Femminile plurale. Donne nell’arte in mostra a Brescia

Femminile plurale. Donne nell’arte in mostra a Brescia

di Digital Team

Donne eterni dei? Certo, ma autrici, sante, nobili, contadine. Il mondo di lei, visto da lui in mostra a Palazzo Martinengo a Brescia

In principio doveva aprire a primavera 2020. Poi, si sa, le cose sono andate diversamente. Ma il progetto è rimasto e dunque, fino al 12 giugno, la mostra “Donne nell’arte, Da Tiziano a Boldini” è finalmente visitabile nella sede prevista, Palazzo Martinengo a Brescia. Sede classica per storia, dimensioni e prestigio, perfetta per un’esposizione altrettanto classica che non vuole fare scandalo, né discutere – una mostra di quelle che le élite cultrici delle avanguardie proprio non considerano, ma che invece per piacevolezza, ricchezza e varietà è perfetta per il grande pubblico, con una carrellata di opere di lettura immediata, ma non per questo (anzi, il contrario!) meno interessanti e povere di spunti di riflessione. E qui di motivi per considerare quanto e in quanti modi la donna è, dalla notte dei tempi, soggetto protagonista delle arti ce ne sono in abbondanza. Sante, nobili, popolane, contadine e borghesi: il panorama non può essere più ampio per raccontare la donna italiana, perché, a parte l’incursione della coppia di amanti a matita del viennese Klimt (a proposito c’è una sua super mostra a Roma, fino al 27 marzo), le 90 protagoniste della mostra bresciana, così come i maestri che le hanno ritratte sono proprio tutti di casa nostra.

A farla da padrone, nell’arco degli oltre secoli cui il titolo allude, è l’Ottocento, ma non per questo la Maddalena dipinta da Tiziano, la Venere di Luca Longhi o l’Artemisia (Gentileschi, proprio lei e che sfida nello sguardo!) del Cairo vanno ignorate, né tantomeno quel mix tra storia e leggenda alla veneziana che è la grande tela di Gian Antonio Guardi con Alessandro e la favorita Campaspe nello studio di Apelle. Neppure vanno sorvolate le presenze di due autrici seicentesche come Fede Galizia e Giovanna Garzoni: da vedere le loro nature morte. È un Ottocento dai tanti lati quello che si presenta: si va dalla eleganza neoclassica (che tanto sa ancora di Settecento) nel ritratto della appassionata bresciana Francesca Lechi, firmato da Appiani, che restituisce in pieno lo sguardo di quelli che Stendhal definì «gli occhi più belli di Brescia» a una serie di figure che alla fine, come si diceva, compongono uno spaccato della società italiana al femminile (idealizzata, ma anche colta nella realtà). E allora sono scenette di genere con pose fra il vezzoso e il melodramma a buon mercato; in bilico fra un immaginario in cui il popolino cencioso ora è sorridente, ora invece pensoso, come nel quadro di Palizzi che ritrae le donne di Pompei impiegate come sterratrici negli scavi archeologici. Dato comune: in entrambi i casi sono rigorosamente scalze – una “nudità” in significativo contrasto con le sensuali carni delle modelle di Boldini, De Nittis o Rizzi.