

Come facevate a non conoscere Tommy Cash?
C’era una volta un rapper estone che si vestiva da letto e conquistava le sfilate. Arte, moda o delirio? Prima dell’Eurovision, prima del mainstream: benvenuti nell’universo stravagante di Tommy Cash
C’è chi l’ha scoperto adesso a causa Eurovision, a cui parteciperà in rappresentanza dell’Estonia con il singolo Espresso macchiato. E poi c’è chi — nel mondo della moda — non ha mai smesso di chiedersi: ma da dove viene questo genio fuori asse? Tommy Cash, rapper estone con l’aspetto di un antagonista di un videogioco cyberpunk e l’umorismo di un meme di culto, è da anni l’enfant terrible delle sfilate. Il suo armadio sembra curato da un’intelligenza artificiale cresciuta a pane, teatralità, Tumblr e rave baltici. Ma sotto i baffi a manubrio e lo sguardo da trickster post-sovietico, si nasconde un visionario che ha fatto della moda una performance continua. E lo faceva molto prima che arrivassero i riflettori della TV mainstream.

Arte o presa in giro? Tommy Cash e i suoi look più stravaganti
Rapper estone classe 1991, cresciuto a Tallinn in un contesto post-sovietico e scolpito da internet, rave e cultura visuale estrema, Tommy Cash (pseudonimo di Tomas Tammemets) è una figura impossibile da incasellare. È performer, artista concettuale, stilista di sé stesso, attore del nonsense. Nel front row delle sfilate internazionali — da Parigi a Milano — Cash è diventato una presenza fissa e assolutamente fuori scala. Non tanto per esserci, quanto per come ci arriva. Quando alla sfilata di Diesel si è presentato vestito da senzatetto, con coperte logore addosso, sacchetti della spesa come accessori e un’aria da sopravvissuto urbano, il fashion system ha trattenuto il respiro. C’era ironia, certo, ma anche una critica feroce al modo in cui la moda assorbe il disagio sociale per poi venderlo come tendenza. Tommy l’ha fatto letteralmente: incarnandolo, sporcandosi, uscendo completamente dalla comfort zone estetica del fashion month.

Poi c’è stato il momento “neonato” da Amiri. Con ciuccio in bocca, cuffietta di pizzo e tutina candida, Cash sembrava il frutto di una collaborazione tra Balenciaga e un asilo nido. Un modo per smascherare l’iper-maschilità mostrandosi fragile, ridicolo, infantile? Oppure la moda come regresso, come gioco? Lo sa solo lui cosa intendeva, forse tutto, forse niente. E come dimenticare il look da tavolo da pranzo? Alla sfilata del brand giapponese Doublet, Cash è apparso trasformato in una tavola apparecchiata: tovaglia intorno al busto, piatti, bicchieri, posate e addirittura una candela incorporata nella mise. In mezzo a un pubblico di addetti ai lavori in abiti impeccabili, lui era un ready-made umano, una citazione vivente di Duchamp che sfidava la sacralità della moda.

Quando è arrivato alla sfilata di Y/Project con un piumone drappeggiato intorno al corpo, un cuscino legato dietro la testa e una maschera da notte sugli occhi, qualcuno ha riso, qualcuno si è indignato. Ma la verità è che Cash stava dicendo qualcosa di semplice e geniale: “Siamo tutti esausti, e la moda può anche essere il luogo in cui si celebra questa stanchezza collettiva”. Non un look, ma un messaggio. Un’infiltrazione della realtà nel teatro artificioso delle sfilate.

Da Jean Paul Gaultier, Cash si è presentato con una tuta color pelle con muscoli ipertrofici, come un supereroe uscito da un cartone alquanto disturbante. In un altro, con una silhouette monastica che pare fluttuare sopra la passerella. E poi ci sono le sue collaborazioni con Rick Owens — uno dei pochi ad averne intuito subito la potenza visiva. Owens non lo ha mai usato come semplice ospite, ma come estensione vivente della sua visione: radicale e disturbante. Maison Margiela lo ha voluto più volte in prima fila, d’altronde chi meglio di lui incarna la decostruzione dell’identità? Balenciaga lo ha accolto come un profeta del nonsense. Gli stilisti lo osservano come si osserva una variabile impazzita che però ha sempre qualcosa da insegnare: il coraggio di non essere cool nel modo convenzionale, la libertà di sabotare le regole del gioco senza smettere di giocarci.

C’è stato anche il mimo, il cosplay di Anna Wintour, l’ammasso di capelli vivente, il guerriero in armatura: troppi “look” – sarebbe più corretto chiamarli messe in scena – per citarli tutti. La sua estetica non è una posa, ma un linguaggio coerente, stratificato, che mescola cultura internet, trash, simbolismo post-sovietico, meme art e critica sociale. Le sue mise assurde non sono mai fini a sé stesse, ma piccole opere d’arte — talvolta ingestibili — che mettono in crisi il confine tra moda e performance. Forse tutto ciò è arte; forse è presa in giro. Ma più probabilmente è entrambi. Ed è geniale. Tommy Cash non si limita a indossare abiti, indossa di tutto e poi assalta, deforma, carica questo tutto di significati nuovi, satira e ironia.
Un performer, nel senso più totale che ci sia
Cash non è solo un rapper, né solo un provocatore: è un performer totale. Lo è nei videoclip — vere installazioni post-digitali dove il corpo diventa glitch e parodia — e lo è nella vita. In “Winaloto” danza tra cloni e deformazioni, in “X-ray” si smonta come una Barbie aliena. E non sorprende che il fashion system, sempre più assetato di contenuto che vada oltre l’estetica, abbia trovato in lui una figura quasi necessaria: l’artista-vestito, l’infiltrato, il sabotatore. Un body concept da osservare e assorbire.

Dietro i suoi look assurdi, la sua musica, i suoi video e le sue mosse pubbliche c’è sempre una riflessione sottile, spesso scomoda, sull’identità, il capitalismo, l’ossessione per l’immagine. In questo senso, Tommy è molto più vicino a un artista performativo o a un fashion theorist che a un semplice musicista.
Adesso, l’Eurovision lo lancerà verso un pubblico mainstream, ma Tommy Cash non è mai stato fatto per la normalità. È una figura liminale, uno che attraversa mondi — arte, moda, musica — lasciando dietro di sé una scia di provocazioni estetiche che spingono a pensare. Quindi la prossima volta che lo vedrete in passerella o su Instagram vestito come un elfo post-umano o un businessman del metaverso, ricordatevi: non è follia. È arte. Arte che si lega con la moda e che diventa un linguaggio. E Tommy Cash lo parlava fluentemente ben prima dell’Eurovision.