Un brand storico, uno scenario in trasformazione. Così il direttore creativo è partito alla scoperta del nuovo mondo dell’eleganza globale. Dove lo stile è uno status e le lingue sono arabo, brasiliano, cinese

Ha lavorato per la grande tradizione dell’abbigliamento maschile militando nelle fila di Hermès, Louis Vuitton e Alexander McQueen. È poi approdato nel marchio che più di tutti, oggi, influenza moda e tendenze: Givenchy. Attualmente, sigla la nuova parabolaestetica e strategica di Brioni, mantenendo l’umiltà e l’entusiasmo che lo contraddistinguono. Brendan Mullane, designer inglese con una formazione che spazia dal design alla moda, è oggi uno dei nomi più interessanti nel panorama dell’abbigliamento maschile. In sole due collezioni, ha imposto un’inedita filosofia di mercato: fornire l’abito giusto alla nuova generazione di businessmen dei Paesi del Brics, che dimostrano una (probabilmente) inattesa cultura dell’eleganza e una conoscenza approfondita dei prodotti di alta qualità. Proprio a loro si indirizza la nuova strategia di Brioni, marchio italiano entrato nel gruppo Kering. Il risultato ottenuto da Mullane, quindi, fa scuola: l’alta moda maschile si fa vicinissima alla couture femminile per lavorazione e materie prime impiegate, tenendo ovviamente in gran conto le tendenze contemporanee; e punta tutto sull’inventiva e sulla creatività dello storico brand: «gli artigiani di Brioni non rispondono mai “non si può” a una mia richiesta», ama raccontare Mullane, «al massimo accennano curiosi un “proviamo…”». 

Non dev’essere uno scherzo conquistare i businessmen cinesi, arabi e brasiliani. Viene il sospetto che oggi siano più informati anche dei colleghi occidentali sull’eleganza maschile. 
«Il segreto è proporre creazioni dalla confezione e altissima qua-lità. E puntare senza pregiudizi sulla nuova ricettività dei mercati lontani dall’Italia e dall’Europa. Il Brasile, per esempio, è senza dubbio un Paese di riferimento per le tendenze del lusso. È in atto una rivoluzione irreversibile nei consumi di questo settore. E le ragioni di questo cambiamento sono fondamentalmente due. Da una parte, l’avvento di una classe media chiamata a guidare le imprese e i capitali di questi nuovi mercati. Dall’altra, l’iper-informazione di Internet, che ha fornito a livello globale i mezzi per conoscere, capire e apprezzare la qualità dei prodotti». 

Cosa ricercano, di preciso, questi consumatori? 
«Il primo desiderio, forse insospettabile per uomini potenti per definizione, è quello di essere desiderabili: un uomo d’affari vuole sentirsi elegante, bello, attraente anche con un completo da ufficio. Quindi, bando all’eccesso di tradizionalità: la forma deve essere moderna e scattante; le linee degli abiti devono essere studiate quasi come una seconda pelle. L’obiettivo è vestire l’individualità in un ambiente spersonalizzante come quello lavorativo. Un manager ha bisogno di sentirsi unico. In secondo luogo, è fondamentale non millantare: in un momento di invasione di prodotti veloci e scadenti, materiali di alta qualità e lavorazioni artigianali complesse sono ancora più apprezzate. Non è mai una questione di prezzo ma di eleganza e di cultura dell’abbigliamento». 

Dove vorresti condurre Brioni nei prossimi dieci anni? 
«Difficile fare previsioni così a lungo termine in un periodo di trasformazioni veloci come l’attuale. Una cosa, però, è sicura: il mio obiettivo non è quello di assecondare semplicemente le mode ma di rappresentare e definire sempre di più il Dna di questo marchio. Si tratta di un’operazione di onestà culturale e industriale che non concede compromessi e che, attualmente, fa la differenza tra un brand e l’altro. È l’ultimo livello nell’evoluzione del lusso contemporaneo: massimo della cultura dell’abbigliamento al servizio di un’attenta valutazione del vivere e del lavorarecontemporanei. Per questo parlo di Dna: non si tratta di alterare una tradizione al fine di assecondare il trend. Occorre adattarsi a un mondo – attenzione: non a una moda – che cambia»