Dal ristorante Argine di Vencò alle cucine della Tv, sostituisce Carlo Cracco e insegna l’arte dell’haute cuisine partendo dall’orto e dal mercato


La chef Antonia Klugmann del Ristorante Ostello Venissa sull’isola di Mozzorbo, a Venezia (credito: Mattia Mionetto)

Antonia Klugmann, la chef 38enne pluripremiata come Miglior chef donna 2013 e Miglior rivelazione dell’anno 2014, diventa quarto giudice nel talent dei fornelli MasterChef Italia sostituendo Carlo Cracco e affiancando Bruno Barbieri, Joe Bastianich e Antonino Cannavacciuolo.

Per due anni è stata la chef del ristorante Venissa, sull’isola di Mazzorbo a Venezia, che le ha subito portato una stella Michelin.

Poi nel 2014 si imbarca per una nuova avventura (anche questa stellata Michelin): un ristorante nato a sua immagine e somiglianza, L’argine, a Vencò, nel Collio, in provincia di Gorizia, gestito con la collaborazione del compagno Romano. 

In un’intervista rilasciata ad Icon un paio di anni fa rivelava tutto l’amore ee la passione per la cucina e la natura. “Il mio obiettivo è coinvolgere il più possibile ogni cliente in modo che viva di persona la cucina classificata come gourmet, troppo spesso percepita come complicata da realizzare. Invece, nella sua leggerezza e nei suoi passaggi rapidi, ha in sé molta semplicità”.

Antonia Klugmann insegna infatti a cucinare e degustare un raffinato menù da ristorante stellato, imparando a reperire gli ingredienti nell’orto. Ma da cosa si riconoscono la frutta e la verdura migliori? “Il trucco sta nell’utilizzare e reperire materie prime locali in modo da cucinare con gli ingredienti più freschi, quelli che hanno percorso meno strada. La stagionalità dei prodotti è fondamentale”.

Anche il pesce vuole la sua parte. “Il mio segreto è l’investigazione. Quando si fa la spesa non è importante soltanto saper riconoscere un buon prodotto ma soprattutto conoscere chi ce lo vende. Il mio pescivendolo mi tiene informata settimanalmente su quali sono le pescate tipiche del periodo e sa tutto sulle singole barche che lo riforniscono. Per quanto mi riguarda scelgo metodi di pesca non distruttivi del fondale perché sono in stretta connessione con la pesca locale, quindi di facile controllo. Ad esempio, ci sono pesci che non vengono più trattati perché richiesti sempre meno, come il calamaro che in Italia arriva decongelato dalla Francia. Conoscere il pescivendolo che riesce a reperire quei due tre chili di calamari freschi, pescati quella notte magari in Laguna, diventa per me importante per la realizzazione di un ottimo piatto”.

Mangiare bene vuol dire anche affinare il palato e imparare a cuocere oltre che a scegliere la pasta. “La pasta, secca o fresca, è un ingrediente e non soltanto un supporto di un sapore. Ha una sua texture e una sua insistenza nel piatto. La sua qualità si riconosce dalla quantità di rilascio dell’amido rispetto alla cottura che deve essere omogenea nonostante l’estetica. Insomma, non si deve sentire differenza tra cotto e crudo. La soluzione è provare diverse volte lo stesso formato per riuscire a cogliere qual è la sua unicità. Come si fa con il riso, bisogna ascoltare la pasta e capire che cosa vuole rispetto alla cottura. Invito a osservarla e a vedere come reagisce al calore, alla bollitura e poi al sugo”.

Una vera e propria lezione dalla chef Klugmann non può mancare il dessert. “Credo che gli agrumi siano l’elemento che più rende interessante un dolce, soprattutto in questa stagione. Sia per un lievitato tradizionale sia per un dolce da ristorante. In menù ne ho uno che si chiama Agrumi e Agrumi. La ricetta è semplice: preparo un biscotto classico di questa zona, lo Zaletto, con una base di arancio. Poi lo sbriciolo e lo faccio diventare un crumb. Unisco arance rosse marinate nel timo al limone, un granita di pompelmo, cedro candito e acetosella fresca. Tutto accompagnato da una mousse di mandarino e olio. Senza panna”.

Gli avanzi in cucina sono la prassi, oltre che uno spreco. Imparare a gestirli e riciclarli è necessario. “Si deve comprare solo quello che si consuma. Le quantità maggiorate rispetto ai bisogni quotidiani sono un’esagerazione che si paga in tutti i sensi. Vedere il piatto pieno di cibo è come se volessi riempirmi ancora prima di mangiare. Invece bisogna mangiare con il cervello. Conoscere le proprie esigenze quotidiane, ascoltarsi e non sempre ragionare in termini industriali. La cucina non è una fabbrica. E se proprio avanza qualcosa c’è sempre la possibilità di fare un fumetto con quello che resta del pesce o un ragù con i ritagli della carne. Lo stesso vale per le verdure”.