Matteo Paolillo: «Vicino a tutti. Vicino a me»
Matteo Paolillo

Matteo Paolillo: «Vicino a tutti. Vicino a me»

di Giovanni Ferrari

L’attore della serie cult “Mare fuori” ha ora pubblicato il suo primo album “Come te”. All’interno del disco anche una versione remix di “O Mar For”, sigla della serie televisiva, e un featuring con Clementino. La nostra intervista

Grazie al suo ruolo in Mare fuori, Matteo Paolillo è ora una star. Nella serie televisiva ormai cult, l’attore salernitano interpreta Edoardo Conte, uno dei detenuti del carcere minorile di Napoli. E grazie a questo suo ruolo è diventato un’icona. Un punto di riferimento.

Ma conoscere vita morte e miracoli del personaggio che interpreta nella serie tv da record non significa conoscere nel profondo Matteo Paolillo. Così l’attore 27enne ha deciso di raccontarsi di più. Ha scelto di aprirsi come non aveva forse mai fatto prima. Per farlo ha puntato tutto su un’altra passione che coltiva da ormai molti anni. E che è da sempre stata l’altra via tramite la quale è capace di esporsi e di mettersi a fuoco. La musica.

Dopo aver regalato alla serie tv l’iconica sigla ‘O Mar For, infatti, Matteo Paolillo ha deciso di lavorare a nuove canzoni. E il risultato (decisamente affascinante e pieno di antitesi) è un disco, Come te, uscito oggi, 19 maggio, per ADA Music Italy. 

Come è iniziato tutto? E come è arrivata la recitazione nella tua vita?

«Quasi ogni sera con la mia famiglia guardavamo film a casa. Spesso andavamo anche al cinema. Era un momento famigliare bellissimo: guardavamo i film e ne parlavamo. Questa cosa mi ha sicuramente condizionato. Poi a 13 anni nel mio quartiere c’è stato uno spettacolo e c’era un ragazzo che conoscevo a recitare. Per la prima volta ho capito la potenza della recitazione. Vedevo una persona che incontravo tutti i giorni nel quartiere, ma lì era diverso: interpretava un ruolo. Mi sono affezionato a questa cosa. Da quel momento ho fatto i primi piccoli corsi di recitazione fino quando a 18 anni ho deciso di trasferirmi a Roma».

La differenza più grande tra il teatro e il cinema?

«Per quanto riguarda la costruzione del personaggio non c’è nessuna differenza. Cambia la forma. Nel teatro c’è senza dubbio più adrenalina. Così come c’è anche la paura di sbagliare. Io però mi sono sentito sempre a casa sul palco. Me la sono sempre goduta. Al cinema c’è meno questa tensione…».

Durante il liceo, invece, ti sei avvicinato al rap. Come è successo?

«Ho visto 8 Mile un centinaio di volte. E poi ho iniziato ad ascoltare Eminem, Tupac. Questa passione l’ho subito condivisa con i miei compagni di liceo e abbiamo cominciato ad ascoltare anche rapper italiani. Per gioco ho iniziato a fare un po’ di freestyle: cercavo sempre l’occasione di farlo. A un certo punto ho iniziato a scrivere le mie cose. Nel 2017 ho conosciuto Lorenzo, il mio producer, e abbiamo iniziato». 

Matteo Paolillo
Matteo Paolillo

Conosci bene l’industria cinematografica e sei entrato da poco in quella discografica. Vedi somiglianze tra questi due mondi?

«Mi sembrano diversi ma simili. Non ne ho molto la percezione, ti dico la verità. Forse l’industria discografica ha processi più veloci. Perché magari scrivo una canzone e so che a breve può uscire. Invece con i film ci sono tempistiche molto molto più lunghe…».

Ultimamente pratichi la boxe e dici di vederla simile alla recitazione. Perché?

«Sì, perché quando fai boxe devi essere sempre pronto a capire quale sarà il colpo dell’avversario e avere la rapidità di scegliere il tuo. È molto simile a ciò che avviene in scena. È vero che le battute sono scritte ma quello che succede in scena è lì e non bisogna dare per scontato che l’altro faccia sempre le stesse cose… Serve questa posizione di ascolto».

Cosa hai inserito in questo album?

Tutto ciò che mi sta più a cuore. L’ho fatto attraverso la mia sensibilità e attraverso l’empatia. Ma parlo anche del senso di comunità e di condivisione».

Nella intro dici che “La vera forza è mostrarsi debole”. È così?

«In qualche modo, il mondo in cui viviamo ci impone di nascondere le nostre vulnerabilità perché sembra possano essere un ostacolo verso le proprie relazioni sociali, verso il lavoro, verso l’essere performativi. Invece riconoscere le proprie vulnerabilità e non avere paura di mostrarle significa avere forza perché vuol dire riconoscere la propria umanità».

