Louis Vuitton nella dreamhouse

Louis Vuitton nella dreamhouse

di Gianluca Cantaro

L’ultima sfilata realizzata da Virgil Abloh, prima della sua prematura scomparsa, è stata un mix onnicomprensivo della produzione del designer per il marchio francese. Ma si è sentita la mancanza del suo tocco finale

È stato l’evento della settimana parigina. L’ottava e ultima puntata di Virgil Abloh come direttore artistico della linea maschile di Louis Vuitton, collaborazione interrotta bruscamente a causa della sua prematura scomparsa. Per il mega brand francese oggi si è ufficialmente chiuso un capitolo e da domani ne inizia uno nuovo insieme all’inseguirsi di voci sul possibile successore (anche se in realtà molti rumors sono già in circolazione). Lo show ha senza dubbio riaffermato la potenza del brand con modelli performer che hanno trasformato la sfilata in una piece di danza accompagnati dalla Chinekel Orchestra che, diretta dalla star Gustavo Dudamel, ha suonato una partitura composta da Tyler the Creator all’interno set-up fatto con sezioni di una casa immaginaria, da cui il titolo alla collezione ‘Louis Dreamhouse‘. Nei 69 looks è stato concentrato il vocabolario che Abloh aveva compilato per Vuitton. Emotività a parte, il risultato è stato una visione troppo onnicomprensiva della produzione del designer. In passerella è sceso di tutto, dal tailoring affilato allo streetwear, che lui ha reso luxury, dalle stampe e grafiche con richiami a graffiti e cartoons ai dipinti che ingigantiti su jacquard pesanti sembravano motivi camouflage, dal concetto di maschile e femminile uniti in tute di velluto con gonne lunghe alle uscite finali in cui sposo e sposa diventavano un’unica figura angelica con le ali/aquilone. 

Ma nonostante il dispiego di forze si è percepita la mancanza del mastermind. Il designer aveva l’indubbia capacità di saper condensare i concetti e renderli efficaci, sicuramente coadiuvato da un incredibile team, ma ai quali dava la forma finale con il suo tocco. Faceva parte del suo processo creativo di assemblaggio, la composizione di diverse componenti e tematiche esistenti e raccolte dagli ambiti più diversi. Una volta disse ‘Duchamp is my lawyer‘, menzionando l’artista francese naturalizzato statunitense e inventore dell’arte ready made, quasi per spiegare il suo modo di operare. È così ha lanciato tendenze grazie alla sua capacità di connettore di punti già esistenti. Era il vero talento di Abloh rendere cool quello che già esisteva, ma non lo era. Dalla sfilata si è avuta la percezione che il lavoro postumo fatto senza la sua guida abbia aggiunto elementi che se da un lato hanno sicuramente aumentato l’effetto scenico, dall’altro hanno amplificato l’effetto celebrativo che forse non era necessario. Ora la risposta alla domanda su chi arriverà diventa urgente perché il talento, quello vero, non è cosa così comune da trovare.