Storia di Blondie, divinità pagana bionda a capo di una band mangiauomini

Si è fatta aiutare dalla chirurgia plastica. Ha cantato ed è andata in tour anche poco fa (Panic of Girls è del 2011). È proprio piccolina: 1 metro e 60. E ha 67 anni, è nata nel 1945, il primo luglio (lo stesso giorno di Lady D). Debbie Harry, che al diminutivo preferisce il suo nome intero, Deborah, si può raccontare anche così, con notizie spicciole e dati anagrafici.

Ma la cronaca, e peggio il gossip, strapazza un mito come la «tolda d’una nave – lo insegna una poesia di Baudelaire – umilia l’albatros, goffo nel trascinare a passeggio i suoi quattro metri d’apertura alare, quanto maestoso e affascinante nel volo». Perciò se Deborah Ann Harry invecchia benissimo («è sempre conturbante» scrivono i giornali), non vuole parlare del passato e resta più bionda di Madonna e Lady Gaga messe insieme, giusto per ricordare che il suo stile è arrivato prima, questi sono affari di cronaca. L’importante è non mescolarli con il mito, che è Blondie.

La bionda al comando di una band che, parole sue, mangiava gli uomini, si può cantare in tanti modi. Come fa il nuovissimo Dizionario Zanichelli del pop-rock: «Nel gruppo rimane forte e distinta la figura di Debbie Harry, considerata una delle figure femminili di maggior carattere del rock». Tanto forte che «dopo l’implosione momentanea dei Blondie (nati nel 1974, si erano sciolti nel 1982 e si ricompongono dagli anni 90) si invola verso la carriera solista (e un’esperienza con i Jazz Passenger)». Ma una rockstar che scatena le piste del mondo quando è già nei trenta potrebbe essere destinata a essere una nota a pie’ di pagina nella storia della musica.

Blondie, come una divinità pagana, è rimasta al centro della scena ed è entrata nella leggenda (anche nel cinema, dei tanti film in cui è comparsa, Videodrome è certamente quello da vedere), più che con la voce, con il corpo. Lo sa e lo dice: «Lo show business è un mondo dove un bel corpo ti aiuta. Non mi vergogno a parlare della plastica che ho fatto». E che le mantiene quell’aspetto desiderabile, per il quale può dire con orgoglio: «Io monogama? Sì, qualche volta lo sono stata».

Ma non è la protervia della coniglietta (lo è stata nel Playboy Club di New York dal 1968 al 1973), è la consapevolezza di una donna che sin da ragazzina era chiamata: «Ehi, Blondie!» e ha capito presto che come preda poteva fare una brutta fine. Prima si è rifugiata nei sogni: adottata a tre mesi, le è piaciuto credersi figlia segreta di Marilyn Monroe, poi è passata al contrattacco.«Quando ho cominciato a suonare, negli anni 70, il rock cercava tipi come me soltanto per stuzzicare i maschi». Lo aveva confessato a Gianni Poglio, quando, a oltre 50 anni, non era «più la femme fatale che aveva acceso i sogni erotici di milioni di giovani, ma aveva gli stessi occhi, stupendi e di un colore indefinito tra il grigio, il marrone, il verde» e lei confidava al giornalista: «Non è stato facile convincere la gente che sapevo scrivere canzoni, cantare e stare sul palco. Per i più ero una specie di Spice Girl senza talento. Se un uomo si presentava strafatto sul palco era un figo. Quando l’ho fatto io, mi hanno distrutto».

E così Deborah “Debbie” Harry, la biondina (non naturale), ha preso in prestito da Clint Eastwood, nei panni dell’ispettore Callaghan, un proverbiale nomignolo: Dirty Harry, “la carogna”. E con quel suo sex appeal da bad girl si è resa indimenticabile.
(santi urso)