Il foie gras che rispetta gli animali

The Perennial Plate

Il foie gras che rispetta gli animali

di Aldo Fresia

Arriva dalla Spagna e si ottiene senza maltrattare le oche: la ricetta dell’allevatore Eduardo Sousa

Prima di arrivare sulle tavole dei buongustai il foie gras prevede uno dei trattamenti più crudeli che si possano riservare agli animali, cosa che ha spinto molti a eliminarlo, se non talvolta addirittura a boicottarlo. È così che l’allevatore spagnolo Eduardo Sousa ha visto gradualmente crescere l’attenzione su di sé, prima in Spagna e negli Emirati Arabi Uniti, poi negli Stati Uniti, in Francia e ora anche in Italia: il suo metodo di produzione è infatti naturale.

La lavorazione comune del foie gras, che in francese significa ‘fegato grasso’, prevede l’alimentazione forzata, il cosiddetto gavage: si prendono oche o anatre e le si ingozzano con quantità di cibo molto superiori a quelle che assumerebbero naturalmente. In questo modo si provocano i depositi di grassi nel fegato e dunque la consistenza e il sapore tanto cari ai palati di mezzo mondo.

L’alternativa proposta da Sousa affonda le radici in una tradizione famigliare che risale al 1812 e che consiste nell’approfittare dell’istinto naturale che spinge le oche a rimpinzarsi volontariamente prima di affrontare una migrazione.

L’azienda occupa infatti numerosi ettari situati nel sudovest della Spagna, in Estremadura, circa 80 chilometri a nord di Siviglia, al confine col Portogallo. È un luogo posizionato lungo il corridoio migratorio atlantico, una sorta di autostrada per volatili che collega il nord Europa, dove le oche nidificano, con le zone calde del sud, dove svernano. A Sousa basta preservare un ecosistema sano e il gioco è (quasi) fatto.

Il resto è ‘dare alle oche ciò che vogliono’. Intanto fornendo cibo in abbondanza, in modo particolare piantando alberi di fichi e olivi, erbe e soprattutto lupini, capaci di dare al fegato quella colorazione gialla che il mercato è abituato ad associare al foie gras di qualità – un colore che non è naturale, ma deriva dal mais contenuto nell’alimentazione forzata.

Il secondo requisito per coccolare le oche è difenderle dai predatori naturali attraverso enormi recinti elettrificati verso l’esterno, in modo che volpi e faine stiano alla larga.

La sfida quindi è assecondare l’istinto a nutrirsi in vista della migrazione e contemporaneamente combattere quello a partire. Secondo quanto raccontato dallo chef statunitense Dan Barber, ciò è possibile perché il vero istinto non è la migrazione, bensì ‘trovare condizioni favorevoli alla vita, alla felicità’. È così che le oche ‘addomesticate’ di Sousa riescono a convincere ogni anno diverse oche selvatiche a stabilirsi in Estremadura.

Il risultato è un foie gras stagionale – e squisito, a detta di Barber e non solo – che ha portato una prima ventata di notorietà alla famiglia Sousa nel 2006, quando vinse il prestigioso Coup de Coeur al Salone Internazionale dell’Alimentazione di Parigi. Un secondo rilancio del prodotto è avvenuto nel corso del 2013, quando l’alleanza con Diego Labourdette ha portato alla nascita del marchio Sousa & Labourdette per la commercializzazione del loro prodotto.