Origami all’alba è un racconto in cui si parla di giorno e notte, di vita e morte. In Vipera dai voce alla voglia di restare, ma anche a quella di scappare. Sei fan delle antitesi?

«Io penso che la verità stia proprio nelle antitesi. Se una cosa è vera, è vero anche il suo contrario. E quindi tante volte per raccontare una cosa, bisogna raccontare anche il suo opposto… ».

Liberatemi è una riflessione sul tempo che scorre…

«Non è una cosa di cui ho paura. Ma sicuramente sento che viviamo in un mondo molto veloce nel quale abbiamo poco tempo per dedicarci a noi stessi. La salvezza io la trovo nell’amore e nella musica. Perché entrambe le cose hanno lo stesso processo di condivisione. Sono la stessa cosa. Condividere il proprio tempo con la persona che amiamo ci dà l’illusione di fermare le lancette».

Mare fuori è diventata una serie cult e ha trovato un pubblico molto affezionato. Il titolo del tuo album (Come te) nasce anche dal confronto con le storie dei tuoi fan?

«Mi fermano molte persone per strada. Conosco spesso persone di tutti i tipi. E questo in qualche modo mi permette di essere un po’ più vicino a tutta una comunità molto più grande di me. Le mie relazioni ora non sono più solamente con le persone che conosco. Incontrare i fan mi ha fatto crescere sulla conoscenza dell’altro. E di conseguenza su quella di me stesso».

Nel tuo disco c’è anche Clementino…

«Ci eravamo sentiti su Instagram perché aveva visto Mare fuori. E in realtà ci eravamo già conosciuti al Giffoni nel 2021. Ho colto l’occasione per chiedergli un consiglio sull’album che stavo chiudendo. Io mi trovavo a Milano e anche lui era lì. Così ci siamo visti e gli ho fatto ascoltare il disco. Lui era super contento e mi ha detto: “Secondo me ti manca una cosa del genere…”. Così è arrivato il nostro duetto. È stato stupendo vederlo all’opera. Mi sono reso conto della sua grande esperienza e di quanto sia professionale sul lavoro. Ho visto il flow. Un flusso inarrestabile di idee creative e di rime».

Farai alcune date live a novembre e dicembre. Che impressione ti fa?

«Credimi, sono molto emozionato. Prima di salire sul palco c’è sempre un po’ di tensione. È normale che sia così. Però sono molto contento perché posso finalmente iniziare a costruire un qualcosa che non sia più solamente scrivere e distribuire la musica, ma anche cantarla insieme al pubblico. Che è la cosa più bella».

E cosa hai pensato prima di salire sul palco dell’Ariston, a Sanremo, insieme agli altri ragazzi del cast di Mare fuori?

«Mi è sembrato un millesimo di secondo. Ero così emozionato. Quando sono andato a fare il soundcheck mi sono detto: “Ok, è un palco come un altro”. Però poi quando sei lì, la sera, in diretta, non puoi far finta di essere da un’altra parte. Ti rendi conto che sei lì e senti tutta l’importanza di quel palco. È stato bellissimo».

Matteo Paolillo
Matteo Paolillo

Come è successo che ‘O Mar For diventasse la sigla della serie tv?

«Io avevo scritto questa canzone grazie al lavoro che stavo già facendo sul mio personaggio. Avevamo già iniziato le riprese. Mentre lavoravo sul mio personaggio è arrivata. Così l’ho mandata sul gruppo Whatsapp con anche gli altri ragazzi del cast. Loro l’hanno fatta sentire alla troupe ed è arrivata anche al regista. Nel giro di qualche giorno è nato un meccanismo di viralità. Il regista è venuto da me e mi ha detto: “Facciamola diventare la sigla”. Non me l’aspettavo».

Questa canzone parla di un ragazzo che, una volta arrestato, trova conforto nel sapere che il mare è sempre lì fuori, pronto ad aspettarlo. Questo lo spinge a sperare. Qual è il tuo “mare fuori”, nei momenti di difficoltà?

«Il mio mare è l’arte, la musica, la recitazione. L’arte in generale ti salva, ti dà speranza. Ma anche la bellezza, la natura, il mare stesso».

Un luogo fisico in cui torni quando hai bisogno di pace?

«Se te lo dico, poi non è più di pace (ride, ndr). In realtà non ho un luogo fisico particolare. Però tendenzialmente quando sono in città mi piace essere vicino a un parco. Oppure mi piace avere una bella vista. Ho bisogno di respirare».