Barack Obama, il presidente icona che divide

Barack Obama, il presidente icona che divide

di Chiara Degl’Innocenti

Da pacifista e simbolo di rinascita a leader contrastato

‘Il mondo è cambiato’ titolavano tutte le prime pagine mondiali all’indomani dell’insediamento alla Casa Bianca di Barack Obama, il primo presidente degli Stati Uniti afroamericano, leader di un’America pronta ancora una volta a guidare il mondo. Ma oggi, a quasi cinque anni da quando, celebrato come un messia, l’opinione pubblica fiaccata dall’economia in crisi e dal terrorismo minaccioso aveva risposto in lui le speranze di rinascita, le cose sono cambiate. E molto.

Oggi Obama è un presidente-icona che divide. Gallup, l’istituto più prestigioso d’America in fatto di sondaggi, in un’analisi sul tasso di approvazione nei suoi confronti rivela che un esiguo 44% degli elettori è ancora d’accordo con le sue scelte, ben lontano dal 69% con cui il capo della Casa Bianca aveva iniziato a governare.

La gestione della vicenda siriana è solo l’ultimo ‘errore’. Gli americani sono spaccati in due: il 50% è sempre stato contrario all’attacco, l’altra metà è invece a favore di un’azione limitata, ma quasi otto americani su 10 ritengono che il presidente Barack Obama non possa più decidere da solo.

Il grande comunicatore della Casa Bianca ha perso smalto. Durante il discorso alla nazione in diretta tv e nelle interviste rilasciate ai maggiori network americani nello stesso giorno in cui la corsa alle armi in Siria si prendeva una pausa per ‘merito’ della mediazione di Vladimir Putin, Obama è apparso stanco e in imbarazzo. Il caso Siria lo ha costretto a constatare il proprio isolamento, sia nazionale sia internazionale, oltre che a metterlo in guardia nei confronti di un oceano di sondaggi negativi che fanno uscire allo scoperto una figura ambivalente: da Obama pacifista prima a guerrafondaio oggi.

Emblematico lo speciale del Time di alcuni giorni fa. Una grande pagina bianca, la figura di Barack Obama piccolissima in basso al centro. Titolo: “Il combattente infelice. Si candidò per tirar fuori l’America dalle guerre, non per ritirarla dentro”. L’analisi di Time era chiara: l’ostinazione nel perseguire l’obiettivo-Siria è dettata dal fatto che ci siano in gioco interessi per gli Stati Uniti più che dal rifiuto dell’uso delle armi chimiche da parte dell’esercito di Assad.

E subito dopo il Time è tornato sulla vicenda ma questa volta dedicando uno speciale a Putin in cui l’America è definita ‘debole e tentennante’ e la Russia ‘ricca e in fase di rinascita’.

Anche il The New York Times ha usato toni cupi: ‘un momento molto strano per Mr Obama, che ha lavorato duramente per uscire fuori da due guerre debilitanti’. E ha rivolto un appello al leader: ‘Così come il presidente sta pensando di colpire la Siria, anche l’elettorato merita di comprendere ciò che l’azione militare americana, definita limitata, significa in realtà’.

Dall’altra parte della costa, il Los Angeles Times ha parlato di ‘inversione a U’ da parte di Obama nella richiesta di autorizzazione ad attaccare la Siria da parte del Congresso. Una decisione che ha minato in modo sorprendente la sua ‘presunta autorità’.

È il popolo americano ora a identificarsi meno con il presidente-icona. Lo ha fatto notare anche il quotidiano inglese Guardian , all’indomani di quello che ha definito ‘il fallimento del G20’ usando toni duri contro Obama: gli Stati Uniti sono una superpotenza, per l’Inghilterra un alleato essenziale, ma non si possono più permettere di decidere da soli. Obama deve fare i conti con un’opinione pubblica sempre più ‘agguerrita’ in favore di una pace tra i popoli.

E l’ultimo smacco (forse il più duro) viene da 24.000 persone (in crescita) che hanno firmato una petizione (lanciata da RootsAction.org) affinché Obama restituisca il premio Nobel per la Pace ricevuto nel 2009, concesso come pensano in tanti ‘sulla fiducia’ visto che il presidente americano, al momento della premiazione di Oslo, non aveva fatto ancora niente per meritare tale onorificenza. Ma consentire a Putin di fare la prima mossa e ‘rimandare’ un eventuale attacco armato, non è forse un gesto che tenta di evitare la guerra? Per molti è solo un atto di debolezza da parte di un presidente che prima univa e ora divide.