Il ritratto contemporaneo ai tempi della ‘Selfie Syndrome‘
Flowers in December - 2015-2016 © Sanja-Marusic

Il ritratto contemporaneo ai tempi della ‘Selfie Syndrome‘

di Elena Bordignon

Come è mutato il genere del ritratto nel mondo della fotografia contemporanea? Una serie di giovani fotografi contemporanei ci racconta la sua evoluzione

In quello che potremmo definire il “regno dei selfie”, come riescono a elaborare la pratica del ritratto le nuove generazioni di fotografi? La rappresentazione del sé è uno dei temi che ha più affascinato gli artisti, con dei risultati, soprattutto nel secolo scorso, insuperabili. Basti pensare alle sperimentazioni dei surrealisti o alle provocazioni dadaiste, su tutti il grande maestro Marcel Duchamp. Ma oltre 100 anni fa, non c’erano né l’ossessione per la propria immagine né i mezzi per potersi ritrarre con un semplice gesto delle dita. Armati di smartphone, oggi tutti riusciamo a restituire la nostra immagine non solo migliorata, ma anche perfettamente coincidente con gli standard stereotipati che ci affliggono: occhi grandi, zigomi alti e labbra carnose. 
Negli Stati Uniti si è cominciato a parlare già alcuni anni fa di ‘Selfie Syndrome‘: un disordine della personalità che emergerebbe nelle persone troppo preoccupate della propria immagine digitale. L’uso di Instagram, secondo questa ricerca, sembrerebbe risultare maggiore nelle persone insicure e narcisiste. Ma come traducono questi tempi illusori e illusionistici i fotografi? Come raccontano l’ansia di prestazione che la società sta forzatamente imponendo? 
La recente manifestazione PhotoBrussels Festival, ha ospitato una mostra, Mirror of Self, il cui focus principale era proprio la riflessione sul ritratto fotografico contemporaneo. Decine di giovanissimi talenti hanno partecipato con fotografie fortemente evocative e, alla domanda su come sia mutato il genere del ritratto contemporaneo, le risposte sono state tra le più eterogenee. L’importanza delle relazioni, le ferite, la percezione del dolore, sono i temi che, partendo dalla percezione del sé, sono emersi maggiormente. 
Tra fotografi più affermati come Elina Brotherus, Kourtney Roy, Omar Victo Diop o Mari Katayama, abbiamo selezionato questi giovani talenti.

Karolina Wojtas 
Nata nella città polacca Lodz nel 1996, Karolina Wojtas ha mostrato sin dai suoi primi progetti un autentico talento. Tra i premi recenti, l’ING Unseen Talent Award, vinto nel 2019 ad Amsterdam. Con le sue fotografie Karolina Wojtas ci invita a esplorare le profondità del suo bizzarro umorismo, fatto di atmosfere kitsch al limite del disagio. Le piace presentarsi come una fotografa che lavora in un mondo colorato dove sperimentare e divertirsi al tempo stesso, attingendo alle fantasie e ai ricordi infantili. Un giardino d’infanzia, un gioco o un semplice scivolo posso diventare le scintille per la rappresentazione di un nuovo mondo.

Gabriel Dia
Nella recente serie My Myself and I (2021) Gabriel Dia lavora su dei ritratti metaforici, in cui la sua figura è al tempo stesso spiata e nascosta. Ritratti evanescenti, mascherati, luminescenti e sconvolti dell’io emotivo dell’artista. L’approccio di Dia ridefinisce il corpo come il più potente mezzo di espressione umana. Tra immaginazione e realtà, arti plastiche e fotografia, l’artista usa il proprio corpo per riaffermarsi.

Omar Victor Diop
Nato nel 1980 a Dakar, Omar Victor Diop è uno dei più promettenti giovani fotografi africani. Dalla sua prima mostra al Pan African Exhibition della African Biennale of Photography (2011), Diop ha avuto una sorta di consacrazione grazie a due importanti appuntamenti del 2021: la partecipazione a Paris Photo e il Photo Vogue Festival a Milano. Nelle sue ultime ricerche fotografiche Omar Victor Diop chiede un cambiamento di enfasi e pensiero critico ‘sulla giustizia ambientale, l’antropocentrismo e le nostre responsabilità collettive e individuali nel garantire un futuro più vivibile’. La politica culturale dell’automodellazione, il ripensamento della storia e lo stile estetico delle identità diasporiche africane, sono al centro del suo lavoro.

