, eppure così immersive. Io sono intuitiva, non mi preparo, leggo tanto le sceneggiature, ma il cinema è fatto anche di momenti, istanti, quelli non puoi prevederli, li fai, e quando accade è incredibile.

C’è qualcuno, invece, della “nuova” generazione, a cui direbbe sì?
Sorrentino, Garrone, Martone, Moretti,..

Come ha trascorso il periodo di isolamento?
A Parigi. Stavo per iniziare uno spettacolo al Teatro dell’Odéon, Lo zoo di vetro di Tennessee Williams, lo riprenderemo. Il tempo, come dire, l’ho vissuto stranamente, quasi una vera esperienza mentale, ma penso sia capitato a lei ugualmente. Tempi difficili per chiunque. Io stessa sono proprietaria poi di due cinema, insieme a mio marito Roland e mio figlio Lorenzo, adesso stiamo lentamente riprendendo, organizzando delle retrospettive, una si chiama “Forbidden Hollywood”, o proiettando, anche, titoli italiani, Il giardino dei Finzi Contini, L’amore in città.

Qual è la lezione che ne ha tratto?
Che la solitudine non mi fa paura.

Anni fa, sull’impersonare un ruolo non fatto, disse “un uomo, magari Amleto”. È ancora di questa idea?
Era già successo in Orlando in realtà, sempre a teatro, diretta da Bob Wilson, ma mai dire mai… come per la regia.

Ha sempre avuto la certezza di riuscire a farcela?
Guardandomi indietro, coscientemente le dico sì, ero sicura, in qualche modo lo sentivo.

Si è stupita del grande successo di Elle?
Certo, è stato un lavoro nato sul filo del rasoio e si è rivelato sorprendente pure per me. Leggendo la storia l’avevo intuito, ma non pensavo che a livello internazionale ci fosse una reazione così unanime.

Sembra non vedere ostacoli nel suo percorso, ma non c’è qualcosa che le fa paura?
Tutto e niente (sorride, ndr).

Alla fine allora come si definirebbe?
Jean Cocteau diceva “sono un bugiardo che dice verità”, beh io sono così.