Addio Philippe Daverio, artista di vita
Foto: Pier Marco Tacca/Getty Images

Addio Philippe Daverio, artista di vita

di Francesco Rigatelli

Si è spento questa notte, all’età di 70 anni, lo storico, scrittore, presentatore tv ma soprattutto divulgatore di arte e bellezza. Che faceva della propria vita un’opera d’arte.

I colori. Il critico d’arte Philippe Daverio era una tavolozza semovente. Dal suo abbigliamento già si capivano la sua vivacità, la sua cultura poliedrica e la sua voglia di comunicarla. Il papillon non lasciava dubbi neanche ai più timorosi.

Daverio era come Topolino all’ingresso della Disneyland dell’arte. Poi iniziava a divulgare, in tv, alle conferenze o nei suoi libri, e coinvolgeva chiunque in quel mondo mitteleuropeo di cui si sentiva ambasciatore, lui alsaziano di Mulhouse, e che era il contesto di ogni sua conversazione.

Le sue trasmissioni non erano mai lezioni, ma dialoghi, chiacchierate tra amici colti e altri nuovi da incuriosire. Daverio restaurava la civiltà della conversazione come riprononeva panciotti di fantasie infinite. Non era un vero professore, perché divulgava, era serio non serioso, acuto non saccente, elegante non elitario.

Prima che presentatore tv e scrittore era stato gallerista e pure politico, innovando anche lì tra il serio e il pop, evitando il faceto. Accettò il posto da assessore alla cultura nella prima giunta leghista di Milano targata Formentini: «Fu la Lega a diventare daveriana», si spiegò anni dopo a Daria Bignardi. Poi sempre da posizioni critiche si candidò con Più Europa, convinto nella politica come nell’arte che quello fosse l’unico orizzonte.

Mai laureato, ebbe una cattedra all’Università di Palermo e partecipò da bibliotecario alla giunta di Sgarbi a Salemi. A giugno, forse già malato, con la consueta disponibilità e simpatia si concesse per un’intervista a La Stampa sulle mete possibili nell’estate del coronavirus: «È l’anno dei giri in macchina in Italia o poco più in là – quasi esultò dalla sua casa milanese a 70 anni -. Dopo mesi di letargo finalmente potrò tirare fuori le mie tre Jaguar. Mi piace girare con l’aria che entra dal finestrino». 

Raccontò anche della sua casa in campagna a Tarquinia, presa quando Capalbio divenne troppo di moda, e di quella di famiglia della moglie Elena a Vodo di Cadore. «Proprio lì consiglio il ristorante Il capriolo, il migliore di montagna che conosca: tutti sono vestiti con gli abiti locali e Cortina in confronto è cafolandia». E da quei dettagli capivi che libri come Grand tour d’Italia a piccoli passi e La mia Europa a piccoli passi si sarebbero giovati di appendici gastronomiche e di stile di vita, perché la vera cultura supera ogni confine di argomento.