Il talento più acclamato della moda internazionale è italiano, per fortuna. Ma non come uno se lo aspetta

Fuma moltissimo. Filosofeggia volentieri sulla “società d’oggi” (in negativo) e sulle “persone umane” (fragili, in positivo). Sta seduto in punta di poltrona nel suo ufficio di Parigi per accorciare le distanze e si veste di niente: «Ah be’, ci sono andato pure a cena con Nicolas Sarkozy, in questo modo. Mica ho problemi io», dice, con le sue Nike portate senza calze, i bermuda aderenti da record dell’ora, la polo nera con tagli fluo.

Riccardo Tisci da dieci anni è il direttore artistico non solo di Givenchy, circostanza in fin dei conti accidentale, ma di una gang di celebrità sempre più articolata e postmoderna, di gentildonne e banditi, come non la si vedeva intorno a un creativo italiano dai giorni barocchi di Gianni Versace. Madonna. Rihanna. Jessica Chastain. Lea T. Jay-Z. Kanye West. Mariacarla Boscono. Courtney Love. Kim Kardashian. Beyoncé. Ecco alcuni dei corpi da esposizione universale che indossano qualsiasi cosa lui crei, sia afro o fetish, gipsy o cyborg, minimal o favela, per poi postarla su Instagram regalandogli milioni di wish invidiosi: «Sono amici, non ho mai pagato nessuno: al massimo, mando un sms a Rihanna con scritto: “You look major!”», rivendica. «E loro apprezzano la mia fedeltà: non vestirò mai la nuova Madonna, ad esempio, o la nuova Marina Abramovich: lavoro solo con gli originali». Tenuto sul cubo delle feste e dei salotti per un altro buon motivo, ammette senza difficoltà: «I’m the king of gossip, ovvio. Mi adorano anche per questo».

A un soffio dai quarant’anni, premiato lo scorso giugno come migliore stilista internazionale ai CFDA Awards di New York, nonostante viva all’estero da sempre, Tisci parla spesso di italianità e d’Italia, dove ha appena ristrutturato la casa comasca del padre (scomparso quando aveva quattro anni) per far vivere «in una dimensione da Mulino Bianco» mamma Ermelinda e le sue otto sorelle. Un tricolore che difende da postazione remota, quasi da solo. Consapevole, o no.

Come ti senti ad essere l’ultimo dei mohicani?
«Triste».

Eppure.
«Eppure, in effetti, son stato l’ultimo italiano a osare. Dopo Dolce&Gabbana, e in un certo modo Miuccia Prada, non c’è stato più nessuno che abbia avuto la forza di imporre un’immagine nuova, senza ricalcare cliché».

Ci ritroviamo difesi dal più atipico dei connazionali, però.
«Atipico perché in me l’Italia felliniana non esiste. Vedo più Asia Argento che Sophia Loren, più Luca Guadagnino che Pier Paolo Pasolini. Sono persino riuscito a liberarmi dalla schiavitù della bellezza e a esplorare liberamente l’ugly, l’orrido. La mia è un’Italia più giovane ma più pesante, con la mafia, il Vaticano, i misteri, il dark. Una rappresentazione più onesta, in fondo».

Il tuo trono come lo difendi?
«Non guardandomi in giro, per niente. Sono tre anni che non sfoglio un giornale di moda».

Spacconeria.
«No. Determinazione feroce a non essere contaminato. Appena mi dicono “bravo” cambio tutto, come un bambino monello. Così ho sempre qualcosa di nuovo da dare. Felicemente fuori dai trend, pronto a produrre cose che non siano comode e rassicuranti per lo sguardo».

La transessuale Lea T, Kim Kardashian, Courtney Love, amiche e muse, non sono per niente comode allo sguardo.
«Ho dato supporto a Courtney quando tutti pensavano fosse una pazza, quasi anestetizzata dai drammi che le erano piombati addosso. Da otto anni nessuno la faceva cantare e io l’ho portata a suonare qui. Perché l’ho fatto? Perché è una donna intelligente, vivace, buona. E per umanità».

Il pozzo dal quale attingi è questo, l’umanità?
«Direi più che altro i miei deliri. E le mie ossessioni».

Non sembra una brutta parola, detta da te, “ossessioni”…
«No. Perché in realtà tutto ciò che mi piace intensamente diventa tale. Sono così per l’amore, per lo sport, per l’arte, per la notte. Piacere e delirio coincidono. Sono un motore che brucia».

Cosa occupa la tua testa, in questo periodo?
«Il design italiano degli anni Sessanta. In particolare Gio Ponti e Carlo Scarpa. Sto comprando moltissimi pezzi e ci voglio arredare le mie case. E poi l’Africa, dove ho organizzato per quest’inverno un viaggio randagio, libero, come quello fatto a Cuba insieme a Mariacarla, tanti anni fa. Ci sono città dove sono obbligato a frequentare i grandi alberghi, a girare con le auto di rappresentanza. Ma appena posso, scappo. Quell’energia ancora non l’ho persa».

A furia di bruciare, c’è un sentimento in te che s’è inaridito?
«Avrei detto la fiducia nell’amore, fino a poco tempo fa. E invece ho ritrovato anche quella».

Vivete assieme?
«No».

Una distanza pensata per mantener viva l’ossessione?
«Quella c’è già. Si fa di tutto per vedersi: otto ore di volo, e sei dall’altra parte del mondo».

Con chi trascorri le serate più belle, dall’altra parte del mondo?
«Ho fatto serate pazzesche con tutti: Kanye West, Pharrell Williams e Rihanna, ad esempio, coi quali ho passato una notte in sala d’incisione, a sentirli cantare. Forte: io, unico bianco, in mezzo a loro, neri, bellissimi, pieni di forza e di tempra».

Jay-Z?
«È il più posato di tutti. Molto tranquillo se c’è da far serata, ma artisticamente e intellettualmente il più avanti di tutti, quello con meno paura».

Poi c’è Madonna.
«L’essere umano che più sa come divertirsi sulla faccia della Terra. Con lei ho trascorso nottate a Berlino, a Parigi, a Ibiza, a Londra. Si finisce a casa sua, a casa di gente, è tutto imprevedibile. Con lei, si muove un’energia che sposta i palazzi».

E quando si sposta Tisci?
«Diciamo che sono due i posti in cui passano tutti, a Parigi. Gli Champs-Elysées e casa mia».

Ami più la moda o la musica?
«La musica».

E più della musica?
«Lanciare messaggi attraverso le mie creazioni: amo la sociologia».

La notte, invece, perché è così importante nella tua immaginazione?
«Perché rappresenta la celebrazione pura. Io prendo aerei per andare a Ibiza a un’inaugurazione, o a sentire un deejay a Miami. Io sono nato in discoteca e in discoteca ci morirò. Anzi, morirò durante un rave».

Foto: Inez e Vinoodh