The Great Design Disaster: un nuovo modo di concepire l’esperienza del design da collezione
Foto: © Mattia Parodi

The Great Design Disaster: un nuovo modo di concepire l’esperienza del design da collezione

di Marta Galli

Ecco come il “su misura” arriva al mondo degli oggetti, con un’idea di mercato basata sulla creazione piuttosto che sugli acquisti. Ce lo racconta la giovane co-fondatrice del progetto, Joy Herro.

C’è qualcosa di sottilmente sensuale nella realizzazione di un desiderio, e The Great Design Disaster è qui per questo. Il progetto è stato lanciato quest’anno da Gregory Gatserelia e Joy Herro, entrambi con un’expertise nel design alle spalle e una visione condivisa, maturata frequentando le fiere del settore. L’idea è che “il vero oggetto mancante è quello dei tuoi desideri”. Cosmopolita interior designer il primo, ex gallerista specializzata in design vintage italiano la seconda, eccentrici quanto basta, con TGDD intendono invertire la prassi e mettere l’acquirente – il collezionista – nella posizione di creare l’oggetto che veramente vuole. Fornendogli consulenza, know how e i migliori artigiani perché questo diventi realtà; senza che si trasformi in un “disastro”, come ci racconta Joy Herro.

Come vi è venuta l’idea?
È successo durante una cena al ristorante, a Beirut, la sera del mio primo incontro con Gregory. Lui ha ordinato diversi assaggini di cibo da condividere e io ho voluto creare con questi un’installazione “site-specific” sul tavolo. Il disgusto di Gregory era palpabile, ma la sua reazione “da critico d’arte” si è dimostrata positiva. E così, quella mia installazione non permanente è stato il primo “great design disaster”.

Non crede che il mondo sia troppo pieno di oggetti?
Penso sia pieno di oggetti per soddisfare bisogni indotti e non bisogni reali, individuali, sentiti. Traiamo dalle nostre moderne abitudini di consumo delle soddisfazioni effimere, che alla fine ci lasciano affamati. Con il progetto TGDD vogliamo pensare a un’economia basata sul desiderio.

Cioè, parliamo di un diverso modello di mercato?
Sì, al posto di un’esperienza voyeuristica, in cui artisti e artigiani mettono in mostra le loro creazioni e i clienti passivamente acquistano come in un supermarket, vogliamo un mercato di sogni, desideri e creatività, dove non ci siano consumatori, ma solo giusti “accoppiamenti” tra i desideri e coloro che possono realizzarli.

Qual è il vostro ruolo?
Noi non vendiamo prodotti, ma siamo agenti di creazione. 

Come funziona?
Incontriamo il collezionista, prendiamo in esame il suo desiderio – la sua idea – ci assicuriamo che la sua casa possa accoglierlo in modo appropriato e troviamo il suo alter ego creativo, l’artigiano. Il collezionista potrà allora rilassarsi e guardare il suo pensiero prendere forma, essere aggiornato sui progressi, fino al giorno del “grande incontro”. Gli oggetti dovrebbero essere espressione di ciò che siamo.

L’economia del desiderio è quindi anche un’economia green?
Certo, il mercato è saturo e i rifiuti e l’inquinamento stanno raggiungendo proporzioni preoccupanti. La nostra missione è coinvolgere la gente a rivalutare chi siamo e come viviamo. TGDD è un lusso sostenibile ed essenziale.

Qual è la sua definizione di lusso?
È ottenere qualcosa che hai sognato a lungo, e hai fatto uno sforzo straordinario per averlo. Il collezionista aspetta un anno, così come una madre il suo bambino. È un’esperienza emotiva.

Lei colleziona?
Oggetti che parlano di femminilità. Che sono sensuali come la natura o come una donna. Non occorre che siano necessariamente oggetti di valore, ma mi devono chiamare, simili a orfanelli che chiedono di essere portati via. Gregory mi ha insegnato a riconoscerli.

Il più stravagante che possiede?
È un anello realizzato dalla moglie dello scultore peruviano Alberto Guzmàn. Rappresenta la flora amazonica smisurata e per me è un invito a esplorare. Ma è un regalo, che mi è stato donato dal grande gallerista, scomparso di recente, Yves Gastou. Mi diceva sempre: “Il design è un mondo, non ne saprai mai abbastanza”.

Joy, lei è libanese: come è arrivata in Italia?
Ventuno anni vissuti in Libano mi hanno trasformata in un guerriero, senza paura dell’ignoto. Sognavo nuove avventure, viaggi, esperienze. Ho preso strade diverse, alcune rischiose, per trovarmi infine non so bene come a Roma, circondata dalla bellezza. Dove ho tirato un sospiro di sollievo.

Oggi lei vive a Milano.
Qui abbiamo fatto partire il nostro progetto, per via della prossimità con i distretti artigiani.

Ricorda il suo primo incontro con il design?
Scherzando, dico che è stato con le forbici per tagliare il cordone ombelicale. Già da questo capisci che lo stesso oggetto ti può fare sia del bene che del male. 

C’è un oggetto perduto del suo passato che vorrebbe ripristinare?
Un oggetto no. Magari i miei capelli lunghi, che Gregory mi ha tagliato come prova d’amore.