Com’è nata la sua passione, cosa sta dietro il suo successo e come possiamo avvicinarci alla cultura della birra artigianale

È una lunga storia, quella del Birrificio di Lambrate, ed è una lunga storia quella del suo mastro birraio Fabio Brocca, tipo schietto che preferisce tenere un profilo basso nonostante la recente nomina a Birraio dell’anno 2015. «Mastro birraio non è un titolo che mi sento addosso», dice Brocca, «perché di solito il mastro birraio si è laureato in università specifiche dove ha compiuto un percorso che io non ho fatto. Preferisco essere definito solo birraio, mi sento più a mio agio».

La sua avventura comincia negli anni Novanta, durante una vacanza in Belgio assieme agli amici Giampaolo e Davide (due fratelli), che diventeranno con lui soci del futuro Birrificio Lambrate. «Eravamo in Olanda, ad Amsterdam, in un pub con un nome impronunciabile. Era la prima volta che assaggiavo birre artigianali, ne avevo sempre bevute di industriali, anche buone ma industriali, e per la prima volta ho potuto apprezzare birre che partivano da un certo stile, ma in cui l’estro del mastro birraio faceva la differenza».

È un colpo di fulmine e presto arriva l’idea di aprire un pub a Milano. Ed è a questo punto che interviene il padre di Davide e Giampaolo: «È professore universitario in agraria ed è lui che ci ha spinto a produrre, invece di acquistare e rivendere». Fatta un po’ di esperienza come brewer, «è iniziato un esperimento sulla pelle dei milanesi, perché all’epoca la cultura della birra artigianale era assolutamente insistente».

L’epoca in questione è il 1996, anno di apertura del Birrificio Lambrate e dell’annesso pub di via Adelchi: «Aveva aperto Turbacci, giù verso Roma, e stavano aprendo il Birrificio Italiano e Baladin. Appena dopo ci siamo stati noi». Si comincia con due birre e un impianto da 150 litri; oggi i soci sono diventati cinque, si è aggiunto un pub ristorante (in via Golgi), le birre prodotte sono 28, è imminente l’apertura di un pub a Berlino e l’ampliamento della produzione con un impianto da 40 ettolitri.

L’esplosione è stata aiutata dal risveglio dell’interesse per la birra artigianale, intorno all’anno 2000, ma un mercato che risponde bene da solo non basta. «Circa sei anni fa ho messo in piedi un laboratorio di analisi con un tecnologo alimentare: ho sentito l’esigenza di monitorare tutti i lotti della produzione e avere una costanza nella qualità, perché io non riuscivo a garantirlo con le mie basi di studio. E poi i collaboratori che ho scelto nel tempo mi hanno aiutato a sviluppare i nuovi stili di birra, a portare avanti la ricerca. Adesso siamo una squadra ben affiatata: resto io il regista, ma è con l’aiuto di tante persone che siamo arrivati a questo risultato».

Vale la pena di approfittare dell’esperienza e della disponibilità di Fabio per dare qualche consiglio ai neofiti della birra. E, con sorpresa, la prima dritta è spiazzante: «Non gettarsi subito sulle artigianali», dice ridendo; «Non vorrei parlare male di alcuni concorrenti, ma in Italia la conservazione delle birre non è il massimo e infatti in bottiglia non è la stessa cosa che berla fresca al pub. Inoltre, talvolta i produttori italiani mancano di consapevolezza: le idee in Italia sono eccezionali, secondo me abbiamo delle ricette incredibili che però a volte si perdono via per disattenzione sulla qualità. E allora, per l’uno e per l’altro motivo, magari un neofita assaggia per la prima volta un’artigianale, è sfortunato, cade su quella sbagliata, gli fa schifo e perde interesse».

«L’ideale è trovare qualcuno che ti guidi, che ti spieghi cosa stai bevendo e a quale ingrediente sono dovuti i sapori che senti. Dopo di che basta seguire i propri gusti, concedendosi però la curiosità di assaggiare cose nuove».

Se invece volete offrire da bere a Fabio Brocca, sappiate che gli piacciono tantissimo «le birre stile Indian Pale Ale e Session IPA, quelle prodotte da un birrificio californiano, Firestone Walker, che a mio parere non ha rivali in quel genere. Purtroppo sono difficili da trovare buone in Italia per via della conservazione, che è un po’ un delirio».

Altra possibilità è affidarsi alla belga Orval, «per parecchi anni uno dei miei birrifici preferiti». Fra i suoi prodotti, la birra prediletta è la Petit Orval, «molto luppolata, piacevolissima perché fa 4 gradi e mezzo, venduta solo a chi va a visitare l’abbazia o il ristorante lì accanto. È una birra incredibile e poi, se sei in Belgio in vacanza, questo aumenta il godimento».