Warhol, due mostre raccontano la poliedrica attività del papà della pop art

Warhol, due mostre raccontano la poliedrica attività del papà della pop art

di Digital Team

A Milano e a Gallarate due grandi antologiche dedicate a Andy Warhol, tra immagini notissime e inediti sorprendenti

Non sono poi così numerose le antologiche di Andy Warhol in Italia. La più importante, passata per Milano e Roma, è rimasta (finora) quella del 2014 con un corpus di 150 opere, tutte provenienti dalla collezione di un super collezionista americano, nonché intimo dell’artista. Dunque, oggi che ce ne sono due, imponenti e quasi concomitanti, l’occasione è da non perdere. Difatti, mentre è ancora visibile fino al 26 marzo alla Fabbrica del Vapore di  Milano Andy Warhol – La pubblicità della Forma, ha appena inaugurato – quaranta chilometri più in là – al MA*GA di Gallarate, Andy Warhol. Serial Identity (fino al 18 giugno).  Entrambe ricchissime di opere – oltre 300 opere a Milano e più di 200 a Gallarate –  seguono ambedue un percorso in parte cronologico, arricchito da approfondimenti su particolari momenti della sterminata produzione di Warhol, tanto da diventare non certo complementari, ma, sicuramente, chiudendo un cerchio che permette al visitatore, tra inevitabili ripetizioni come le arcinote Campbell’s Soup, Marilyn, di avere una visione veramente completa. Curata da Achille Bonito Oliva (con Edoardo Falcioni), la mostra milanese parte dagli esordi di Warhol quale disegnatore e raffinato illustratore negli anni 50, per giungere ai 60, il decennio in cui la sua attività decolla, non solo come artista visuale, editore con la mitica rivista Interview, ma anche come cineasta, produttore musicale e si interrompe solo nel 1987 con la prematura scomparsa. La mostra documenta questo avvincente percorso e le sue evoluzioni: dagli oggetti simboli del consumismo di massa, ai ritratti dello star system degli anni 60; dalla serie Ladies & Gentlemen degli anni 70 dedicata alle drag queen, i travestiti, simbolo di emarginazione per eccellenza e considerati alla pari di star, sino agli anni 80 in cui, ormai padre spirituale di una nuova generazione di artisti come Jean-Michel Basquiat e Keith Haring, Warhol crea nuovi simbolismi, sperimentazioni e omaggi al passato con una predominanza del rapporto col sacro (era cattolico praticante). 


Almeno due le cose da non perdere e che dicono molto della straordinaria notorietà di cui Warhol godette, di come egli stesso si fosse trasformato in un ‘prodotto’ commerciale di successo. In ordine cronologico: nel 1979 la BMW lo coinvolse nel progetto BMW Art Car e Warhol dipinse/decorò in un’unica sessione, una BMW M1. «Adoro questa macchina. Ha più successo dell’opera d’arte», disse dopo la mezz’ora che gli ci volle per creare l’opera. Warhol infatti, invece di progettare prima un modello in scala e lasciare il completamento finale ai suoi assistenti, come fatto dai suoi predecessori, dipinse lui stesso la BMW M1 dall’inizio alla fine. «Ho cercato di dare una rappresentazione vivida della velocità. Se un’auto è davvero veloce, tutti i contorni e i colori diventeranno sfocati». La vettura, che quello stesso anno corse alla 24 ore di Le Mans (in rete c’è un breve documentario), è stata in novembre generosamente ricoperta con 8 chili di farina da alcuni attivisti di Ultima Generazione (alla faccia dello spreco alimentare).  Episodio 2: nel luglio 1985 Warhol, testimonial al lancio di Amiga 1000, il nuovo computerCommodore realizzò alcune immagini digitali tra cui un ritratto di Debbie Harry che ritrasse con una fotocamera collegata al computer per poi elaborare gli scatti con il software di Amiga. Era veramente la preistoria del digitale. Fatto sta che di quelle immagini, rimaste in alcuni floppy disk con il computer usato per la presentazione, (poi finito all’Andy Warhol Museum di Pittsburgh) sono state ritrovate solo nel 2011 e recuperate con un lavoro durato tre anni.  Da vedere anche la ricostruzione della prima delle 3 diverse Factory (il suo studio) che Warhol ebbe a NYC.

Veniamo alla mostra al MA*GA. Curata da Maurizio Vanni ed Emma Zanella offra anch’essa un ampissimo excursus sui quasi 4 decenni di attività di Warhol, puntando, come dice il titolo Serial Identity  a sottolinearne l’assoluta poliedricità e il continuo desiderio di trasformazione. Anche qui due sezioni assolutamente peculiari da segnalare. La prima è dedicata ai film che l’artista americano realizzava usando un’unica cinepresa fissa; si va dalle 8 ore e passa di Empire – l’Empire State Building ripreso (nel 1965) dal tramonto all’alba, ai 58 minuti di Kiss (1963-1964) – una sequenza di baci scambiati da coppie etero e omosessuali; ai 3 minuti cada dei quattro dei 472 esistenti Screen Tests (Salvador Dalí, Bob Dylan, Lou Reed con una Coca Cola ed Edie Sedgwick) – riprese b/n e mute realizzate puntando la macchina da presa su chi andava a visitare la Factory. Dal Museo di Pittsburgh sono arrivati inoltre i cinque episodi di Andy Warhol’s Fifteen Minutes, in onda sulla giovane MTV dal 1985 al 1987 (da vedere, soprattutto i giovani, ancora oggi di una freschezza incredibile), e i tre spezzoni video del 1981 per il Saturday Night Live, lo show tv più famoso d’America, considerati i vertici dell’opera televisiva warholiana. Altra sorpresona a Gallarate, per la prima volta in Italia, la Exploding Plastic Inevitable, la performance/concerto di Warhol con i Velvet Underground e Nico. Dall’aprile 1966 al maggio dell’anno successivo l’Exploding Plastic Inevitable andò in scena, con altalenante successo di scarso pubblico e critica, in varie città americane: da New York a Los Angeles, da San Francisco a Chicago, a Provincetown. 

Lo show era una vera e propria performance mix mediale ante litteram, Warhol manovrava le luci e le immagini nell’ambiente, creando un clima che dire psichedelico è poco, mentre i Velvet Underground e Nico si esibivano dal vivo vestiti completamente di bianco, fungendo da supporto mobile per le proiezioni di film e diapositive con varie immagini e colori. Il film, dedicato allo spettacolo e girato nel giugno 1966 da Ronald Nameth, si presenta come una proiezione multicanale ambientale e immersiva e costituisce l’unica fonte completa di documentazione della performance, concessa in prestito in esclusiva al MA*GA dall’archivio di Ronald Nameth con la collaborazione del MACBA di Barcellona.