Dura, cruda, brutta: il fascino dell’architettura brutalista nel mondo
Museu Brasilerio da Escultura © Manuel Sa

Dura, cruda, brutta: il fascino dell’architettura brutalista nel mondo

di Elena Bordignon

Con il progressivo decadimento del movimento moderno, il brutalismo si è fatto strada, complice un’architettura semplice, ripetitiva e fatta di materiali grezzi (e spesso a buon mercato). Alcuni le chiamano mostruosità, altri ne lodano le caratteristiche. Scopriamone alcuni esempi in giro per il mondo.

‘Ciò che caratterizza il New Brutalism è proprio la sua brutalità’, scrisse il critico di architettura Reyner Banham nel 1955. Dura, cruda, brutta, ma in realtà l’architettura brutalista ha una sua ragione d’essere. Il termine è nato da un articolo che Reyner Banham scrisse per la rivista The Architectural Review, dal titolo The New Brutalism. Prendendo spunto dal concetto Art Brut – definizione che coniò nel 1945 il pittore francese Jean Dubuffet per identificare un’arte spontanea e libera da vincoli – il brutalismo fa riferimento anche al beton brut: una modalità di utilizzo architettonico che si caratterizza per l’impiego del cemento armato, lasciato a vista senza essere ricoperto da intonaco o altri materiali. L’esempio più calzante per questo tipo di architettura è Unité d’Habitation progettata da Le Corbusier a Marsiglia: nelle intenzioni dell’architetto, doveva diventare una città ‘ideale’ che si sviluppava in verticale dentro la città di Marsiglia, provvista di diciassette piani con 337 appartamenti, uffici, piscina, scuola materna, palestra e negozi. Il risultato non piacque molto ai marsigliesi, che la battezzarono la maison du fada, ovvero la casa dei pazzi.

Il brutalismo conobbe un grande successo nell’Unione Sovietica ma, persino durante la Guerra Fredda, anche negli Stati Uniti venne spesso apprezzato per grandi edifici istituzionali e luoghi di aggregazione. Nel Regno Unito venne utilizzato quasi solo per edifici pubblici, mentre in India quello stile così semplice e lontano dai canoni venne visto come un simbolo della voglia di staccarsi dal passato coloniale. Esempi di questo tipo di architettura si trovano anche in Giappone e Spagna dove il brutalismo fu visto come un modo per allontanarsi da periodi difficili, complicati da guerre e totalitarismi.

Anche l’ Italia non fu immune da questo stile. L’esempio più conosciuto e citato è senza dubbio la Torre Velasca a Milano, costruita tra il 1956 e il 1958 dallo Studio BBPR. Considerata dal Daily Telegraph “uno degli edifici più brutti del mondo”, la Torre Velasca è diventata un pezzo inconfondibile dello skyline di Milano, nonché uno degli edifici brutalisti più instagrammati al mondo. Sempre in Italia, tra gli edifici brutalisti ricordiamo l’Istituto Marchiondi di Vittoriano Viganò sempre a Milano, la Casa Sperimentale di Giuseppe Perugini a Fregene e la Chiesa dell’Autostrada del Sole di Giovanni Michelucci.

In giro per l’Europa la lista sarebbe lunghissima, ma citiamo gli edifici che hanno attratto un folto numero di appassionati di architettura brutalista, come ad esempio la Trellick Tower di Londra, costruita tra il 1966 e il 1972 dall’architetto Ernö Goldfinger. L’edificio, che si sviluppa su 31 piani, con una torre separata dal corpo centrale collegata ad esso tramite delle passerelle è diventato negli anni una vera e propria icona della città, apparendo su magliette, canzoni e film. Sempre in Inghilterra, possiamo citare il Royal National Theatre di Denys Lasdun a Londra e la Facoltà di Storia dell’Università di Cambridge realizzata da James Stirling.

Se ci spostiamo a Berlino, citiamo due edifici costruiti tra gli anni ’60 e ’70: il Mäusebunkers di Gerd e Magdalena Hänska e l’Institut für Hygiene und Mikrobiologie di Fehling+Gogel. Entrambi in stato fatiscente, in particolare il Mäusebunker – definito dal Deutsches Architekturmuseum come “l’edificio più terrificante della storia del dopoguerra” – rischia la demolizione dopo essere diventato negli anni recenti un grande punto di attrazione per i turisti, attirati dai monumenti più insoliti di Berlino. Il Mäusebunker ha inoltre fatto da sfondo ad alcune scene del film Blade Runner 2049 di Denis Villeneuve, uscito nel 2017.

In Russia, lo stile brutalista ha trovato ardenti ammiratori per le sue caratteristiche di grandiosità e severità. Tra gli esempi più citati si conta il Cinema “Avrora” a Krasnodar, costruito dal 1967 al 1981 e riconosciuto come un vero e proprio monumento, che all’esterno sembra una grande nave arenata su una piazza. Un altro luogo decisamente ambiguo è il Teatro di Cheboksary. Spesso paragonato a una base spaziale di un pianeta sconosciuto, l’edificio è stato eretto nel 1985 ed è diventato un simbolo della città, anche se è difficile intuire subito che si tratta di un teatro. Ma potremmo citare anche l’Istituto centrale di ricerca di robotica a San Pietroburgo, una torre alta oltre 77 metri costruita su una struttura metallica ricoperta di calcestruzzo e argilla espansa e The House of Soviet, situata nel centro di Kaliningrad. Sebbene la costruzione sia iniziata nel 1970, l’edificio è stato abbandonato e lasciato incompiuto. Viene spesso paragonato ad un robot di cui si vede solo la faccia, mentre il corpo è sepolto sotto terra.

A partire dagli anni ’50, è soprattutto il Brasile ad assorbire molte delle influenze dell’architettura brutalista europea. Negli anni ’60 alcuni architetti della scuola degli strutturisti italiani – tra gli altri Pier Luigi Nervi e Giulio Pizzetti – influenzarono molti giovani brasiliani. Oscar Niemeyer, Lucio Costa, Paulo Mendes da Rocha, Lina Bo Bardi e João Filgueiras, furono tra i più prolifici fautori di esempi di architettura brutalista. Tra gli edifici più conosciuti ricordiamo Casa Mendes da Rocha, il Museu Brasilerio da Escultura e il Museu de Arte de São Paulo. Quest’ultimo è tra gli esempi più citati per le sue caratteristiche: situato nel cuore della città, il museo è composto da un poderoso belvedere di 2100 mq sostenuto da mastodontici portali in cemento pigmentati di rosso.

Non mancano esempi brutalisti anche negli Stati Uniti. Tra gli edifici più citati spicca la biblioteca Geisel Library, uno dei palazzi più riconoscibili dell’Università della California a San Diego. Il suo design, progettato da William Pereira, ricorda delle mani che sorreggono un libro aperto. Altri esempi: la Boston City Hall costruita tra il 1963 e il 1968 da Kallman McKinell & Knowles e la Marina City Tower di Chicago. Quest’ultimo è stato costruito tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 e da allora è uno dei tratti caratteristici della ‘Windy City’. All’epoca della realizzazione era l’edificio in cemento a vista più alto del mondo.