In conversazione con Stefano Pilati

In conversazione con Stefano Pilati

di Carlos Primo

Così si chiama il progetto di collaborazioni che la maison romana ha lanciato: inizia con Stefano Pilati, che ci racconta la sua collezione ispirata ai ruggenti e genderless anni Venti. Più che di look, spiega, «è una questione di filosofia».

Per il designer Stefano Pilati (Milano, 1965), l’identità è qualcosa di mutevole, quasi aleatorio. E questa variabilità non riguarda solo l’aspetto, l’estetica o l’espressione di genere, ma anche l’origine stessa del fenomeno della moda italiana e mondiale. «Sono di Milano, ma dopo essere venuto a Roma mi sono reso conto di essere di qui!», confessa in occasione della sua prima collaborazione con Fendi, brand romano per eccellenza. «Tutto qui attira la mia attenzione. Roma offre una libertà che manca nel contesto milanese. È una città più solare, dove tutto è accentuato: più femminile o più maschile, bohémien ed eccentrico».


Quest’autunno, Pilati inaugura il progetto Friends of Fendi, che non è esattamente una linea di capsule collection o di modelli limited edition, ma piuttosto un programma di collaborazioni basate su sentimenti condivisi e progetti flessibili. In questo caso, la collezione moda uomo e donna di quest’autunno porta la firma di Pilati, che ha curato i capi in collaborazione con i direttori creativi della Maison. «Sono due mondi che si incontrano, e sono entusiasta dell’opportunità che Kim (Jones, direttore creativo della moda femminile, ndr), Silvia (Venturini Fendi, responsabile degli accessori e della moda maschile, ndr) e Fendi mi hanno concesso, ossia quella di esplorare il loro universo, il mondo di Fendi, pur conservando la mia personalità», afferma. E in quel mondo, spiega, la prima cosa che ha trovato è un universo all’insegna del rispetto. «Per me era molto importante porre l’accento sul fatto che questa è una Maison fondata e portata avanti da donne», dichiara. «Volevo celebrare le donne Fendi, come faccio sempre con le donne. Adoro Silvia e Delfina. Amo il modo in cui si muovono, parlano e discutono. Più le conosci e più le rispetti».


Ecco quindi che questa celebrazione della donna abbraccia entrambi i lati della collezione: nella selezione maschile ritroviamo una sartorialità addolcita da bluse e impreziosita da cuciture minuziose, raffinati tocchi di lucentezza, tessuti pregiati (attenzione al jacquard con stampe animalier o con il logo della Maison), seta e, ovviamente, pelle, il materiale rappresentativo di Fendi, nata come pellicceria.
Queste accortezze non sono nuove per uno stilista che, dopo aver guidato istituzioni della moda contemporanea del calibro di Yves Saint Laurent e Zegna, ha deciso di fondare, prima della pandemia, un proprio brand, Random Identities, imperniato sul concetto di genderless. Anche qui sviluppa questa idea. «Le forme stesse trasmettono un senso di fluidità e transizione», precisa. «È tutto indefinito, incompleto. Si tratta di ripensare il presente, aprirsi a un nuovo modo di essere, che si riflette nell’abbigliamento e nell’atteggiamento» Per questa collezione, Pilati ha tratto ispirazione dagli anni Venti, l’epoca in cui è nata la fluidità di genere grazie alle flapper, donne indipendenti e trasgressive che praticavano sport, portavano i capelli corti, fumavano e ballavano fino all’alba, senza corsetti e senza pregiudizi; dunque un punto di riferimento non estraneo a uno stilista che ha decantato il potere liberatorio della notte e della cultura clubbing. «Negli anni Venti si sentiva il bisogno di esprimersi, di trasformarsi. Era un po’ un modo di rappresentare la situazione attuale partendo da quella di un secolo fa. Volevo ritrovare questa connessione nella collezione». Nel corso del secolo scorso, il fascino dei “ruggenti anni Venti” ha suscitato una vera e propria ossessione per la moda, un fenomeno ben noto nel panorama milanese. «Anni Venti, Sessanta, Ottanta e oggi: ci sono delle affinità tra queste epoche, improntate sulla libertà e sull’esplorazione. Musica, jazz, creatività… Non è una questione di look, ma una filosofia».


Nella collezione, alcuni elementi dell’era flapper si traducono in una sartoria raffinata, sofisticata, quasi adolescenziale, lussuosa e sensuale al tempo stesso, che ricorda anche la moda notturna e urbana di Pilati. «Volevo che il mio stile si adattasse a quello di Fendi, ma sempre mantenendo la mia personalità. Per questo sono partito dalla sartoria, che è uno dei miei punti forti. In questa collezione, specialmente per quanto riguarda la sartoria, le linee delle giacche sono più morbide e contrastano con i cappotti voluminosi». Ma la ricerca è andata oltre «mi sono sentito molto libero. Ho addirittura ideato un nuovo logo per la collezione». Il compito della moda, secondo Pilati, è quello di esprimere questi contrasti, senza paura di cadere nella contraddizione. «Questa collezione è una celebrazione dell’identità e della libertà di ognuno. Anche quando le persone cercano di nascondere il loro vero io, c’è sempre qualcosa che viene a galla: un gesto, il modo di parlare o di indossare qualcosa. Elementi che mettono in luce la vera natura dell’individuo». La sua responsabilità come stilista consiste nel lavorare su questo equilibrio, soprattutto ora che il pubblico della moda proviene da culture e contesti molto diversi tra loro. «Metto sempre in discussione la mia estetica, che è molto italiana, però tutti noi lavoriamo e pensiamo su scala globale», afferma. Dopotutto, fa parte del mestiere. «Come stilista, adoro trovare e scoprire cose nuove. Se decidi di ricoprire questo ruolo, il tuo compito è quello di dare alla gente qualcosa che non conosce».

Photo di apertura by Jacqueline Landvik