Robert De Niro

Robert De Niro

Nella serie tv “Zero Day”, è l’ex-presidente degli Stati Uniti, nome in codice “Legend”. Nessuno può negare che all’ottantunenne attore spetti di diritto questo titolo: alcuni lo definiscono il più grande attore vivente, mentre altri lo celebrano come forse il più grande di tutti i tempi…

di Cezar Greif

Conosco Robert De Niro da 12 anni ed è un grande piacere intervistarlo. Insiste per essere chiamato Bob né chiede trattamenti speciali. Non assomiglia affatto ai personaggi che di solito interpreta: in genere è pacato e riservato e, cosa più importante, ascolta con interesse i suoi interlocutori e fa domande. Forse sono stati questa curiosità, la voglia di scoprire il mondo che hanno contribuito a fargli conquistare due Oscar e a regalarci interpretazioni memorabili, da Taxi Driver a Ti presento i miei, da Quei bravi ragazzi a Toro scatenato e tante altre.

Per questo servizio avevamo scelto il Bowery Hotel, a Manhattan. Benché costruito solo 20 anni fa, evoca lo stile vintage della New York di metà 900 e per De Niro è stato un tuffo nel passato. È proprio nella zona in cui è cresciuto; infatti il quartiere omonimo, Bowery, sorge accanto a Little Italy. A tratti, mentre guarda dalla finestra, De Niro sembra perso nei pensieri, mentre i ricordi della sua vita da bambino cresciuto nella Manhattan dei Fifties gli affollano la mente. Un minuto dopo, tuttavia, è presente, pronto a parlare dei suoi nuovi progetti: il thriller politico Zero Day e The Alto Knights-I due volti del crimine diretto da Barry Levinson e prodotto da Warner Bros, in cui interpreta non uno, bensì due boss mafiosi.

Sebbene nel 2024 sia stato molto impegnato nella campagna presidenziale a sostegno di Kamala Harris, criticando aspramente Donald Trump, quello che incontriamo è un altro De Niro. La politica è il tema centrale di Zero Day, ma non vuole commentare l’attuale situazione politica americana. Non esita invece a parlare di Gia, l’ultima figlia avuta nel 2023 dalla sua compagna, l’istruttrice di arti marziali Tiffany Chen, e al termine dell’intervista mi chiede di guardare una foto che lo ritrae insieme alla piccola ai bordi di una piscina. Dal sorriso sul suo volto, è chiaro quale sia oggi il nuovo progetto più importante nella sua vita.

Robert De Niro
Robert De Niro indossa Loro Piana

È cresciuto a Little Italy, ma era italiano solo per un quarto (suo padre lo era per metà). Si sentiva un italo-americano?

«Beh, mi identificavo principalmente con gli italiani. Ho trascorso un sacco di tempo in questo quartiere, ma guardandomi attorno ora vedo tanti nuovi edifici mescolati ai vecchi punti di riferimento. Conosco bene Bowery, queste strade, ma ora la vista di alcuni edifici è ostruita da nuove costruzioni e devo fare uno sforzo per orientarmi».

Uno dei suoi primi ruoli è stato nel film francese Trois Chambres à Manhattan. Cosa ricorda di quell’esperienza e di quegli anni 60?

«Mi avevano ingaggiato come comparsa per un giorno. La scena doveva svolgersi in una caffetteria di Lexington Avenue. Da americano, notai subito alcune cose che erano chiaramente europee, come la macchina per il caffè che compariva nella scena e che allora non avresti trovato in un caffè di New York. Allora vivevo a Parigi, qualcuno mi aveva parlato del set e mi offrii come comparsa, tutto lì. I protagonisti erano Maurice Ronet e Annie Girardot».

È stato diretto da Bernardo Bertolucci, Sergio Leone e di recente da Giovanni Veronesi (Manuale d’amore). Com’è lavorare con registi italiani rispetto agli americani?

«Bertolucci era diverso da Leone. Hanno entrambi un certo lirismo, ma quando stavamo girando Novecento c’era una “vecchia” sequenza in cui interpretavo una versione molto anziana di me. La girammo all’inizio del film; lo trovai sconcertante, perché avrebbe dovuto essere girata dopo. E infatti la rifacemmo alla fine, Depardieu e io. Non puoi farla fino a quando non hai preso confidenza con il personaggio; a logica non ha senso.

