Tra Londra e Milano, un grand tour dell’eleganza maschile firmato Dolce&Gabbana

Forse sono solo un redattore ingenuo, ma fino al giugno scorso non mi era mai capitato di imbattermi in un’esposizione di condom e sex toys durante l’inaugurazione della boutique di uno dei più importanti brand di moda del mondo. L’idea di fondo, come mi ha chiarito Stefano Gabbana quella sera a Londra, era la seguente: «Perché no?», ha detto strizzandomi l’occhio. «Magari nella moda non ci pensa nessuno, ma il sesso fa parte della vita di ognuno di noi: è qualcosa di reale. Per uomini veri, donne vere, tutti quanti insomma».
Negli ultimi tempi Gabbana e il suo partner creativo di una vita, Domenico Dolce, hanno riflettuto parecchio – a livello chiaramente professionale – sui desideri di un pubblico maschile “in carne e ossa”. E il loro lavoro sul menswear è arrivato a un punto di svolta.

UN’IMPRESA DI TUTTO RISPETTO  — Quella sera di giugno cadeva di sabato: era la vigilia di London Collections: Men, la fashion week inglese che ha appena un anno di vita, ma un tale successo da far sentire un po’ minacciati alcuni dei big della moda milanese. Anziché giocare in difesa, Dolce e Gabbana hanno accolto la sfida di essere i primi rappresentanti della moda italiana a cavalcare l’ultima ondata del cool londinese. E quella sera, all’affollata inaugurazione della nuova boutique in New Bond Street, si sono presentati parecchi degli uomini più influenti ed eleganti della città (nonché io, che non rientro in nessuna delle due categorie). Si chiacchierava in mezzo a spalle dal taglio impeccabile mentre gli ospiti esploravano gli ambienti della boutique – tre piani con pavimenti in parquet restaurato e marmo pregiato. Abbiamo osservato con dovuta attenzione i sex toys di cui sopra, ed esaminato gli scintillanti cofanetti in coccodrillo nero ideati per contenerli. Ci siamo soffermati sulle litografie di Fornasetti e sui guardaroba antichi, colmi di accessori, maglie e camicie ammucchiati quasi a caso, come se si trattasse dell’armadio di una casa vera. Abbiamo ammirato la valigeria – in particolare una lucente cartella in coccodrillo con una copia del Daily Telegraph, giornale per cui lavoro, infilata con nonchalance sotto il lembo – e dato una sbirciata alla bottega da barbiere gestita dal londinese di origini siciliane Carmelo Guastella, che è da anni uno dei più rinomati esperti nel grooming dei gentlemen cittadini.

Ma soprattutto, abbiamo molto apprezzato gli abiti. I capi presentati quella sera, indossati da un gruppo di modelli appena passati sotto le lame di Guastella, fanno parte di una collezione speciale ribattezzata Dolce&Gabbana London, che sarà disponibile solo al numero 55 di New Bond Street. Una linea tipicamente Dolce&Gabbana: abiti nei modelli Gold, Martini e Riviera, dal fascino smaccato e spensierato. Ma gli elementi originali sono i materiali – quadretti e pied-de-poule –, come pure le giacche a doppio petto, più strutturate, o motivi patchwork stile Mondrian, nonché calzature e pantofole dai colori sfavillanti, ma ispirate alla miglior tradizione inglese. Tutto molto maiuscolo e moderno, eppure inequivocabilmente british: un’impresa di tutto rispetto, per due italiani.  L’idea dello store me l’ha sintetizzata Gabbana: «Volevamo che ricordasse l’appartamento di un uomo che ha girato il mondo, è innamorato della Sicilia e abita a Londra». Qualche istante più tardi, Dolce e il resto del team sono scomparsi per imbarcarsi su un jet che li avrebbe ricondotti a Milano e alla loro imminente collezione di menswear. Noi londinesi, invece, ci siamo riversati sul marciapiede, colpiti da quella fulminea e inattesa invasione italiana – e siamo andati a fare una cosa che ci viene bene: festa.