Barbara Iweins
Nata a Bruxelles nel 1974, Barbara Iweins, dopo svariate esperienze in Festival e Biennali, si è distinta per un progetto, per certi aspetti, radicale. Collezionista fin dalla tenera età, trae ispirazione dalla letteratura (Edouard Levé) e dall’arte contemporanea (Sophie Calle, Christian Boltanski). Collezionare, riunire, ordinare, classificare ed esporre oggetti le ha sempre procurato un notevole piacere. In merito al suo progetto Katalog, 2022, spiega: ”Ho fotografato di tutto, dal calzino di mia figlia con un buco al Lego di mio figlio, il mio vibratore, il mio farmaco anti-ansia, assolutamente tutto.” Dopo l’undicesimo trasloco, nel 2018 ha iniziato a fotografare tutto ciò che aveva in casa, riuscendo a catalogare oltre 12.795 foto di 12.795 oggetti, suddivisi per il materiale con cui sono fatti, la frequenza d’uso o semplicemente per colore. 

Mari Katayama
Mari Katayama è un’artista e fotografa multimediale di origine giapponese. Negli ultimi anni, si è distinta nel mondo della fotografia grazie alle sue originali fotografie, esposte alla 58esima Biennale di Venezia e all’edizione 2021 della fiera Paris Photo. Nata nel 1987 con una patologia molto grave, l’emimelia tibiale, Katayama ha fatto di questa condizione un punto di forza e uno stimolo creativo invidiabile. Possession è la sua ultima serie, in cui mette in scena se stessa, come di consueto, con oggetti da lei creati e che rimandano a serie precedenti (Shadow Puppet – 2016, Beast – 2016, Così esisto – 2015). Con le sue fotografie ci costringe a ripensare le norme e gli standard di bellezza, non più standardizzati, ma liberi da qualsiasi compromesso. 

Kourtney Roy
Nata nel deserto settentrionale dell’Ontario, nel 1981, dopo gli studi in fotografia a Vancouver, Kourtney Roy si è trasferita a Parigi. Ha esposto al Musée Elysée di Losanna, al The Head On Photo Festival a Sydney e alla Moscow International Photo Biennale. Con il suo approccio filmico Kourtney Roy crea un’atmosfera di divertimento e dissolutezza, trasportandoci, con i suoi scatti, dalla realtà alla finzione e lasciandoci in una sorta di limbo. Quelli che sembrano scatti glamour ed esteticamente gradevoli sono piuttosto un rendering della realtà della maggior parte delle persone durante una vacanza estiva. Le avventure di una notte, il gelato che si scioglie sui nostri gioielli contraffatti o la noia che ci fa comportare in modo strano. Sulla strada per il non detto, Roy mette in luce i limiti delle norme sociali e solleva interrogativi sulla loro rilevanza.

Sanja Marušić
La fotografa olandese-croata Sanja Marušić (1991) è stata recentemente nominata per il Paul Huff Award, Foam Amsterdam (2020) e ha vinto il primo premio Audience Award al Kunst (2021). Sanja Marušić esplora con molteplici mezzi e tecniche: fotografia, pittura e collage. Attraverso autoritratti vividi e giocosi, esprime sia un corpo individuale che un corpo fluido e in transizione, offrendoci uno sguardo attento all’importanza del costante cambiamento. L’artista si ritrae come una “grande madre” per far si che le sue fotografie e la sua vita ‘non riguardino più solo me stessa, ma un più vasto ed esteso corpo collettivo’.

Julia Gat
Julia Gat è una fotografa israeliana del 1997, che vive attualmente a Marsiglia. L’artista ha vinto l’Isem Young Photographer Award (FR, 2020), lo Steenbergen Stipendium Public Prize (NL, 2021) e il Polyptic Award (FR, 2022). La serie Khamsa khamsa khamsa (2012-2022), pubblicata da Actes Sud, è il risultato di un processo durato 20 anni ed è una narrazione autobiografica visiva sotto forma di archivio di famiglia. Sua madre diceva ‘l’archivio conserva quel mondo in cui abbiamo vissuto come un luogo reale, che altrimenti potrebbe essere facilmente scambiato per un sogno’. Khamsa, khamsa, khamsa – che significa ‘Cinque’ in arabo – ripetuto tre volte come un incantesimo protettivo – si riferisce alla fratellanza di cinque figli, di cui lei è la maggiore.