Il Leone (d’Oro) va alla Francia, ma è l’Italia a ruggire
Courtesì of FILIPPO MONTEFORTE/AFP via Getty Images)

Il Leone (d’Oro) va alla Francia, ma è l’Italia a ruggire

di Andrea Giordano

L’événement riporta la Francia in alto, ma il successo è anche per Paolo Sorrentino e Michelangelo Frammartino. Penélope Cruz miglior attrice

Titoli di coda, di nuovo fortemente virati al femminile, in una Mostra che chiude parlando alle donne, di madri imperfette, in cui ci sono state prime volte di registe, già attrici consolidate, e cineaste leggende, hanno condiviso storie silenziose, dolorose, drammatiche, quanto mai attuali e desiderose di essere raccontate, ieri come oggi. Sull’onda di una continua rivoluzione del movimento cinematografico, di un cinema in connessione, ma capace oltremodo di ascoltarsi anche nei silenzi e dolori, il Leone d’Oro del miglior film va al francese L’événement (Happening) della regista Audrey Diwan, sesta donna della storia a riuscirci, con protagonista una straordinaria Anamaria Vartolomei. Decisione unanime, ha detto il Presidente di Giuria, il regista Bong-Joon-ho, per una pellicola di rara intensità e bellezza, in grado di mettere d’accordo tutti.

Adattando infatti il romanzo omonimo di Annie Ernaux, la pellicola, tra le più toccanti viste nei giorni scorsi, narra di una giovane studentessa universitaria, siamo nella Francia del 1963, che deve confrontarsi con una gravidanza non prevista, e per questo decide di agire, scegliendo di praticarsi un aborto clandestino. A rischio della sua stessa vita. Un viaggio doloroso, visivamente forte, che riapre ulteriormente un dibattito, quanto mai scottante e silente, e narra le fragilità, i dubbi, le incertezze, le tante, troppe, indifferenze che esistono sul tema. Un premio simbolico, attuale, che riporta la Francia sul podio più alto dopo oltre 30 anni.

Ma è stata anche la Mostra dell’Italia. Quella di Paolo Sorrentino, vincitore del Gran Premio della Giuria, capace di svelarsi e spogliarsi per un attimo della sua estetica, unica e imitata, ridando corpo e forma invece alle proprie memorie di ragazzo, elaborate adesso da adulto. Un cinema (di svolta) per lui, che aiuta a deviare le fatiche della realtà. Dalla tragica morte dei genitori, tornando all’adolescenza, la scoperta del cinema, l’amore per il calcio e Maradona, la pellicola diventa lo spunto intimo e personale, È stata la mano di Dio, che fin dalla prima proiezione aveva convinto buona parte del pubblico e critica. Il film, che uscirà in sala a novembre, e poi a dicembre su Netflix, ha vinto anche il premio ‘Marcello Mastroianni,’ per il miglior attore emergente, andato al giovane e bravissimo Filippo Scotti.

«Per anni mi schernivo che il cinema fosse solo una posa, ha raccontato Sorrentino. Invece ho capito, è l’unico momento nel mondo, in quell’intervallo tra quando dico azione e stop, che mi ha dato delle possibilità. Questo è un film a rilascio lento, almeno per me, forse lo comprenderò ulteriormente fra sei mesi, ma condividere questa esperienza, in maniera così costante, che prima solo un monologo mio interiore, penso sia stato di aiuto, ma non liberatorio, né terapeutico. Diciamo che comincio a parlare dei miei dolori, di cui mi annoiavo, e sto scivolando in una discreta felicità».

Un’Italia magica, suggestiva, è stata quella calibrata da Michelangelo Frammartino, Premio Speciale della Giuria grazie a Il Buco, tratto dalla storia vera di alcuni speleologi torinesi, che negli anni ‘60 furono protagonisti di un’impresa epica, addentrandosi sottoterra a quasi 680 metri, scoprendo (allora) una delle grotte più profonde del mondo. «Un’esperienza trascendentale da vivere sul grande schermo, ha detto Chloé Zhao, tra i giurati del concorso ufficiale, che c’ha commosso, impressionato, riguardo la meditazione sulla vita, sulla relazione dell’uomo con la natura, sulla mortalità».

Un’Italia magica, suggestiva, come quella calibrata da Michelangelo Frammartino, Premio Speciale della Giuria grazie a Il Buco, tratto dalla storia vera di alcuni speleologi torinesi, che negli anni ‘60 furono protagonisti di un’impresa epica, addentrandosi sottoterra a quasi 680 metri, scoprendo (allora) una delle grotte più profonde del mondo. «Un’esperienza trascendentale da vivere sul grande schermo, ha detto Chloé Zhao, tra i giurati del concorso ufficiale, che c’ha commosso, impressionato, riguardo la meditazione sulla vita, sulla relazione dell’uomo con la natura, sulla mortalità».

Grande soddisfazione è arrivata anche per Penélope Cruz, Coppa Volpi come miglior attrice in Madres Paralelas di Pedro Almodóvar, quanto per John Arcilla, Coppa Volpi per il miglior attore nel dramma filippino di Erik Matti, On The Job: The Missing 8, in cui intepreta un giornalista corrotto che cerca giustizia per i suoi colleghi. E ancora al femminile parlano infine i riconoscimenti andati alla leggendaria Jane Campion, miglior regista per The Power of the Dog, e a Maggie Gyllenhall, Osella per la miglior sceneggiatura per The Lost Daughter, tratto dal romanzo, La figlia oscura di Elena Ferrante.

Volti e riflessioni di fine festival. Una Mostra sicuramente più “sana” e rinnovata in termini di presenze (quasi diecimila accrediti tra i professionisti, rispetto ai circa settemila del 2020) e pubblico, tornato (in certi casi ancora poco cauto) a calcare comunque, con gioia, e partecipazione. Il Lido dunque si è ripopolato, sull’onda dei momenti d’oro, accogliendo star provenienti da tutto il mondo, da Matt Damon e Ben Affleck (insieme a Jennifer Lopez), da Timothée Chalamet e Krirsten Stewart, riabbracciando le piattaforme (Netflix), i grandi autori, le produzioni da box office (Dune e Freaks Out). Il cinema, quello vero, sentito, gridato e sussurrato, quello che unisce e guarda avanti. L’appuntamento, per la prossima edizione, è dal 31 agosto al 10 settembre 2022.