GENIUS LOCI  — Quell’universo creato ad hoc in New Bond Street è il primo di una serie di aperture in agenda del marchio per il futuro prossimo. Tutte le boutique venderanno esclusivamente accessori maschili e si ispireranno al Paese in cui sorgeranno. Così, quando la griffe aprirà a Parigi (la ricerca della location è in corso), darà al negozio un accento specificamente francese. E nel momento in cui il duo approderà a New York e in qualsiasi altra città, ogni store sarà personalizzato in maniera unica e irripetibile.

Un mese dopo l’inaugurazione a Londra, mentre ero di passaggio a Milano, Dolce e Gabbana mi hanno invitato nel loro quartier generale per valutare insieme le prospettive di questa nuova idea, e persino per elencarne i possibili difetti.
E così, siamo partiti: perché tante energie nel sartoriale quando la maggior parte degli uomini indossa solo jeans e T-shirt? Dolce posa il suo bicchiere d’acqua e alza le mani: «Sai, la gente considera gli abiti sartoriali come un’uniforme. La percezione dominante è che non scegli questi capi – completi, camicie e cravatte – perché ti piacciono, ma perché sei costretto a indossarli per lavoro. Sono un obbligo che devi sopportare, ma su cui non rifletti. Ed è terribile – si uccide qualcosa di bello». Gabbana annuisce: «Annienta ogni sensazione, ogni piacere, ogni desiderio».

SOLO PIACERE — «Quello che penso», lo interrompe Domenico (si interrompono spesso a vicenda), «è che la forma di seduzione più importante sia verso se stessi. Non ci si dovrebbe mettere una giacca o una cravatta solo per piacere agli altri o per corrispondere alle loro aspettative – si dovrebbe scegliere di indossare qualcosa innanzitutto per piacere a noi. Un vestito dovrebbe essere un’esperienza meravigliosa e quasi egoistica – qualcosa che fai per te. Ed è esattamente
il messaggio che desideravamo trasmettere a Londra: dai cofanetti in coccodrillo alle confezioni di condom che ti sono tanto piaciute, passando per il barbiere, per i sarti, fino ad arrivare agli abiti di taglio sartoriale appesi alle grucce. Sono tutti piaceri individuali, non obblighi».

MUSICA DEL MONDO  — Trasmettere il piacere della raffinatezza è un’impresa che Dolce e Gabbana hanno preso parecchio sul serio. Come è già accaduto con le collezioni femminili – concentrate, stagione dopo stagione, su una visione della donna ispirata all’iconografia della Sicilia che conferma la loro interpretazione unica della sensualità femminile –, l’eccellenza del capo

è diventata il centro focale anche di tutte le collezioni di menswear. E forse il cuore della concezione sartoriale di Dolce&Gabbana – abiti dalla linea elegante e studiati fin nei minimi dettagli, che affondano le loro radici nella tradizione – è che il loro approccio alla moda ha poco da spartire con Rihanna o con Twitter o con tutto ciò che piace alla moderna società di massa. In altre parole, non è banale: e bisogna avere un certo grado di raffinatezza anche solo per cominciare a capirli. Come spiega Dolce: «Quando discutiamo della giacca, dei pantaloni, della camicia e del gilet, l’idea è sempre grandiosa. Ma il progetto dev’essere armonico in ogni sua parte, come un’orchestra. Le note di questa armonia sono forma, volume e proporzioni – e se uno di questi elementi viene modificato, sia pure di pochi millimetri, anche gli altri devono essere trasformati per essere certi che il risultato sia egualmente armonioso». Gabbana aggiunge: «Stiamo cercando di sperimentare con la tradizione. Siamo ossessionati dai particolari, ci piace approfondire ogni minuzia. Siamo consapevoli che non si tratta di una moda per tutti. Mi viene sottolineato spesso che ai giorni nostri nessuno ha più il livello di attenzione necessario per capire – ma noi non siamo d’accordo. Sappiamo che esiste una fetta di pubblico maschile che nota e apprezza anche
il più piccolo dettaglio».

