Who’s calling  Pedro?

Who’s calling Pedro?

In occasione dell’uscita del suo ultimo cortometraggio, una storia di cowboy gay, il grande regista spagnolo ha ripercorso con noi la sua carriera, raccontandoci come vede il presente

Pedro Almodovar
di Daniel Garcia

Pedro Almodóvar è raffreddato. È appena tornato da New York, dove ha trascorso una settimana promuovendo il suo ultimo lavoro, il corto Strange Way of Life, un western che vede protagonisti Ethan Hawke e Pedro Pascal, e facendo dei sopralluoghi per il prossimo lungometraggio, il primo girato interamente in inglese. Per ora, risolve il problema del mal di gola con un foulard di seta annodato al collo, abbinato a una polo Dior con una palette di colori che sembra ispirata a un tramonto hawaiano. Almodóvar (Calzada de Calatrava, 74 anni) ci ha dato appuntamento nel suo studio, al primo piano degli uffici della sua casa di produzione, El Deseo: uno spazio accogliente arredato con mobili in legno art déco che non stonerebbe nella maggior parte dei suoi film.


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Girare un melodramma tra due cowboy è quasi più provocatorio che fare un western porno.

Nel western, il desiderio tra uomini non è mai stato affrontato esplicitamente. Perché I segreti di Brokeback Mountain per me non è un western, i protagonisti non sono mandriani ma pastori. Pur avendone l’aspetto, il look, in realtà non sono né cowboy né rancheros. Questo punto ha giocato a mio favore, perché era proprio il terreno in cui volevo muovermi, dove il film si faceva più interessante. Quando l’ho scritto ho iniziato dai dialoghi, dal blocco centrale, di circa dieci minuti, nel punto in cui gli attori si alzano e si stanno vestendo. Come scrittore, mi rendeva felice far parlare con tanta libertà due personaggi così, cosa che gli sceneggiatori non hanno mai potuto fare. Mi è piaciuto molto far pronunciare quei dialoghi a due uomini maturi, due vecchi cowboy, proprio in un genere come il western.

Anche in un western moderno come Il potere del cane, di Jane Campion, ci sono ancora metafore al posto del sesso.

Sì, in effetti è una delle poche occasioni in cui si tocca questo tema, ma si manifesta in modo obliquo, lontano dallo schermo. Diciamo che non se ne parla. Eppure rimane un western straordinario e, oltretutto, femminile. Perché, pur trattandosi di un genere americano e prettamente maschile, la sessualità tra uomini – che sono i protagonisti indiscussi – è un aspetto che non è mai stato affrontato. Il western continua a essere vivo, basti pensare a Yellowstone, la serie di Kevin Costner, che però tratta il genere come si faceva due secoli fa, difende le stesse tradizioni, ancora basate sulla violenza e su un tipo di mascolinità a cui credo nessun uomo aspiri oggi. Senza contare che i personaggi femminili, e ce ne sono parecchi, sono ancora più mascolini degli uomini! Riconosco che Yellowstone è una serie mainstream, segue un’impostazione classica, ma è ora che il cinema indipendente si avvicini a questo genere in maniera differente. Proprio perché è sempre molto vivo, purché lo si guardi da un’altra prospettiva.

Immagino sia un archetipo talmente rigido da risultare, al contempo, estremamente affascinante.

È anche una questione di coraggio, ma non solo per quanto riguarda il western. Ci sono ambiti, come il calcio, dove l’omosessualità sembra non esistere. Le donne stanno dando molte lezioni ai loro colleghi atleti: le vincitrici del Mondiale si comportano in modo del tutto naturale, si sposano addirittura tra loro e non casca il mondo. Ma prova a dire una cosa simile in una squadra maschile. Oppure pensa al mondo della tauromachia: sarebbe impossibile. In altre parole, ci sono generi e professioni rimaste ancorate al passato, che non corrispondono affatto alla realtà attuale.

È interessante osservare che il sesso, per così dire, “non canonico”, faccia ancora fatica ad approdare al cinema.

Stranamente, la televisione è diventata quasi come i film di serie B degli anni 40 e 50, anche se ora si fa con molti soldi. I film di serie B presentavano temi che quelli di serie A non osavano affrontare. Oggi le serie, come Heartstopper, parlano anche di sesso tra adolescenti. Si ha quasi l’impressione che il cinema… Anzi, non è solo un’impressione: il cinema non ha il coraggio di osare. La televisione invece è molto avanti. Ma credo che gli altri esempi di cui parlavamo hanno lo stesso significato. Mi metto nei panni di un calciatore d’élite: dev’essere dura scendere in campo e sentirsi chiamare frocio. Ma prima o poi dovrà farlo.


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Potrebbe parlarci del progetto americano?

In realtà me l’hanno vietato. E poi mi sembra che quando parli molto prima di un progetto questo possa logorarsi, gli spettatori si annoierebbero. Ormai siamo nella fase di preproduzione: il progetto è già realtà, c’è un copione e ci sono gli attori. Ma io, finché non ho in mano la copia standard, non mi sento sicuro. Sono stato io a decidere di abbandonare il progetto con Cate Blanchett, A Manual for Cleaning Women, di cui all’inizio si era molto parlato. Ho atteso finché non ho finito di girare tutte le scene, mi sono messo ad analizzare il lavoro e ho deciso di rinunciarvi. Ho avuto troppo tempo per pensare e il film era cresciuto parecchio, diventando una superproduzione. La produzione attuale è molto più gestibile per me. Non voglio fare film dispendiosi, perché così mi sento più libero.

