Matteo Garrone e la “nuova” vita di Gomorra
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Matteo Garrone e la “nuova” vita di Gomorra

di Andrea Giordano

Matteo Garrone, rimette mano al suo film-capolavoro, “Gomorra”, tratto dall’altrettanto romanzo di Roberto Saviano. Una versione-evento, uscito in dvd/blu-ray, visibile in anteprima venerdì 16 aprile su Rai 3

Matteo Garrone, regista degli ultimi straordinari Dogman e Pinocchio, ormai diventato autore di culto, torna a riprendere una delle “sue” creature migliori, Gomorra, il «film della vita, irripetibile, un viaggio in presa diretta, sembra non sia invecchiato di un giorno», dice, e che ora trova (in onda venerdì 16 aprile su Rai 3) la propria versione “new edition” compiuta, distribuita da Eagle Pictures per 01 Distribution. Impreziosita sì, ma in maniera (in)visibile, da alcuni accorgimenti, all’inizio di ogni racconto, dando informazioni, senza però svelare nulla, rimontando settescene, facendo 50 tagli, stabilizzando inquadrature, sistemando il doppiaggio, tagliando circa dieci minuti. Un’avventura rinnovata, grazie anche al figlio dodicenne Nicola, che adesso molti paesi, Spagna e Svizzera, vogliono riportare in sala, che altri festival cercano, non come semplice classico, semmai per la sua capacità di essere ancora estremamente contemporaneo. Dal romanzo-evento dunque scritto da Roberto Saviano nel 2006, edito Mondadori, ai successi internazionali, la pellicola è entrata così nell’immaginario visivo, molto prima della serie, conquistando, già nel 2008, il Festival di Cannes, grazie al Gran Prix della Giuria, portandosi a casa, tra gli altri, 5 premi Efa, e 7 David di Donatello, tra cui miglior film e miglior regista. La consacrazione globale per Garrone, arrivata al sesto lavoro, dopo gli ottimi Terra di mezzo, L’imbalsamatore e Primo Amore, ridiventata oggi l’esperienza da non perdere.

Reale e contemporaneo si fondono.

«I temi di Gomorra si legano ai conflitti umani, quindi sono anche archetipici. Quando abbiamo deciso di sceneggiare volevamo andare nella direzione che ci sembrava più interessante, raccontare l’uomo, l’infanzia violata, che qui è centrale, cercando, nonostante si parli di criminalità a Napoli, di toccare argomenti universali, rendendoli comprensibili, vicini, per qualsiasi spettatore, in Italia e nel mondo. Gomorra pala di relazioni umane, della difficoltà del vivere, del male, c’è il rapporto del mondo circostante, la violenza, l’aspetto ingenuo e illusorio di questi ragazzini che crescono come dentro una realtà di cui non sono consapevoli fino in fondo».

«Quando lessi il libro di Saviano, prosegue, mi colpì, vedevo una realtà andare oltre, una grande fiaba nera, che al tempo sconfinava quasi nella fantascienza, mi affascinò quella grande potenza visiva, un’umanità a volte disumana dei personaggi. Rimane contemporaneo per questo, così pure Pinocchio. La prima idea fu di fare una serie tv, si prestava, era ricca di spunti. Di solito vado in controtendenza, ma allora i tempi non erano maturi, avrei anche tentato una serialità, me lo proposero, col senno di poi, pensando magari a un Gomorra 1 e 2, girandoli uno dietro l’altro, preferì invece concentrarmi su altri progetti, lasciando ad altri. L’approccio fu di grande incoscienza, non ero consapevole di fare qualcosa che raccontasse un mondo diverso da come si era fatto prima, stavo iniziando a interpretarlo, ma in maniera del tutto istintiva. Forse il vantaggio è stato quello, a cui aggiungere una serie di circostanze, correlazioni di eventi, un’esperienza unica, in cui ci siamo resi invisibili, e che proprio per questo oggi non saprei ricreare».

Luoghi cruciali «dal sapore metafisico, astratti, sospesi nel tempo, atmosfere western, noir, ideali, dove tutto può accadere, tutto è credibile, tutto dura. Ho cercato di far risaltare l’aspetto geografico, del paesaggio, cinque storie, divise tra le vele di Scampia, dove vige il rigore, l’arruolamento dei clan, a Villa Coppola, la zona del vesuviano, Casal di Principe, Castelvolturno».

Che lezione ha imparato?

Quel periodo, lungo, intenso, vissuto lì, mi ha segnato, incontrai pure la madre di mio figlio. Ho tanti ricordi. Il conflitto è spesso toccante, doloroso, ma prima di andare in quei luoghi, pensavo ci fossero soli buoni e cattivi, ma vedendo alcune realtà, mi sono accorto di molte più sfumature, che rendono questo problema maggiormente complesso: c’è una grande umanità, voglia di vivere, ma anche il contrasto tra il senso di morte e violenza.

In che cosa si sente diverso da quel trentenne, che di lì a poco conobbe il successo?

In realtà cerco sempre di mantenere quell’incoscienza. Quando scelgo di fare film, voglio provare nuovi territori, raccontando storie che mi consentono, parallelamente, di mantenere la mia visione, il mio sguardo. Sono sempre stato abituato in questo mondo, considero i film come delle avventure di cui mi devo innamorare, partendo sempre da delle mie premesse sincere. Mio figlio è di parte qui (sorride, ndr). Durante la prima proiezione di Gomorra era molto colpito, attratto, spiazzato, non capiva certe cose, domandava, è lui uno dei motivi di questa nuova vita della pellicola, anche se negli anni, spesso, sentivo che c’erano degli aspetti non del tutto chiari. È un dato di fatto che non sia conosciuto tra i giovani, come la serie, ma il fatto che possa tornare spero lo faccia riscoprire.

Pinocchio e gli Oscar

Nessuna polemica sul fatto di non essere stato scelto per rappresentare l’Italia. Riuscire ad avere però due nomination (costumi e trucco, ndr), con un film italiano, indipendente, senza nessuna piattaforma dietro che abbia spinto, è qualcosa di unico, soddisfacente, bisogna tornare tornare indietro di anni, Averlo fatto uscita in America, con doppiaggio in inglese, mantenendo nell’accento l’italianità, è una prima volta importante, credo dimostri che non è vero che all’estero il pubblico non è abituato, è solo un modo di difendere il loro mercato. Questo è un primo passo per il futuro: riuscire a far vedere in un circuito i nostri film, doppiandoli, aiuta però a non perdere le nostre radici.

E sulla possibile riapertura delle sale

Da cineasta ho la speranza, quell’idea romantica, di quella forza, rituale, che solo il grande schermo può avere sullo spettatore, perché quando vado al cinema riesco sempre a entrare in un’altra dimensione.