Urban revolution: uno staterello tutto per sé

Urban revolution: uno staterello tutto per sé

di Stefania Severini

Dal Pacifico all’Adriatico, utopisti e sognatori hanno tentato di fondare micronazioni. Per vivere senza regole né limitazioni

Sessant’anni fa nasceva e moriva, nell’arco di appena nove mesi, il tentativo di dare vita a un nuovo Stato: era il gennaio 1972 e il milionario Michael J. Oliver, con barconi carichi di sabbia partiti dall’Australia, giunse sull’atollo di Minerva, nel Pacifico meridionale, per creare la sua Repubblica. Un tentativo durato certo poco, ma comunque più di un qualsiasi sogno fatto a occhi aperti. E il sogno di Oliver, immobiliarista e attivista politico di Las Vegas, era quello di conferire, a un territorio sufficiente abbastanza per issarci la propria bandiera, lo status di “repubblica” e rivendicarne l’appropriazione, dal momento che nessuno Stato lo aveva fatto, almeno fino a quel momento. La Repubblica di Minerva non è il primo né di certo l’ultimo esempio di “isola che non c’è” sorta dalla seconda metà del Novecento in poi, dall’utopia di personaggi animati da idee estremamente libertarie. Per queste “isole” si parla più propriamente di micronazioni, e il vero minimo comun denominatore alla base è il sogno di vivere in una realtà che non abbia regole: né politiche né sociali né tantomeno fiscali.Qualche anno prima del Pacifico, anche il nostro Adriatico conobbe un’esperienza simile. 


Metaverso Zaha Hadid

Nel 1968, mentre Jannacci cantava della vita mesta di Giovanni telegrafista, Giorgio, ingegnere, proclamava la sua Isola delle Rose al largo della costa riminese, appena fuori dalle acque territoriali italiane. Fu più che un tentativo: il sogno di Giorgio Rosa – raccontato nel film di Sydney Sibilia del 2020, L’incredibile storia dell’Isola delle Rose – tenne duro su una piattaforma di cemento di 400 mq per 55 giorni, per poi essere demolito fisicamente poco meno di un anno dopo la dichiarazione di indipendenza. Anche il Principato di Sealand nacque su una piattaforma in mezzo al mare (questa volta al largo della costa britannica): siamo nel ’67 e un uomo, Paddy Roy Bates, decide che quello è il posto perfetto per dar vita a una monarchia. Incredibilmente il suo Principato perdura ancora oggi, nonostante il tentato colpo di stato nel ’78. In Benvenuti a Sealand: Storia segreta della più celebre micronazione al mondo (Kutbooks, 2016), Nicola Battista e Nicola D’Agostino ne ricostruiscono le controverse vicende, attraversando storie di pirateria radiofonica, digitale e di paradisi fiscali.


Domus Liberland Zaha Hadid

«Liberland è un’idea globale», spiega un cittadino di Liberland, con tanto di passaporto alla mano, nel documentario della regista Isabella Rinaldi. Liberland racconta dell’omonima micronazione nata nel 2015 dall’idea del politico ceco Vit Jedlicka, in un’area di 7 kmq al confine tra Serbia e Croazia, la cui storia è incagliata in un contenzioso geopolitico che ha radici nella disgregazione della ex Jugoslavia: «Bisogna avere fede nei propri sogni», insiste il “liberlandiano”. Con Liberland, però, l’utopia ha raggiunto un’ulteriore dimensione, quella del metaverso, grazie al progetto dello studio di architettura di Zaha Hadid. Da Mytaverse si accede a una città in 3D popolata da negozi, una piazza e altri edifici: si può partecipare economicamente, acquistando terreni o aprendo attività. Ciò che nella golena lungo il Danubio non è (ancora pienamente) possibile.