Oggi sarei in grado di farlo, se ci fosse un buon motivo, ma allora ero un giovane attore, era difficile. Andai a parlare con Bernardo, che mi spiegò come lavorano gli europei, ponendo l’accento “sul sentire, sul momento”, ecc. In altri termini, il modo in cui ti senti oggi influenza il modo in cui fai le cose: non sai come farai la scena, oggi potresti sentirti in un modo e in un altro domani. Aveva ragione, anche se d’altra parte ci sono alcune cose cui ti devi attenere, a prescindere da come ti senti.

Quando ho girato una scena a New York, al Whitney Museum, in un vecchio film, Ciao America, con un attore di nome Allen Garfield che non avevo mai incontrato, improvvisammo e lui fu fantastico. Io mi sentivo così così; in realtà la scena venne benissimo. Può accadere che uno non si senta in forma, ma la scena venga bene ugualmente. Prenda noi due, ora: mentre stiamo conversando può darsi che lei, o io, abbiamo altro per la mente, ma questo non influisce sull’intervista.

Lo stesso accade quando si gira. Certo, i film europei sono diversi da quelli americani, ma il pubblico europeo ama comunque i film americani, forse per la loro semplicità. Ovvio, sto generalizzando. Avevo 24 anni, ma ho capito che non devi essere per forza del tutto sul pezzo perché una scena riesca bene. Vai avanti a fare quello che ti è stato chiesto, segui le tue intenzioni, a livello sociale e interattivo. Non devi lasciarti confondere da altre cose».

Robert De Niro
Robert De Niro con giacca e polo Loro Piana

Ci sono film che per molto non ha amato e di cui poi, d’un tratto, ha pensato: «Beh, in fondo, questo non era poi così male»?

«Non me ne viene in mente uno in particolare, ma ho acquisito una certa obiettività e potrebbe accadere che girando i canali veda qualcosa che mi faccia dire: “È buono”. Ho sempre voluto, e invecchiando non so se avrò il tempo, guardare tutti i miei film, dal primo al più recente: passarli in rassegna in ordine cronologico e con occhio critico per mio diletto, magari scrivendo appunti o commenti.

L’idea è chiedermi: “Che direzione posso prendere che sia diversa da tutto ciò che ho fatto finora?”. Ma non mi ci sono mai cimentato. Un amico scrittore mi aveva proposto di fare insieme questo lavoro. Ho risposto: Ci penserò. Farlo davvero è tutta un’altra storia».

Sta ancora lavorando molto, il suo atteggiamento è cambiato? È ancora entusiasta di trovarsi sul set?

«Sono fortunato perché ho un camper. Da lì lavoro su un copione, faccio delle chiamate, sbrigo delle questioni, ho sempre qualcosa da fare. Non aspetto con le mani in mano, e poi oggi ci sono un sacco di distrazioni. In passato entravi nel camper ed eri solo: tutto ciò che potevi fare era leggere, ascoltare la radio o guardare la Tv, se eri fortunato ad averla.

Adesso ci sono mille cose da guardare, persino delle cavolate; è facile tenersi sempre occupati. I tempi di attesa per me non sono un problema. E poi, in un certo senso è bene spostare l’attenzione da quello che stai facendo, a meno che non si tratti di una scena su cui devi rimanere concentrato».

In Zero Day ho notato analogie con la serie West Wing-Tutti gli uomini del Presidente trasmessa agli inizi del Duemila; allora avremmo voluto che Jed Bartlett, interpretato da Martin Sheen, fosse il vero Presidente invece di George Bush. Allo stesso modo, vorremmo che il suo George Mullen fosse al posto di Trump. Che ricerche ha compiuto per costruire il personaggio e la backstory del Presidente Mullen?

«Ho accettato di partecipare a questa serie perché ci lavoravano persone in gamba: Eric Newman, il produttore esecutivo e l’autore principale, e Noah Oppenheim. E Mike Schmidt, che scrive per il New York Times. Conoscono perfettamente quel mondo. Quando incontrai Eric, stavo proprio dicendo al mio agente che mi sarebbe piaciuto girare qualcosa a New York. Mi rispose: “Che ne dici di una miniserie?”. Noah scrisse una traccia e pensai: “Sembra buona”. Poi scrisse un paio di episodi e a quel punto decisi. Avevamo a disposizione i migliori consulenti tecnici e mi sentivo piuttosto tranquillo.

Per quanto riguarda i politici, li sentiamo parlare continuamente; ci si può fare un’idea di come sono semplicemente ascoltando le conferenze stampa o le interviste. Sebbene fossero passati 12 anni da quando il mio personaggio era stato Presidente, e solo per un mandato, godeva di una buona reputazione. Era un uomo rispettato. Questo è il motivo per cui il personaggio interpretato da Angela Bassett, la Presidente Mitchell, mi ha chiesto di occuparmene e assumere il comando».

