La vittoria all’Open di Australia, la più grande impresa nella carriera di Roger Federer. Una finale capolavoro di cinque set giocati con il suo storico rivale, Rafael Nadal. Ecco la storia di un dualismo, di gioco e di stile, che si ripete

Un eterno conflitto. Quello tra forza ed eleganza. Quello tra Rafa Nadal e Roger Federer. Essenziali uno all’altro, mai all’ombra del rivale, progettati per contendersi l’ultimo punto, per scrivere di proprio pugno, attraverso imprese epiche, la storia di questo tennis contemporaneo.

Sono loro artefici di leggendarie battaglie sul campo da tennis, come quelle di tanti altri incontri che un po’, oggi, tutti tirano in ballo (Ali contro Foreman, l’oro di Carl Lewis ai Giochi, le prodezze di Pelè e Bartali, di Lewis e Michael Jordan). Atti eroici che rimarranno esempio per i posteri, come quello della finale degli Australian Open 2017. Un racconto, lungo tre ore e trentotto minuti che ha fatto soffrire chi di tennis ci vive quasi tutti i giorni e ha lasciato a bocca asciutta chi questa partita se l’è trovata in tv mentre faceva colazione la domenica mattina. E si è fermato a guardarla fino alla fine.

Il riassunto è il quinto e decisivo set e in quello scambio durato ventisi colpi, il più lungo del match. Prova emotiva e culmine di una sfida che va ben oltre la competizione sportiva.E che attesta senza possibilità di obiezione che Roger Federer, annunciato già da gianni Clerici nel lontano 1999, sia il prescelto, al pari di Sampras e Agassi qualche decennio fa.

Perché d’altra parte bisogna mettetlo in conto. Quando varchi i cancelli dell’Olimpo, un biglietto d’entrata lo dovrai pur pagare. È successo a tutti i grandi dello sport, del cinema, dell’arte, della letteratura. Il paragone con la divinità che ti ha preceduto, e con quella con cui continuamente ti scontri per aggiudicarti il trono, il confronto fin nei minimi dettagli, analizzato maniacalmente per scovare affinità o differenze è inevitabile. E così accade anche nel tennis. Dall’appoggio del piede in scivolata sulla terra rossa francese, al rimbalzo a uscire di una palla sparata a 260 all’ora come prima di servizio sul manto verde inglese. Dall’affinità con i colpi al volo a rete, alla passione per quel gioco danzante dei piedi sulla linea di fondo campo. Da quella maglietta che è continuamente da sistemare al ciuffo di capelli da fermare sotto la fascia.

È successo a Pete Sampras e Andre Agassi. Succede a Roger Federer e Rafael Nadal. Sampras sta ad Agassi come Federer sta a Nadal. Nette contrapposizioni di carattere, eccezionali similitudini di stile.

Dieci anni esatti di differenza, i punti di forza di Roger Federer e Pete Sampras sono senza dubbio la calma e quell’esultanza composta e silenziosa, quasi religiosa. Insomma, due gentleman del tennis. ‘Sono accomunati in campo dal rovescio a una mano. Nella sua epoca Sampras era già circondato da bimani come Agassi e Connors, grandi attaccanti da fondo campo. È lo stesso per Federer, rarità tra i giocatori del rovescio a due mani come Nadal, Djokovic, Murray. Sono così pochi i giocatori del rovescio a una mano ed è eccezionale pensare che i due più grandi giocatori degli ultimi vent’anni abbiano esattamente questa caratteristica’, spiega Gianni Clerici, ex tennista, giornalista e scrittore.

