Versace by Fendi by Versace
Courtesy of Versace

Versace by Fendi by Versace

di Silvia Vacirca

Fendi e Versace hanno chiuso la Settimana della moda di Milano con uno spettacolo in cui si sono scambiati le maison

Baguette Versace? Medusa di travertino? No, Fendace. La nuova chimera della moda nata dall’innesto di Fendi in Versace, e viceversa. Kim Jones e Silvia Venturini-Fendi di Fendi e Donatella Versace di Versace hanno chiuso la Settimana della moda di Milano con uno spettacolo pirotecnico dove ogni maison interpretava i codici dell’altra in una mini-collezione. Il futuro del lusso, a quanto pare, non è in un nuovo design particolare – non siamo mica nel 1947 -, anche se il “towel dress” è un’invenzione deliziosa, ma in un nuovo modo di suscitare il desiderio sintetico, carico di rischi e promesse.

I designer di Fendi e Versace si sono “scambiati” le case di moda per creare ciascuno venticinque look logomaniaci e un merchindising pantagruelico basati l’uno sull’archivio dell’altro. Il trafugamento degli archivi è un’operazione dai risvolti ironici se si pensa che, in fondo, il furto e la moda sono la base della relazione dei fan con le celebrity. Non vogliamo quella cosa perché costa tanto, la vogliamo per metterci nella posizione di una personalità famosa.

Courtesy of Versace
Versace by Fendi

A Milano non si parlava d’altro. Giornalisti sull’orlo di una crisi di nervi si sussurravano trepidanti: “Ma quindi? Fendace?” Non senza ragione, visto che dalla Battaglia di Versailles nel 1972 – se non avete letto il libro di Robin Givhan, dovete – non si vedevano marchi dall’identità colossale rompere lo status quo e fare qualcosa di così divertente, prendendo in giro il mito dell’unicità del brand, dello stilista e, se volete, di noi stessi. Sebbene l’industria della moda sia basata sulla competizione e l’esclusività, domenica sera due brand italiani del lusso hanno sfidato questa idea, in nome dell’amore. 

In un’intervista Kim Jones ha affermato che l’idea per il “design-off” è nata a febbraio dopo le sfilate di prêt-à-porter, quando i designer stavano cercando un modo per celebrare il ritorno degli eventi dal vivo. Ha poi aggiunto che l’intenzione per la presentazione non era di essere virali o competere: “Volevamo farlo perché ci amiamo”. Il brief non detto era che i designer creassero una collezione che mantenesse una ‘profonda ammirazione per i codici e le culture’ delle rispettive maison, mentre apponevano il proprio marchio su di esse. Versace by Fendi ha esplorato l’idea di dualità, con il monogramma a doppia F che sposa la greca di Versace. D’altra parte, Versace ha seguito una strada dirompente, perforando i segni e i simboli di Fendi con le spille da balia di Versace. A parte il talento stellare sulla passerella – Gigi Hadid, Stella Maxwell, Vittoria Ceretti, Precious Lee e Lila Moss, Naomi Campbell, Kate Moss, Amber Valetta e Kristen McMenamy, musa di Gianni Versace -, il parterre non era da meno. Nel pubblico c’erano Liz Hurley, che deve se stessa a un vestito di Gianni Versace, e suo figlio Damian, Dua Lipa, Demi Moore, Evan Mock, Winnie Harlow, Zoey Deutch e Chiara Ferragni con suo marito Fedez, tra gli altri.


Fendi by Versace

Il concetto di scambio di leadership non è del tutto nuovo nella moda. Ad aprile, Balenciaga e Gucci hanno fatto scalpore quando il direttore creativo di Gucci, Alessandro Michele, ha mostrato una collezione piena di influenze Balenciaga in quello che ha chiamato “The Hacking Project”. A giugno, il direttore creativo di Balenciaga, Demna Gvasalia, ha replicato con la sua personale interpretazione del marchio Gucci, presentando creazioni come le borse con il logo della doppia B al posto della doppia G di Gucci. È probabile che partnership come questa continuino e più riusciranno a unire aziende rivali, più avranno successo. A questo punto, non si capisce perché non abbiano firmato un reality show.

Ma diamo a Cesare quel che è di Cesare. Questa idea della collaborazione tra designer, infatti, è di Miuccia Prada che, in anni pre-pandemici, aveva dichiarato: “Una cosa che amerei fare sarebbe lavorare con Raf, e forse con altri – sarebbe così divertente”. Ma anche un po’ di Demna Gvasalia, che l’aveva fatto con Vetements nel 2016, quando aveva collaborato con diciotto marchi, inclusi brand del lusso come Comme des Garçons, Manolo Blahnik e Brioni.