Damien Hirst alla Galleria Borghese di Roma: un dialogo con l’eternità classica
Damien Hirst, The Severed Head of Medusa, 2008 Malachite

Damien Hirst alla Galleria Borghese di Roma: un dialogo con l’eternità classica

di Carolina Saporiti

Inaugura oggi 8 giugno e prosegue fino al 7 novembre, “Archaeology now”, una mostra di 84 opere dell’artista britannico che dialogano perfettamente con le sculture di Bernini e Canova e con l’architettura. Un’esibizione di incontri incredibili

Un grande ritorno, un nuovo e inedito dialogo, al via da oggi 8 giugno alla Galleria Borghese di Roma Archaeology now, la nuova mostra di Damien Hirst, a cura di Anna Coliva e Mario Codognato. Aperta alle visite sino al 7 novembre 2021, l’esposizione porta in Italia per la seconda volta le opere tratte dalla serie Treasures from the Wreck of the Unbelievable, già esposte nel 2017 a Palazzo Grassi e a Punta della Dogana, a Venezia, mentre sono in Italia per la prima volta alcuni dei dipinti della serie Colour Space, allestiti all’interno della collezione permanente, e la sua scultura colossale, Hydra and Kali, esposta nello spazio esterno del Giardino Segreto dell’Uccelliera.

“Mostro 84 opere in totale, tra cui alcune sculture dalla mia serie Treasures from the Wreck of the Unbelievable insieme ad alcuni dei miei Colour Space Paintings. Saranno tutti esposti in giro per il museo, accanto alla magnifica collezione di capolavori classici” ha scritto Hirst in un recente post pubblicato sul suo profilo Instagram, dove mostrava ai follower alcuni preparativi per l’allestimento della mostra.

La presenza di Hirst in Galleria Borghese merita particolare attenzione non solo per l’incontro delle sue opere con la superba collezione di statuaria romana classica, i dipinti del Rinascimento italiano e del Seicento e le più importanti sculture di Bernini e Canova, ma anche per il rapporto di dialogo e narrazione instaurato con gli spazi stessi della Galleria, caratterizzati da una ricca e originale decorazione fatta da una varietà di materiali e colori, dai marmi agli stucchi e ai mosaici.

La mostra segna un altro capitolo della storia di Treasures from the Wreck of the Unbelievable, le opere legate a questo progetto sono infatti state anche protagoniste di un omonimo “docufilm” di fantasia, dove veniva raccontata la storia immaginaria del ritrovamento dei resti della nave Apistos, appartenuta al leggendario Cif Amotan II e naufragata nei primi secoli dopo Cristo al largo della costa orientale dell’Africa.

Amatissimo, ma anche molto criticato da numerosi detrattori, Hirst è uno dei maggiori protagonisti del panorama artistico contemporaneo. Nato nel 1965 a Bristol in Inghilterra, cresce a Leeds e dal 1986 al 1989 studia belle arti al Goldsmiths College di Londra. Nel 1988 progetta e cura Freeze, una mostra collettiva che segna non solo il suo stesso esordio, ma anche quello di un’intera generazione di giovani artisti britannici.
Attraverso installazioni, sculture, dipinti e disegni Hirst indaga le complesse relazioni tra arte, bellezza, religione, scienza, vita e morte. Quest’ultima in particolare abita l’immaginario dell’artista da sempre con grande intensità: Hirst racconta infatti di essere rimasto molto colpito da una visita fatta da ragazzo insieme a un amico studente di biologia presso l’obitorio di Leeds. E parlano di vita e morte anche due delle sue opere più famose e commentate: The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living (1991), realizzata attraverso l’imbalsamatura di uno squalo tigre in formaldeide e For the Love of God (2007), calco in platino di un teschio tempestato di 8.601 diamanti.

Pittore, scultore, performer Hirst è un artista davvero poliedrico e, forse, non tutti sanno che tra le sue tante incursioni nel mondo dell’arte c’è anche la musica: è stato anche membro dei Fat Les, gruppo musicale dei quali faceva parte anche Alex James, bassista dei Blur, che nel 1998 con la canzone Vindaloo – inno non ufficiale per i Mondiali di Calcio 1998 – raggiunsero il secondo posto nella UK Singles Chart cantando: “We’re England / we’re gonna score one more than you”.