Sampras, sempre con lo sguardo fisso sulle scarpe, spalle ricurve, sorriso timido e quei pantaloncini che, se non per i colori almeno per il taglio oversize, senza dubbio nei primi anni della sua carriera si ispiravano alla moda del basket. ‘Chiesi, anzi quasi obbligai, il mio amico Sergio Tacchini a metterlo sotto contratto. Dopo John McEnroe o Jimmy Connors, Sampras sarebbe stato il suo miglior investimento. Lo fece, ma per un anno non vinse nulla e mi rimproverò’ sorride Clerici. Sono gli anni in cui l’Nba mette lo zampino nello stile del tennis: maglie extralarge con le spalle cadenti che Sampras deve continuamente sistemare dopo aver servito la prima di servizio, con quei bragoni che lo fanno somigliare a un ragazzino con i vestiti del padre ma pur sempre più sobri di quei color block portati dal suo eterno rivale Andre Agassi. Con i ciclisti fuxia indossati sotto i pantaloncini, fu il primo a entrare in campo in jeans con le scarpe fluo, colorate come svariate bandane che tentavano invano di tenere a bada un parrucchino indomabile che spesso gli copriva gli occhi truccati con la matita nera.

Le divise di Agassi sono il simbolo del tennis a cavallo degli anni Ottanta e Novanta, hanno invaso e vestito tennisti giovani, e meno giovani, di mezzo mondo. Il suo look punk-rock ribelle faceva schizzare alle stelle il fatturato del suo sponsor: ‘È bello sapere che se anche perdo il mio gioco, riesco ancora a piazzare merce’, scrive nel suo libro Open. E la storia continua, ora lo fa Nadal, maschio alpha con bicipiti sempre in bella mostra che porge in tono di sfida ai suoi avversari ancora prima di iniziare la partita grazie a una serie illimitata di magliette smanicate.

Fanno parte di quei riti cerimoniali ben precisi, quasi ossessivi, come il modo di Federer di appoggiare la giacca alla spalliera della sedia, quel tic costante di sistemare i capelli, le bottigliette di Nadal allineate sempre con lo stesso ordine o quel modo che aveva Sampras di alzare la punta del piede prima di servire come per prendere la mira.

Nel suo libro Il tennis come esperienza religiosa, David Foster Wallace definisce Sampras come ‘un animale in cima alla catena alimentare’ che colpisce la palla con quella serena nonchalance di chi ne è consapevole. La stessa consapevolezza che ha Federer quando impatta la palla di rovescio e la spedisce in angoli mai visti del campo dando vita a uno di quei ‘momenti Federer’ che fanno cadere la mascella a chi non hai mai capito nulla di tennis e ancor di più a chi invece con il tennis ha a che fare tutti i giorni perché diviene consapevoli di essere di fronte a un genio irriproducibile.

Sampras ha inspirato Federer, dice Andrè Scala, filosofo francese e autore di I silenzi di Federer. Quel classicismo di stile e di atteggiamento. La bellezza di quella danza elegante a fondo campo che sembra andare contro i principi della gravità. Sampras e Federer, innovatori a loro modo. Non nel modo di Borg o McEnroe: non hanno inventato nuovi colpi ma uno stile di gioco, che a quanto pare molti dei loro avversari non sono ancora riusciti a decifrare. Hanno portato a un livello superiore le caratteristiche di gioco dei loro predecessori. I due hanno sul campo quell’atteggiamento assorto e aggraziato che tanto si contrappone all’esultanza dei loro storici rivali, vedi le esultazioni kabuki (come le definisce Wallace) di Nadal a pugno serrato, le esplosioni energetiche di Connors o gli autoincitamenti di Agassi. Versi poetici contro musica rock. Agassi e Nadal, due bombardieri con quello sguardo dal basso verso l’alto che trasforma automaticamente l’avversario in un sorvegliato a vista. Giocatori che hanno spinto all’estremo il gioco di attacco da fondo campo vestono gli abiti di due lottatori. Bandane e orecchini simbolo di ribellione di Agassi, T-shirt smanicate e pantaloncini che evidenziano i fasci muscolari di Nadal come un avvertimento.

L’abbigliamento rispecchia la personalità dei giocatori, tranne a Wimbledon. ‘Sull’erba dell’All England Club le regole del dress code non si cambiano da secoli. Il bianco delle divise, che arrivava dal cricket, annienta gli stili dei giocatori. Non si discute su regole che quest’anno hanno anche mandato Federer negli spogliatoi a cambiarsi le scarpe perché la suola arancione disturbava il total white’, spiega Clerici.