Bentornato Justin Timberlake: ecco com’è Everything I Thought It Was
Justin Timberlake

Bentornato Justin Timberlake: ecco com’è Everything I Thought It Was

di Andrea Zedda

A distanza di sei anni dal suo ultimo album, Man of the Woods, Justin Timberlake pubblica Everything I Thought It Was. Un ritorno al suo sound caratteristico e alle sue origini: nel disco tornano gli *NSYNC

Diciotto tracce per 77 minuti: ecco di nuovo Justin Timberlake. A distanza di sei anni dal suo ultimo album, Man of the Woods, l’artista americano pubblica un nuovo disco e sembra esser quello di una volta. Un po’ hip-hop e decisamente pop, il suo Everything I Thought It Was segna un ritorno alle origini, alle sonorità che l’hanno consacrato come artista e reso il cantante che oggi conosciamo. Dopo le due precedenti esperienze, una fortunata, quella di The 20/20 Experience da cui venne tratta la leggendaria Mirrors, e una decisamente anonima, Man of The Woods, Timberlake ha realizzato un album riconoscibile, pienamente in linea con il suo stile, fatto di possibili tormentoni e canzoni più ricercate e profonde.

Ascoltandolo si ha la sensazione di esser partecipi di un grande riassunto della sua carriera, ogni brano ricorda qualcosa di già sentito nello stile, non si tratta di semplici copie, ma di piccoli rimandi ai fasti del suo passato. Ne è una conferma la scelta di produrre il disco in buon parte assieme a Timbaland, l’artefice dei successi di Justified e FutureSex/LoveSound o il coinvolgimento degli *NSYNC per il brano Paradise, la sua ex band con cui aveva già dato vita a una reunion con Better Place, brano che fa parte della colonna sonora di Trolls Band Together, film d’animazione in cui Timberlake presta la voce a uno dei personaggi. 

Per creare il disco ci sono voluti quasi quattro anni, un periodo in cui la star di Sexyback ha realizzato più di 100 canzoni, scremarle non dev’essere stato per nulla semplice, ma il risultato è senz’altro ottimo. Everything I Thought It Was è stato annunciato lo scorso 19 gennaio con un trailer con Benicio Del Toro, co-star dello stesso Timberlake in Reptile, che si è esibito all’Orpheum di Memphis in Selfish, il primo singolo dell’album, pubblicato il 25 gennaio dopo un’ospitata da Jimmy Fellon al Tonight Show. Drown è stata scelta come singolo promozionale, mentre No Angels, è il secondo brano estratto. 

Nonostante si tratti di un viaggio all’interno del suo passato artistico, i brani non scendono mai di tono, anzi, Memphis, la canzone con cui si comincia, è la più riflessiva, poi si parte subito con ritmi più dance, quelli che si percepiscono in Fuckin Up the Disco, brano prodotto insieme a Martin Garrix. Il mood ballerino prevale per tutta la prima parte dell’album e trova il suo apice in My Favorite Drug, dove è chiaro il riferimento al sound dei Daft Punk. Non mancano le tipiche canzoni “lunghe”, come Technicolor e quelle in cui si fa riferimento al sesso e alla sensualità, argomenti cari a Timberlake, che ripropone in Infinity Sex e What Lovers Do. 

Justin Timberlake

Ascoltando Flame a occhi chiusi sembra di esser di nuovo catapultati nei primi anni duemila, quelli in cui What Goes Around… Comes Back Around era tra i brani più passati in radio, non ci si fa prendere dalla nostalgia: il suono non è quello di 20 anni fa, ma quello caratteristico di JT che, senza osare più del dovuto, accontenta in pieno i suoi fan più affezionati. Un esperimento c’è, è quello di Sanctified, in collaborazione con Nwigwe, un brano impossibile da collocare all’interno di un unico genere: si parte dal pop più puro, si passa per il rap e si finisce con il rock. È senza alcun dubbio il più interessante del disco, tra i più papabili per il prossimo singolo. 

Il titolo riassume a pieno il concept del disco, Everything I Thought It Was, in un’intervista per Apple Music One, Timberlake ha dichiarato: «Stavo suonando disco per alcune persone intorno a me e mi dicevano: “suona come tutto ciò per cui ti conosciamo”. Anche un mio amico mi ha detto: “Questo suona come tutto ciò che pensavo di volere da te”». Justin Timberlake è tornato con un album in cui rinuncia agli esperimenti per ridare ai suoi sostenitori la versione originale di sé stesso, osa senza mai abbandonare la sua natura pop. Ha imparato la lezione dopo il flop di Man of The Woods: le cose più semplici sono quelle che funziona meglio. Infatti a noi piaci così Justin, semplice e senza esperimenti. Bentornato JT.