L’arte di vedere il futuro catastrofico e oscuro
Saturn Devouring His Son, 1820-23, by FRancisco Goya, on show in Madrid. Photograph Christophel Fine Art/UIG via Getty Images

L’arte di vedere il futuro catastrofico e oscuro

di Elena Bordignon

In letteratura, cinema e arte, le visioni apocalittiche e dispotiche abbondano da sempre. Da Hieronymus Bosch a Fracisco Goya, da Metrdopolis di Friz Lang alle dimensioni cupe di Blade Runner, le visioni catastrofiche ci hanno affascinato e conquistato, a volte mettendoci anche di buon umore!

In un romanzo tutt’altro che ingenuo lo aveva raccontato nel migliore dei modi, nel 1945, George Orwell con La fattoria degli animali. Il messaggio è chiaro: Orwell mette in evidenza che l’uomo, dopo essersi ribellato, finisce, a causa della fame di potere, per diventare esattamente come la persona contro cui ha lottato, imponendo a sua volta un regime dittatoriale. Questo e altri romanzi, oltre a 1984 sempre di Orwell, come La macchina del tempo e La Guerra dei Mondi di Herbert George Wells, aprirono il filone della letteratura fantascientifica, indicando la via delle visioni apocalittiche e distopiche. La distopia, semplificando, è un’interpretazione oscura del futuro. La sua definizione formale è “una società caratterizzata da miseria umana, squallore, oppressione, malattia e sovraffollamento; un’impressione di impotenza e paura”. Nelle immagini dispotiche lo scenario è solitamente ampio e desolato. Più grande è il panorama, più piccolo e insignificante appare l’uomo. 

Nel cinema, tra gli antesignani delle visioni apocalittiche, potremmo citare, su tutti, Friz Lang con il film Metropolis del 1927: un mirabolante viaggio attraverso la divisione classista, ambientato nel 2026, che racconta la voglia di riscatto di una classe operaia. I germi di questa significativa pellicola si sono poi sparsi in decine di importanti film, basti pensare agli anni ’80-‘90, per rintracciare numerosi echi di Metropolis nella cupa città di Blade Runner e nei suoi replicanti, nell’uomo-robot di Terminator, nello scienziato di Ritorno al Futuro, nel dio che si nutre di sacrifici umani e nelle incursioni nelle catacombe cristiane di Indiana Jones. Tra le pellicole più recenti: Wall-E (2008), le avventure del piccolo robot che vive tra spazzature e rottami; AI, Artificial Intelligence (2001), un androide infantile costruito per essere il primo robot in grado di provare amore; scenari inquietanti dominano Snowpiercer (2013), dove la terra conosce una nuova glaciazione a causa di una calamità ambientale. 

Se rovistiamo nel grande archivio della storia dell’arte, di visioni apocalittiche e pessimiste ne possiamo trovare senza difficoltà. Dalle visioni surreali del pittore olandese Hieronymus Bosch, basti citare il capolavoro “Il Giardino delle Delizie” alle crocifissioni tardo gotiche di Matthias Grünewald di Colmar, ma anche i tanti esempi di Giudizio Universale, da Luca Signorelli a Michelangelo. Cantore di una società oscura e pessimista, è sicuramente Francisco Goya, che nel 1819 dipinse la serie di Pitture Nere come decorazione delle pareti delle Quinta del Sordo. Angoscia esistenziale e tormento emergono anche dalle tele di Edvard Munch e James Ensor.

Nello stretto contemporaneo, uno tra gli artisti che meglio esprime visioni tutt’altro che pacificanti è sicuramente Pierre Huyghe. In un suo recente lavoro ha creato un paesaggio desolato: per il Skulptur Projekte Münster, nel 2017 ha presentato After ALife Ahead, che consiste in un’ex pista di pattinaggio con parti divelte e scavate tanto da creare due grandi corridoi tra terra, sassi e detriti. In mezzo a tanta desolazione ha installato un acquario con dentro una lumaca di mare velenosa. Anche i fratelli inglesi Jake & Dinos Chapman sono noti per opere tutt’altro che rassicuranti, ad esempio quelle dedicate a Goya, con la scultura Great Deeds Against the Dead. Oppure Hell (1996-2000), installazione imponente che ricostruisce un campo di concentramento attraverso un diorama popolato da oltre 30.000 soldatini di piombo, dipinti a mano; il lavoro, negli infiniti dettagli, rappresenta truppe naziste intente a torturare, stuprare e compiere ogni genere di violenza sui prigionieri. Lo scenario è apocalittico, pullulante di corpi e di situazioni shoccanti e rimanda ai quadri di Pieter Bruegel e di Hieronymus Bosch. 
Un artista che ha messo in scena paradossi, contraddizioni e bassezze del genere umano è l’americano Paul McCharty. Le sue sculture, soprattutto quelle formate dagli oggetti e personaggi più disparati, dovrebbero essere repellenti, minacciare non solo chi guarda, ma gli stessi collezionisti. Invece è accettato, molto valutato e integrato nel mercato dell’arte, tanto che le sue opere sono vendute per milioni di dollari. 

L’artista svizzero Thomas Hirschhorn, noto a livello internazionale per le sue scenografiche installazioni site-specific, mette in scena visioni catastrofiche e inquietanti. Accumulando e stratificando oggetti, macchine ma anche informazioni – siano essi immagini o veri e propri testi – Hirschhorn costruisce ambienti saturi e soffocanti dove i visitatori sono sopraffatti da un quotidiano debordante e, alla fine, inutile.
Anche Cyprien Gaillard lavora su temi quali il paesaggio simbolico – desolato e desolante – dell’uomo occidentale. E’ stato protagonista di una grande mostra al Palais de Tokyo a Parigi conclusasi lo scorso gennaio. Gaillard ha affrontato la complessità del reale in maniera distopica e stratificata. I suoi lavori hanno come tematiche le periferie degradate, i paesaggi devastati, gli edifici in rovina. Teorico del vandalismo e della demolizione (in tutti i sensi), ricerca nel paesaggio “la monumentalità della distruzione.” Resta memorabile il suo video See you All: una battaglia campale fra ultras in un anonimo parcheggio alla periferia di San Pietroburgo.