Casey Affleck

Casey Affleck

Ci sono voluti una lunga gavetta e un premio Oscar per scrollarsi di dosso l’appellativo di “fratello minore di Ben”. Attore, regista e sceneggiatore, nel film The world to come, presentato all’ultima edizione della Mostra del cinema di Venezia, è anche produttore.

Cappotto, T shirt e jeans Dolce&Gabbana
di Valentina Della Seta

Casey Affleck sta promuovendo i due film a cui ha lavorato subito prima della pandemia. È produttore e attore in The world to come, tratto da un racconto di Jim Shepard, diretto da Mona Fastvold e presentato al Festival di Venezia lo scorso settembre. Ambientato nel nord degli Stati Uniti nel 1858, il film rilegge il mito puritano dei pionieri con una storia d’amore fra due donne (Katherine Waterston e Vanessa Kirby) in un paesaggio di gelo, solitudine e dolore. Affleck interpreta un marito silenzioso che capisce e si fa da parte. In Our friend (tratto da una storia vera e diretto da Gabriela Cowperthwaite) Affleck è sposato e ha due bambine con Dakota Johnson. Lei sta morendo di cancro, lui piange e non potrebbe farcela senza l’aiuto dell’amico Jason Segel: «Sono sempre stato attratto dai personaggi non conformi, marginali», dice Affleck in una lunga conversazione su Zoom dalla sua casa di Los Angeles. Luce acquatica, muri bianchi, un quadro colorato vicino a scaffali ordinati pieni di libri, l’attore che ha vinto l’Oscar da protagonista nel 2017 per Manchester by the sea indossa una T shirt di cotone bordeaux, ha i capelli un po’ lunghi pettinati a mano dietro le orecchie, la barba ricresciuta e brizzolata sul mento, gli occhi blu limpidi, la voce dal caratteristico impasto ruvido.

Ha iniziato a lavorare negli anni Novanta, come parte di un gruppo creativo che comprende il fratello maggiore Ben Affleck, Matt Damon, il regista Gus Van Sant, la famiglia Phoenix (ha debuttato al fianco di Joaquin in Da morire di Van Sant e ha due figli di 16 e 13 anni dalla sorella minore di Joaquin, Summer, sua ex moglie); il suo percorso da attore, scrittore e regista fa immaginare una versione del presente culturale più indie e meno assoggettata alle regole dello streaming globale: «Non so, non mi interrogo troppo su queste cose. Mi baso su ciò che piace a me e spero sempre di raggiungere un pubblico. Se una storia mi emoziona, provo a trasmettere l’emozione. Da spettatore mi piace guardare film di supereroi, ma non mi diverto a interpretarli. Mi riconosco nei personaggi normali, più realistici», spiega. La nostalgia non gli appartiene: «Il mondo cambia, bisogna cercare di restare flessibili, cambiare con lui. Spero che ci sia posto per il mio lavoro anche nell’epoca della crisi dell’attenzione. La cultura e l’industria dell’intrattenimento si stanno evolvendo, si troverà un equilibrio, è sempre andata così. Ho iniziato a lavorare nel cinema nel 1995 e continuo a farlo nel 2021. Non nego che internet possa aver modificato i gusti del pubblico e abbassato la soglia dell’attenzione ma le cose vanno in questo modo e le accetto». 

«Voglio fare cose divertenti o emozionanti. Se leggo una storia e mi viene voglia di raccontarla ai miei amici capisco che forse varrebbe la pena farci un film».

Nel 2019 Affleck ha scritto, diretto e interpretato Light of my life. Un padre deve proteggere la figlia undicenne in un mondo desolato post-catastrofe, la notte in accampamenti di fortuna le racconta storie sul passato, cerca di trasmetterle un senso: «Avevo iniziato a tenere un diario di conversazioni con i miei figli, il film nasce da qui. Per scrivere metto sempre insieme momenti felici e ricordi dolorosi. Il dolore è una risorsa importante per comunicare, fa avvicinare le persone, le rende empatiche, se non diventa rabbia ammorbidisce il cuore». Affleck parla di cose che conosce: «Nella mia famiglia c’è una lunga tradizione di depressione, ansia, dipendenze. Sono caratteristiche umane, c’è chi ne soffre e chi no. A un certo punto ho dovuto farci i conti, ho scelto la sobrietà, non volevo che i miei problemi di dipendenza interferissero con la vita dei miei figli, o con il tipo di genitore che cerco di essere. Non ho problemi a raccontarlo, non mi vergogno di quello che sono. Forse c’è ancora chi pensa che chi ha bisogno di curarsi da una dipendenza abbia fallito, sia una persona difettosa o sbagliata. Ma è solo una questione di ignoranza».


Maglia Brunello Cucinelli

Affleck è un tipo riservato, non scrive sui social network, ha un profilo Instagram che usa poco. Mostra una vita semplice, di basso profilo; passeggiate nella natura con i figli, un post dedicato a Rosa Parks: «Mi capita di parlare in pubblico solo per la promozione dei film», dice. «Ma sono felice di avere l’occasione di parlare dei miei problemi di depressione e ansia. Forse posso aiutare ragazze e ragazzi che ne soffrono ma non hanno i coraggio di ammetterlo, o non capiscono cosa gli succede. Chiedere aiuto deve diventare normale, come chiamare il dottore se ti svegli con un brutto mal di stomaco. In ogni caso, avere a che fare con certe cose può renderti una persona diversa. Credo che il dolore abbia fatto di me un attore migliore, un genitore migliore, un amico migliore. I momenti duri mi hanno cambiato in meglio».


Maglia e Jeans Saint Laurent by Anthony Vaccarello

Photos by Gage+Betterton

Styling by Fabio Immediato

Grooming: Barbarba Guillaume