Il film sarà il primo lungometraggio in inglese. Perché ha ritenuto che fosse il momento giusto?

Le altre volte che ho rifiutato di realizzare un film negli Stati Uniti è stato per paura. L’esperienza di questi due corti – La voce umana, con Tilda Swinton, e Strange way of life – mi ha fatto capire che ero pronto a girare un film in inglese, quindi adesso mi sento più sicuro. Il fiuto di Almodóvar per il talento e il suo irresistibile potere di seduzione rimangono intatti. In questo reportage, il regista posa con due delle sue ultime scoperte: Manu Ríos, anche lui manchego, che partecipa con un cameo all’inizio di Strange Way of Life, e Milena Smit, coprotagonista insieme a Penélope Cruz di Madri parallele (2021). «Manu è il primo artista che conosco nato nel mio Paese, un fatto davvero molto speciale per me, lo sento quasi come un caro nipote», dice. «Credo che abbia un grande potenziale artistico; per fortuna è un ragazzo con la testa a posto, ed è destinato a un futuro brillante». Parlando di Milena spiega: «È un’attrice nata. Tutto ciò che fa trasuda verità. Funziona straordinariamente bene con personaggi intensi ed estremi, ed è dotata di un’eccezionale fotogenia». Smit sottolinea che girare con Almodóvar è stata un’esperienza formativa: «Pedro è diventato parte della mia famiglia, una persona a cui pensare quando hai qualcosa da festeggiare. Mi ha insegnato a interpretare, a creare un personaggio, e mi ha trasmesso la responsabilità che richiede questo mestiere». Per Ríos, fare un cameo in Strange way of life è stato “un sogno che diventa realtà”.

Ci siamo incontrati per caso alla visione di Rotting in the Sun, un film che inizia facendo una parodia del mondo gay di oggi e finisce per diventare una critica grottesca delle differenze di classe. Che ne pensa?

Mi è piaciuto molto. C’è qualcosa che mi ha sorpreso in positivo, ovvero la disinvoltura del film in ambito sessuale. Era dai tempi di Andy Warhol e Paul Morrissey negli anni 70 che non vedevo un film in cui il sesso fosse presentato con tanta spontaneità. In modo totalmente esplicito ma, soprattutto, assolutamente naturale. Una cosa davvero insolita di questi tempi.


Cappotto Loewe, camicia Ferragamo, cravatta Boss

Lo stesso vale per l’uso di ketamina, considerato un fenomeno generazionale, anche se non siamo abituati a vederlo al cinema.

Sì, è un film girato in piena libertà, per fortuna. Il fatto è che questa libertà, purtroppo, puoi prendertela solo facendo film a basso costo. Io anni fa giravo film con budget molto limitati, perché solo così potevo farli come volevo. Anche fare un film a basso costo è caro, non è una cosa immediata, come mettersi in casa a scrivere o dipingere. È necessaria una struttura economica maggiore, ormai è un business. Il cinema rappresenta la seconda industria più importante degli Stati Uniti. Quindi controllano tutto e ci sono così tante cose che non possono fare, soprattutto perché non sono politicamente corrette, che in questo momento è difficile che un film americano di serie A possa essere interessante, almeno per me. Ci sono davvero troppe cosa da tenere in considerazione, troppe cose da evitare.

Esattamente 35 anni fa usciva Donne sull’orlo di una crisi di nervi. Che ricordi conserva? Non è stato l’ultimo film prima della sua fase introspettiva, che rispecchiava gli eccessi dopo gli anni 80?

Sì, ma d’altra parte anche per la protagonista comincia la realtà, una realtà senza nervi, dove non si sente più posseduta dalla passione per un uomo, una passione estremamente forte. È un finale aperto, non tanto alla speranza quanto a una realtà serena, il che è positivo. È vero che gli anni 90 sono ancora molto vicini al decennio precedente. Per me è stato un periodo di riaffermazione. Negli anni 80 e 90 avevo lavorato tanto e mi sentivo già un regista. Ricordo che nel passaporto avevo fatto mettere “regista cinematografico” solo dopo Donne sull’orlo… Prima c’era scritto sempre “assistente amministrativo”. Ma, in realtà, penso che il grande cambiamento sia arrivato con l’inizio del nuovo secolo, con l’ingresso nell’età adulta, quando ho iniziato a guardare il cinema in un altro modo. Avevo già fatto parecchie cose, tante molto esagerate, altre molto scandalose, per cui ho cercato di moderarmi e di diventare un po’ più contenuto, più austero. Anche per non ripetermi, perché ormai avevo già sperimentato tutto. Ecco uno dei motivi per cui in Strange Way of Life non ho bisogno di far vedere i due cowboy nudi. È una cosa che ho già fatto. Mi sembra più interessante ascoltare ciò che dicono. Spogliare ciò che dicono. Questa sì che è una cosa mai vista prima.

In apertura total look Prada, décolleté Manolo Blahnik
Photos by Daniel Riera, styling by Nono Vázquez
Make up per Manu Ríos:  Miki Vallés @Another Artists. Make up per Pedro Almodóvar: Alex Saint. Set design: Irene Luna. Styling assistants: Irene Monje, Lucía Sobas, María Sobas