Tradizione, chilometro zero, duro lavoro: lo chef valtellinese si racconta

Nel verde della Bassa Valtellina, a un passo dal Lago di Como, sorge l’azienda agricola La Fiorida. Al suo interno si trova il ristorante La Présef, che in dialetto valtellinese significa la mangiatoia, e dietro i fornelli c’è chef Gianni Tarabini, che si definisce ‘un artigiano del cibo’. Parlare con lui è come essere travolti da un fiume di entusiasmo.

‘Io vengo da quattro generazioni di ristoratori e sono uno chef un po’ anomalo. Nel senso che non ho seguito la trafila che parte dalla scuola alberghiera: sono un autodidatta, ho cominciato dal localino dei miei bisnonni, con il suo orto, i suoi maiali. Mio papà aveva già la fattoria, quindi in estate facevo il pastorello a 3000 metri per tre mesi, da quando avevo tre anni fino quasi ai diciotto. Quello che so sulle mucche e il formaggio, ad esempio, l’ho imparato sul campo. Inoltre, papà era anche un cacciatore, e grazie a lui ho imparato tutto sulla selvaggina e sulle erbe’.

‘Essere un autodidatta può rappresentare un difetto, perché se arriva lo stagista e chiede le dosi della salsa bernese, io non le so e chiamo il mio sous-chef’, dice ironicamente Gianni, che invece le dosi le conosce eccome. ‘D’altra parte, ad esempio ho fatto il pastore, ho munto le mucche per anni, a mano, sotto i temporali. Conosco il sapore del pelo della mucca quando piove e so di cosa parlo quando parlo di formaggi. E poi, ho bruciato tante pentole e ho fatto tanti esperimenti, e bene o male mi sono creato una tavolozza di gusti, di abbinamenti e di procedimenti’.

Bruciare tante pentole significa avere in curriculum alcuni fallimenti clamorosi: ‘Ce n’è uno che ogni tanto racconto anche ai miei ragazzi. Una volta compro il tartufo d’Alba, dopo qualche anno che cerco di convincere mio papà, perché costa 700mila lire e per lui è un sacrilegio spendere una cifra simile. Lo compro e mi informo per capire come conservarlo: metterlo nella carta, nel legno, nel frigo, in mezzo al riso. Alla fine quest’ultimo mi sembra il sistema migliore, perché mi dicevo che così il riso avrebbe assorbito il profumo del tartufo. Metto tutto in un vaso di vetro, lo controllo un giorno sì e uno no, poi lo dimentico un paio di giorni e quando decido che è arrivato il momento di cucinare un gran risotto scopro che il tartufo ha fatto muffa e il riso è diventato duro’.

Come dice il proverbio, però, sbagliando si impara (‘lavorando sugli errori, certe cose ti restano molto più in testa’). Non solo, si acquisisce fiducia nell’esperienza maturata sul campo: ‘Quando ci siamo trovati in difficoltà con il lievito madre, abbiamo chiamato un panettiere di 70 anni che è entrato in cucina, ha bagnato il dito, l’ha alzato e ha detto: qui c’è vento, lì non va bene, là c’è troppa umidità. Ci ha dato quattro parametri che magari noi avremmo impiegato due anni a comprendere’.

Quest’idea artigianale della cucina non impedisce però a Gianni Tarabini di lasciarsi incuriosire dalle novità tecnologiche: ‘Sono stato uno dei primi, in Valtellina, ad avere un forno Rational. Senza farlo sapere a papà, perché costava 15 milioni di lire, ho fatto tutta una serie di esperimenti e quando altri hanno cominciato a comprarlo io già sapevo farlo andare e sapevo pure smontarlo’.

A furia di accumulare esperienza, un giorno Tarabini viene chiamato da Plinio Vanini, il titolare dell’azienda agricola La Fiorida. Il compito dello chef è dare nuovo slancio alla ristorazione, all’interno di un contesto particolarissimo: ‘Il 60-70% di ciò che cuciniamo è prodotto all’interno dell’azienda o nei comuni limitrofi. Abbiamo cento mucche, quattrocento maiali, le capre, le anatre, le galline allevate a terra. E poi contadini e ortolani. La Fiorida è un progetto particolare, una sorta di paese: abbiamo ottanta dipendenti e ogni giorno facciamo una ventina di forme di casera DOP. Col nostro latte facciamo i gelati e lo yogurt. E le bresaole che mangi al ristorante poi le trovi nello spaccio dell’azienda’.

La particolarità di questo contesto si riflette nella cucina, perché Gianni Tarabini organizza anche servizi di catering, ricevimenti matrimoniali e gestisce entrambi i ristoranti della Fiorida, il Quattro Stagioni e quello stellato, La Présef. È in quest’ultimo che ‘tutto quello che sappiamo sulla ristorazione viene declinato con un po’ di creatività, partendo sempre da prodotti semplicissimi e locali. Quindi non cuciniamo l’aragosta o lo storione, ma le patate di montagna, il topinambur, il pesce di lago, i funghi. Anche i tartufi della zona: nessuno lo sa, ma ce ne sono parecchi’.

È questa sezione, quella più creativa, che ha portato alla stella Michelin, che però ‘è un riconoscimento a tutta l’azienda. Io sono un po’ come l’allenatore di una squadra di calcio: il risultato è della squadra, a partire dal contadino che ci dà il formaggio buono. Insomma, l’arrivo della stella ci ha dato forza, perché testimonia che la strada è quella giusta anche se siamo un po’ diversi dai soliti stellati’.

E per quanto riguarda il cibo, Tarabini ha le idee chiare: ‘La mia filosofia è che la cucina comincia con le materie prime e finisce quando uno va a letto e deve dormire sereno e alzarsi leggero. Inoltre, se fai assaggiare materie prime di un certo tipo, la seconda volta la gente non torna più indietro ai vecchi sapori’.