CONTENITORE, CONTENUTO — Se l’abito tradizionale da uomo è una facciata sartoriale in cui Dolce e Gabbana stanno cercando di infondere nuova vitalità, ne consegue che stanno tenendo conto anche dell’architettura che lo circonda – ovvero del modo in cui si vestono gli uomini dei Paesi in cui il brand vende i propri capi. «Naturalmente!», conferma Dolce. «A New York esiste una vera e propria uniforme: giacca blu a tre bottoni dorati e pantaloni color kaki. Mi trovavo lì per Pasqua, a messa in un’enorme cattedrale su Park Avenue, stracolma di gente. E tutti quanti, dai più giovani ai più anziani, indossavano lo stesso identico spezzato: giacca navy con tre bottoni dorati e pantaloni kaki! Così mi sono detto: “Okay, questa è l’uniforme degli Stati Uniti”. E l’abbiamo realizzata per loro, per gli americani, ma attraverso i nostri occhi». Poi aggiunge, proseguendo il suo tour virtuale nell’eleganza maschile: «Un altro Paese che troviamo molto interessante è il Giappone. Gli uomini lì hanno un profondo amore per la moda. Apprezzano le finezze sartoriali, ma non hanno paura di mettersi in gioco con idee interessanti o particolari un po’ stravaganti. Sono intellettuali che riflettono sul modo in cui si vestono, e al tempo stesso attenti e avventurosi». Dopodiché, con grande gentilezza, affermano di ammirare anche lo stile degli inglesi, dotati secondo loro di un’eccentricità e un brio naturali. «E poi naturalmente avete Savile Row». Accetto con garbo il complimento, anche se a dire il vero quel giorno rispondo più alla definizione di Dolce dello stile americano (sia pure con una giacca navy e senza bottoni dorati). E i due stilisti sono sempre più attratti, aggiungono, dall’estetica del pubblico maschile spagnolo. Racconta Gabbana: «L’uomo spagnolo è molto latino e per certi versi molto simile a noi – ma credo che loro riescano ad essere persino più forti e incisivi! Più spagnoli! Abbiamo delle boutique a Madrid, a Barcellona e a Puerto Banús, e naturalmente ogni tanto facciamo un salto anche a Ibiza e a Formentera. Esiste uno stile tipicamente spagnolo che ammiriamo molto».

NIENTE È PER SEMPRE  — Quale che sia il dialetto locale, tuttavia, il linguaggio dell’eccellenza sartoriale è internazionale – e, nel caso di Dolce&Gabbana, pronunciato con spiccato accento italiano. Come spiega Gabbana: «Il concetto di vestirsi per mettersi in mostra fa senz’altro parte della nostra cultura. E non si tratta solo della domenica, quando è d’obbligo fare bella figura!». Quando si tratta di competenze sartoriali, Dolce e Gabbana hanno una risorsa che nessun altro brand di alto livello può vantare: Domenico Dolce stesso. Nato in Sicilia da una famiglia di sarti, Domenico ha imparato i ferri del mestiere da bambino e ha tagliato il suo primo paio di pantaloni a soli quattro anni. L’ho visto con i miei occhi, nel backstage di una collezione femminile, trasformare radicalmente un abito da sera con un paio di colpi di forbice e qualche movimento sapiente di ago e filo. Benché Alexander McQueen, formatosi alla severa scuola di Savile Row, fosse un suo degno rivale, al momento non esiste nessuno nel mondo della moda che possa anche solo avvicinarsi alla maestria sartoriale di Dolce, al tempo stesso ricca di esperienza e istintiva: «Una giacca non è una canzone. Una canzone può sopravvivere in eterno. E anche se una giacca da uomo può essere bellissima nel qui e ora – e perfetta per questo momento –, non durerà per sempre. Perché i gusti e le proporzioni cambiano di continuo», spiega lui. Quindi sono convinti che gli uomini del ventiduesimo secolo indosseranno ancora rivisitazioni contemporanee dei capi del diciannovesimo e del ventesimo? «Ma certo», risponde Dolce. «Un classico è sempre un classico, e chi non desidera l’eleganza?». Così, mentre ci congediamo, mi viene in mente un’ultima domanda: per quale motivo tutti e due hanno scelto di indossare pantaloni corti e T-shirt per il nostro incontro? «Oooh!», esclama Gabbana. «Ci hai beccato! Ma dai, oggi ci saranno come minimo trenta gradi!».

Testo: Luke Leitch
Traduzione di Silvia Montis