Un rapper, un foto-reporter abituato agli scontri e alle zone di guerra, e un paio di Nike Air Max Plus: il marchio dello swoosh presenta la sua nuova campagna alle Leica Galerie a Milano

Un viaggio tra Milano e Genova, dalle origini al presente, passando per le lotte quotidiane e immaginandosi il futuro. Per la campagna delle Nike Air Max Plus, il brand dello swoosh ha fatto le cose in grande, assoldando come protagonista il rapper Tedua, classe ’94 e parte del collettivo Wild Bandana, e già due album all’attivo.

Dietro la macchina fotografica, sorprendentemente, Gabriele Micalizzi, i cui reportage da zone di guerra sono stati pubblicati, tra gli altri, dal New York Times, e ad oggi parte di Cesura, gruppo di fotoreporter fondato nel 2008 a Piacenza da Alex Majoli, presidente di un’istituzione come Magnum Photos.

Il mio primo ricordo legato alle Air Max risale al liceo. Erano le scarpe da avere per essere cool, ma all’epoca non avevo il budget adatto a sostenere quel progetto – spiega ridendo Micalizzi, alla presentazione della campagna, organizzata con una special exhibition alle Leica Galerie a Milano. ‘Ricordo un mio amico che le aveva indosso mentre faceva i graffiti, e per proteggerle le copriva con dei sacchetti in plastica.’

A fare da chiave di volta, nella narrazione, è stato un viaggio, appunto, tra Genova, luogo delle origini di Mario Molinari, vero nome del rapper, e Milano, sempre con le Nike TN (nome in codice delle Air Max che sta per Tuned) ai piedi. Un viaggio che ha visto i due diventare amici, nonostante la differenza di dieci anni.

Io e Mario condividiamo il background, un po’hardcore, delle vite difficili. Lo ascoltavo già da prima, essendo un amante del genere, che faccio ascoltare anche oggi alle mie due figlie, ma sul set siamo diventati amici, ho conosciuto la sua famiglia, ci sentiamo spesso, quasi ogni giorno.

Il risultato è un racconto per immagini curato da Micalizzi con attenzione anche nella parte cromatica (il bianco e nero per il passato, una parte a colori per definire il presente, una a tinte forti, fluo, per accogliere il futuro) e che poco assomiglia al classico concetto di campagna commerciale.

Il mio stile fotografico è molto forte, d’impatto, e questo può cozzare con le richieste di un brand. La forza di Nike è stata quella di darmi carta bianca. Avevano voglia di raccontare il personaggio di Tedua e insieme, raccontare una scarpa icona come le Air Max. Questo mi ha concesso di avere lo stesso approccio che ho ai reportage: dallo studio della figura di Mario a quello della sua città natale, Genova, che avevo bazzicato già in passato avendo dei parenti lì. Un tipo di lavoro, il mio, essenzialmente giornalistico.

Un viaggio in treno, il loro, che ha macinato chilometri, regalato un’amicizia, e sconfitto alcuni pregiudizi.

Conoscere Mario è stata una boccata d’aria, mi ha dato speranza nei giovani. Devo ammetterlo, se guardo i ragazzi di oggi che fanno gli assistenti fotografi, mi sembrano privi di mordente, hanno tutto eppure gli manca lo spirito di sacrificio. Io ho fatto cinque anni da assistente, lavorando gratis, per imparare le basi. Invece Mario ce l’ha, quella fame e quella motivazione, in lui rivedo un po’ me, e c’è anche una sana ammirazione, data dal fatto che è un autodidatta in materia musicale, non aveva genitori già nel campo, era un outsider, come lo ero io nella fotografia. Anche a me sarebbe piaciuto, sono cresciuto con i Beastie Boys e i Colle Der Fomento nelle orecchie, ma sono completamente negato…

(testo raccolto da Michele Mereu)