Richard Avedon, il fotografo con l’ossessione per la perfezione

Richard Avedon, il fotografo con l’ossessione per la perfezione

di Giuditta Avellina

Porta le modelle dagli studi al plen air, abbraccia ritrattistica e impegno civile, passa da politica a stile a diritti umani. Connettendoli tutti in una indimenticabile pangea artistica

Dicono che migliorare significa cambiare, essere perfetti significa cambiare spesso. Richard Avedon, nella sua sorprendente carriera di fotografo e artista ha effettivamente compiuto moltissime mutazioni: reportage, fotografia di moda, ritrattistica, pubblicità. Uno, nessuno, centomila, Richard Avedon da New York. Qui nacque il 15 maggio 1923 da una famiglia ebrea e qui mosse i primi passi nel magico mondo della fotografia. Prima entrando a far parte del club fotografico della Young Men’s Hebrew Association, poi investendo moltissimo nella sua crescita personale. Sempre mantenendo quel rigore, quella rigidità che gli fu trasmessa dalla famiglia e investendo in ambiti affini a quello delle arti visive. Lavorando fino al 1940 al giornale di scuola, dove collabora con lo scrittore americano James Baldwin ed iscrivendosi, successivamente, alla Columbia University per studiare lettere e filosofia. Facoltà che frequenta per solo una anno, prima di dedicarsi completamente all’attività di fotografo presso la Marina Mercantile.


La rivoluzione di Richard Avedon

Ma intanto, il suo lavoro si osmotizzava, incontrando nuovi generi: nel 1944 studia fotografia con Alexey Brodovitch, direttore di Harper’s Bazaar e sposterà il suo raggio d’azione. La moda diventerà il primo nuovo amore di Richard Avedon e qui si muoverà, creando una realtà molto più dinamica di quanto fosse sino ad ora: le modelle, nella sua visione, stanno fuori dallo studio, niente scatti rigidi e reimpostati, più movimento, più libertà, più vita vissuta. Ispirato dal fotografo ungherese Martin Munkacsi, Richard Avedon fa dunque uscire le modelle dai luoghi chiusi, per realizzare ritratti luminosi en plein air.


La moda, le icone, gli scatti iconici

Diventare il principale fotografo della rivisita diventa l’imprevisto previsto. E così, Avedon comincia a farsi strada collaborando anche con altre importantissime riviste di settore: basti pensate a Life, Graphis, Look. E nella moda, in questa costante ricerca del vero, Richard Avedon porta anche la rivoluzione vera. Basti pensare, ad esempio allo scatto Dovima with the Elephants, che scatta al Cirque d’hiver, a Parigi nell’agosto del 1955 e per cui viene coniato il termine top model. Questa, infatti, rappresenta una delle foto più note e iconiche di moda di sempre. E non solo per la perfezione dello scatto o per la nascita del neologismo. Ma anche perchè quello immortalato è il primo abito da sera disegnato per Christian Dior dal suo nuovo assistente: Yves Saint-Laurent.


Nuovi mondi da esplorare

E intanto Avedon dalla moda, inizia a sporgersi verso un altro campo d’azione: quello della ritrattistica, dove eccelle per empatia e capacità di immortalare perfettamente la personalità di qualsiasi artista il suo obiettivo catturi. Ma effettivamente è sempre presente nel suo lavoro anche la volontà di rappresentare il vero, in posa diretta. Lo fa nel 1974 quando espone al MOMA di New York una serie sulla lenta morte del padre Jacob Israel Avedon, a testimonianza del declino di un uomo forte. Lo propone nel progetto The American West in cui dissacra il mito del west americano, concentrandosi su disoccupati, minatori, braccianti, impiegati e disoccupati (lo rifarà anche nel progetto dedicato ai malati di mente del Louisiana State Hospital e con un focus sulle vittime del napalm in Vietnam). 


Rivoluzioni come obiettivo

Nella moda, nel frattempo, un’evoluzione. Avedon inizia a lavorare con modelle di colore e – anche a causa di alcune critiche ricevute – sposta le sue collaborazioni verso Vogue, dove è Diana Vreelan a credere in lui per almeno un ventennio. Nel contempo, numerose sono le campagne pubblicitarie che Richard Avedon crea, da Revlon a Gianni Versace e Calvin Klein Jeans. Ma accanto al mondo patinato della moda, Avedon continua a coltivare passioni attigue, quali quella per il sociale: già dagli anni Sessanta, il fotografo documenta infatti movimenti pacifisti, dissidi sociali, vita negli ospedali psichiatrici. E in questo enorme e ben strutturato calderone, trova spazio anche la fotografia di musica e più in generale, un interesse che abbraccia tutto il macrocosmo del pop. A partire dagli scatti ai Beatles sino ai ritratti a celeb come Allen Ginsberg o Marilyn Monroe, Andy Warhol o il generale Eisenhower. Insomma, la sua è una fotografia che, nei più svariati ambiti, documenta e narra l’attualità, il contemporaneo, ciò che accade nel mondo. Facendo convivere la politica, con la moda, lo stile con la musica e con la protesta sociale. Avedon è guardare alle cose con ampio respiro, immortalarle come fossero l’unicum di una pangea in grado di accogliere ogni cosa senza discriminare altre. E forse in questo stanno la forza e la potenza, immortali, di un fotografo tanto prolifico in ogni dove e con eccellenti approdi sempre.


Non solo fotografia

Tra i suoi progetti, anche un serie di preziosissimi libri: come un prezioso libro di fotografie accompagnato da un saggio di Truman Capote, uscito nel 1955, ma anche Nothing Personal (1964), Portraits 1947-1977 (1978), An Autobiography (1993), Evidence 1944–1994 (1994) e The Sixties (1999). La sua meravigliosa carriera si arresta solo quando, colpito da un’emorragia cerebrale, muore a S.Antonio in Texas nel 2004. Su tutto una matrice comune: compostezza, intensità, ironia, leggerezza e un’ossessione per la perfezione, ambita e irraggiungibile. A monito di alzare sempre l’asticella per sempre essere migliore: «Tutte le fotografie sono accurate. Nessuna di esse è la verità».