Things: il fascino irreale degli oggetti tra arte e fotografia
© Valérie Belin Courtesy de l’artiste et de la Galerie Nathalie Obadia Paris/Bruxelles

Things: il fascino irreale degli oggetti tra arte e fotografia

di Elena Bordignon

Prendiamo a prestito le suggestioni di una grande mostra dedicata alla storia dello still life ospitata al Louvre di Parigi, per ritrovare alcuni dei più importanti fotografi che hanno segnato la storia di questo importante genere fotografico.

Si comprano, si accumulano e poi si gettano. A volte si custodiscono per anni, a volte si perdono. Le cose, gli oggetti: ne siamo attorniati, a volte sopraffatti. Viviamo con le cose e ce ne affezioniamo, perchè occupano un posto decisivo nella nostra vita e nella nostra immaginazione. Da pochi giorni uno dei più importanti musei al mondo, il Louvre di Parigi, mette al centro di una grande mostra proprio gli oggetti, riassumendoli nel titolo: Things – A History of still lifes (fino al 23/01/23). La mostra getta nuova luce su un genere, la ‘natura morta’, a lungo considerato minore, commemorandolo grazie a 170 opere d’arte, provenienti da importanti istituzioni e collezioni private prestigiose. Ampliando i confini cronologici e geografici, la mostra apre prospettive su altre culture, con un taglio trasversale che va dall’arte antica fino ai giorni nostri, con incursioni in letteratura, poesia, scienza ed ecologia. 
Dalle asce preistoriche ai readymade di Duchamp, fino alle stupefacenti composizioni di Arcimboldo, ma anche incursioni nell’arte religiosa con Zurbarán, o le magnifiche tele di Clara Peeters e Louise Moillon; per giungere alle correnti artistiche più recenti con opere di Manet, De Chirico, Miró e Meret Oppenheim. Non mancano i grandi nomi di artisti contemporanei come Nan Goldin, Ron Mueck e molti altri. 
Questa mostra è un’esplorazione degli oggetti che sono stati raffigurati sin dagli albori dell’umanità. Gli artisti sono stati i primi a prendere le cose sul serio: infondevano vita agli oggetti, riconoscendone l’esistenza, rispettandone la presenza e glorificandone le forme e i significati, il loro potere e il loro fascino. 

Nell’immaginario contemporaneo, al di là della storia dell’arte, anche il mondo della fotografia è costellato da grandi maestri. Pensiamo alla prima copertina per Vogue di Irving Penn del 1943 dal vago sapore dechirichiano. Gli oggetti che il grande fotografo immortalava erano intrisi di caratteristiche narrative e antropomorfe. Ma potremmo citare anche le geometrie di Paul Strand, che riusciva a restituire delle perfette architetture solo grazie a uno sguardo ravvicinato e cristallino. Un altro fotografo che ha reso la fotografia di still life immortale è stato Edward Weston conla sua serie di peperoni fotografati come fossero dei corpi dai muscoli contratti o le sue visioni ravvicinate di cipolle, foglie di cavoli e conchiglie. 
Insuperabili restano gli still life dal taglio surrealista di Man Ray e i primi esperimenti con la luce di André Kertész: una semplice forchetta appoggiata sul bordo di un piatto può diventare, grazie alla sua maestria fotografica, un paesaggio onirico. 

Dalla fotografia storica, passiamo alle visioni più contemporanee di Robert Mapplethorpe: si resta affascinati dall’ambiguità e sensualità delle sue composizioni floreali. Orchidee, tulipani, calle: i petali morbidi e lisci o venati di reticoli galleggiano su uno sfondo nero. I fiori si aprono e si chiudono alla macchina fotografica tra pudicizia e insolenza.
Nella nostra carrellata di fotografi che si sono cimentati con lo still life, doveroso citare Wolfgang Tillmans – commemorato proprio in questi giorni da una grande retrospettiva To look without fear ospitata al Moma di New York fino al 01/01/23 – che è riuscito a infondere in oggetti banali e quotidiani la stessa intensità che può avere un volto o un paesaggio. Tavoli non sparecchiati, briciole, frutta appassita, verdure abbandonate su un davanzale: piccole scene dal sapore intimo e domestico. 
Dopo l’intimità di Tillmans, gli still life di  Roe Ethridge. Diviso tra l’ambito strettamente artistico e quello commerciale, è soprattutto in quest’ultimo che Ethridge ha potuto esplorare la natura plastica della fotografia, dove le immagini possono essere facilmente replicate e ricombinate per creare nuove esperienze visive. Citando la pittura classica di natura morte, il fotografo ha dato vita ad immagini accattivanti e finemente inquietanti, dove l’iperrealismo si scontra con visioni patinate e luccicanti.