Robert De Niro
Robert De Niro con giacca Loro Piana

Dieci anni fa questa sarebbe stata fantascienza. Chi guarda Zero Day non pensa che non potrebbe accadere. Deve essere stato un lavoro immane mettere tutto insieme.

«È stato come girare tre film, uno dopo l’altro, mi sentivo come se stessi nuotando nel Canale della Manica. Guardavo verso la Francia e non riuscivo a vederla. Guardavo verso l’Inghilterra e non la vedevo. Non potevo neppure restare fermo nel mezzo. Ogni giorno dovevo rimettermi a nuotare, e continuare a stare in movimento».

In The Alto Knights interpreta i due personaggi principali. Avete girato tutte le scene con un personaggio e poi con l’altro?

«C’era un aspetto tecnico da considerare. Per esempio, nella scena del negozio di dolciumi, quando ci incontriamo per la prima volta, c’erano delle limitazioni nei movimenti e nelle angolazioni delle telecamere. Non potevo superare una certa riga e dovevo camminare in un determinato modo per evitare di compromettere gli effetti visivi. È stato complesso. Mi serviva qualcuno che recitasse di fronte a me, quindi lavoravo con un altro attore che interpretava entrambi i personaggi. È stato fondamentale: non sarei riuscito a farlo da solo».

Si è preparato separatamente per ciascuno dei due?

«A dire il vero no, ho lavorato su entrambi contemporaneamente. Abbiamo girato prima le scene di Vito o di Frank, in base alle protesi da applicare e alla programmazione, e poi le scene doppie a metà produzione».

Marlon Brando è stato un attore al quale lei si è ispirato, un’icona. Questa rivista si chiama Icon, può darci una sua definizione di ciò che rende un attore iconico?

«Brando era una vera icona. Ha fatto cose fantastiche, metteva passione in ciò che faceva, e tutti noi, giovani attori, lo ammiravamo. La sua vita non è stata priva di eventi tragici, e questo creava rispetto. Diceva ciò che pensava, ciò che provava. Vedeva che al mondo c’erano tante ingiustizie e faceva sentire la sua voce. Anche James Dean era un’icona, sebbene abbia girato solo tre film. Mi piaceva anche Montgomery Cliff, ma ci ha lasciati quando ero ancora piuttosto giovane. Ho potuto conoscere Brando e ho trascorso un po’ di tempo con lui quando abbiamo lavorato insieme in The Score, il suo ultimo film. Era fantastico. Era invecchiato, ma un’icona».

Robert De Niro
Robert De Niro

Viene ancora in Italia regolarmente?

«Tutte le volte che posso. La scorsa estate sono stato a Ischia con la mia compagna e la nostra bambina. Incantevole, la gente era molto simpatica, alla buona».

Una volta mi disse di guardarmi dalla nostalgia. Dopo aver raggiunto così tanti traguardi, è diventato più difficile non provare nostalgia?

«Beh, in questi giorni ho nostalgia di tante cose. Da giovani si è troppo impegnati per provare nostalgia. Sono ancora molto impegnato, ma ci sono tante cose di cui avere nostalgia. Se sei abbastanza abile o fortunato da vivere piuttosto a lungo, ci sarà sempre qualcosa che ti fa pensare: “Avrei potuto fare, avrei dovuto fare in questo o quel modo”. Ma a un certo punto ti devi fermare: la nostalgia può impedirti semplicemente di vivere».

Alcuni dicono: «Lo adoro come attore, ma detesto le sue idee politiche». Sembrano quasi pensare che lei sia i personaggi che interpreta.

«Se qualcuno si è fatto questa idea, posso capirlo. Ma non sono così. Sono ruoli divertenti da interpretare, ma io sono un attore, non vedo le cose come loro, non parliamo di me. Bisogna saper distinguere tra l’attore e l’uomo».

Portare un nuovo essere umano in questo mondo travagliato, diventare di nuovo padre come ha fatto nel 2023 è una scelta coraggiosa. Conserva la speranza?

«Credo che ci sia speranza, sono un ottimista».

In apertura Robert De Niro indossa cappotto Brunello Cucinelli. Photos by Charlie Gray, styling by David Bradshaw. Grooming: Lynda Eichner. Si ringrazia Warner Bros.