Intervista allo chef neo stellato del ristorante Umami di Andria

Curiosità vivace e voglia di sperimentare nuove strade pur nel rispetto della tradizione: dopo una breve chiacchierata, sembrano queste le coordinate per inquadrare Felice Sgarra, lo chef che guida la brigata del ristorante Umami di Andria (che si trova all’inizio della strada per Trani, in Puglia). Il risultato di curiosità e sperimentazione è ‘l’emozione che c’è dietro ogni piatto’ e che nasce dalla ‘cultura di un ingrediente’.

Partiamo dunque da quest’ultimo, l’ingrediente, e cioè da quelle caratteristiche che alla fine accomunano tutti gli chef di un certo livello: ‘Qualità, freschezza, conoscenza di chi lo produce’. L’elaborazione che segue getta uno sguardo particolare sul territorio: ‘Prendiamo ad esempio anche una semplice parmigiana. Io la monto con la stracciatella, che non è la solita, banale mozzarella. Così diventa un piatto nostro, di un territorio che riconosci quando assaggi il piatto. Questa è l’emozione’.

Un ulteriore esempio arriva senza chiederlo, perché chef Sgarra è un fiume inarrestabile, quando ti racconta la sua idea di cucina: ‘L’ostrica rossa, quindi l’ostrica imperiale, io l’abbino sempre a qualcosa di dolce. In questo caso faccio un abbinamento con la granita di menta, che spezza quel leggero sentore di amarognolo e ti dà freschezza, quella freschezza che, come concetto astratto, identifica l’ostrica in sé e per sé. E nel piatto c’è l’idea di mare, con la sua salinità e dolcezza’.

Si parte insomma da ingredienti di qualità, meglio ancora se d’eccellenza, ‘per esempio i gamberi rossi di Gallipoli, ma per quanto mi riguarda sono eccellenze tutti i prodotti ittici pugliesi, e poi si fa grande attenzione a come si lavorano, senza scartare in partenza abbinamenti che potrebbero sembrare azzardati, ma in verità portano a degli equilibri fantastici. Bisogna ovviamente trovare i giusti equilibri e questo è il vero talento di uno chef’.

La considerazione di Felice Sgarra per il territorio e le materie prime ha un culmine quando parla del suo ingrediente preferito, l’olio extravergine d’oliva: ‘Mi riporta ai nonni e al papà, che erano contadini, mi ricorda di quando ero bambino. E allora il discorso, in cucina, è di ritrovare nel piatto quelle sensazioni’.

Al di là delle sensazioni, la cultura contadina ha fatto sì che chef Sgarra superasse di slancio gli aspetti più faticosi della vita dietro i fornelli. Quando, insieme al fratello gemello Riccardo, decise di non ereditare l’attività di famiglia ma di gettarsi nella ristorazione (Riccardo diventerà sommelier), scoprì di avere una marcia in più: ‘Lavorare 12 o 16 ore in cucina per noi era facilissimo, perché ci era stato insegnato il sacrificio. Avevamo affiancato papà e ad esempio le olive andavamo a raccoglierle a mano una per una, lavoravamo nell’orto ed era faticoso quando faceva freddo, ti si ghiacciavano le mani e i piedi. Soprattutto, iniziavi alle cinque di mattina e finivi forse alle sei del pomeriggio se ti andava bene, perché magari poi tornavi a casa e dovevi preparare le verdure dell’orto per rivenderle il giorno dopo al mercato’. Per contro, ‘quando ero nel ristorante per me era quasi una vacanza, anche perché era fantastico stare a contatto con delle materie prime importanti’.

Deriva forse dalla cultura contadina anche la considerazione per l’umiltà: ‘Oggi quello che sbagliamo è che crediamo di sapere, e in verità non sappiamo nulla. Ci manca quella cosa che è dentro di noi, ma che nessuno sfrutta: l’umiltà. Oggi purtroppo c’è tanta saccenteria. Io dico sempre che l’unica cosa che so è di non sapere. Questo porta alla continua ricerca, alla voglia di crescere e di imparare. Non per forza da un maestro di cucina: si può imparare benissimo anche dalla vicina di casa’.

È successo? ‘Sì. Io ho una la mia ricetta della nonna delle scarcelle, i biscotti tipici di Adria. Tempo fa arriva una signora e mi regala quelle fatte da lei. Dice che sa di non essere ai miei livelli, ma che ci ha messo tutto il cuore possibile. Erano buonissime. L’ho richiamata il giorno dopo e le ho chiesto se le andava di vederci e di cucinarle insieme secondo la sua ricetta, che ho scoperto prevedeva di utilizzare l’olio extravergine d’oliva al posto del burro. Ecco, questa per me è cultura’.

E la cultura, con un pizzico di altruismo, si può tramandare in modi sorprendenti: ‘Mi hanno chiesto di fare una scuola di cucina per disabili. Gli ho insegnato a cucinare la focaccia e gli gnocchi. Sono stati contentissimi. Con due cose semplici, banali… per me banali: per loro importanti perché avevano la possibilità di esprimersi’.