Buon compleanno Clint

Buon compleanno Clint

Il 31 maggio 2020, Clint Eastwood compie 90 anni. Una carriera unica, scandita da ruoli e storie memorabili, dagli spaghetti-western con Sergio Leone a Gli spietati, da Gran Torino a Mystic River. Perché il presente-futuro di Hollywood è ancora nelle sue mani.

Photo by Movie Poster Image Art/Getty Images
di Andrea Giordano

Clint Eastwood taglia il traguardo dei 90 anni e lo fa a suo modo, lavorando e pensando al futuro. Lui che ha contraddistinto il passato e il presente del cinema, non smette di essere uno dei punti di riferimento del settore lasciando tracce, insegnamenti, modelli, vivendo una carriera paragonabile solo a un romanzo di formazione. 

«Avete mai fatto caso che ogni tanto si incrocia qualcuno che non va fatto incazzare? Quello sono io.» Eccolo uno dei pensieri dell’Eastwood attore, influenzato da ragazzo da Bogart e James Cagney, capace di rendersi (anti)eroe per eccellenza, di riuscire a essere epico nel decifrare la propria (im)moralità e l’indurimento di una vita. Quella frase, tratta da un gioiello quale Gran Torino, diventa così una delle sintesi ruvide, ironiche, camaleontiche, uniche, legate alla sua essenza di attore, regista, produttore, compositore, controverso e controcorrente, fermo e dalle idee chiare, da repubblicano convinto, pure quando sostenne Romney, e poi Trump, accusando apertamente la politica di Barack Obama.

Fin dal debutto, avvenuto nel 1955, grazie, in particolare, a Tarantola di Jack Arnold, un horror fantascientifico, Eastwood incarna un tipo di fisicità fuori dagli schermi. Fu però solo con Gli uomini della prateria (Rawhide), un feuilleton western da ben 217 episodi, che attira l’attenzione di chi sarà una delle sue grandi fortune: Sergio Leone. Dirà il maestro in una delle tante interviste su come lo scelse «mi colpì per l’apatia, non parlava, era lento, sonnacchioso, si svegliava solo quando doveva sparare.» Il resto è storia: la “Trilogia del dollaro”, Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più, Il buono, il brutto e il cattivo. Lì nei panni di Joe (Il Monco) – il Biondo, l’uomo senza nome, incarna le caratteristiche perfette del pistolero solitario, sigaro in bocca (un toscano, di fatto il vero protagonista, scherzava Leone), il cacciatore di taglie dalle due espressioni, con o senza cappello.

Diventa così Clint il duro, il magnanimo, imperturbabile, tutto d’un pezzo, idealista e romantico, avvolto da quell’aura di benevolenza nei confronti dei più deboli. Sarà una costante. L’Italianità gli entra nel cuore, lavora con Vittorio De Sica, seppur in un piccolo frammento de Le streghe, l’episodio di Una sera come le altre, ma anni dopo sarà proprio lui a consegnare l’Oscar alla carriera a Ennio Morricone. Tra il ‘68 e il ‘79 inizia poi una delle collaborazioni maggiormente prolifiche, cinque film, tra cui, l’ultimo, Fuga da Alcatraz, nelle vesti del vero galeotto Frank Morris, insieme al regista-amico Don Siegel. Con lui prende forma l’altro personaggio leggendario, l’Ispettore Callaghan, ne Il caso Scorpio è tuo (Dirty Harry), ruolo che interpreta quattro volte, da Una 44 Magnum, Cielo di piombo, Scommessa con la morte, a Coraggio….fatti ammazzare (altra frase celeberrima) entrando nel mito più assoluto, in un momento in cui il genere poliziesco l’immaginario.

Nel frattempo ha già iniziato a lavorare dietro la macchina da presa, dando proprio all’amico Siegel un piccolo cameo nel debutto dietro la macchina da presa: è il 1971 e il film è Brivido nella notte. Quel salto sarà un’ulteriore manna dal cielo per gli appassionati, tanto da poterlo doppiamente ammirare, in certi casi, in entrambi i lati, sia come interprete, che come regista. 

Ama le biografie ed è in quella grande fonte di storie vere che trova ogni volta forza e valore. La galleria di momenti è immensa: Changeling, dove ricrea la Los Angeles nel 1928 (dando lustro a una grande Angelina Jolie), Invictus, in cui parlando del rugby e della sua influenza racconta la riconciliazione del Sudafrica e del suo leader Nelson Mandela dopo la fine dell’Apartheid, o J. Edgar, incentrato sull’ex numero dell’FBI, la figura più potente d’America tra il 1924 e il 1972, impersonato da un Leonardo DiCaprio, qui fin troppo sottovalutato. C’è un prima e un dopo, altre sfide, desideri, mete raggiunte, e ovviamente l’amore per la musica. Scrive e compone, realizza Bird, narrando il jazz e Charlie Parker (Forest Whitaker vincerà a Cannes il premio come miglior attore), o Jersey Boys, basato sul gruppo blues, The Fours Seasons. 

Ma subito dopo cambia ritmo, vira, è benzina creativa. Arrivano American Sniper, parlando della vicenda di Chris Kelly, cecchino in Iraq, o Sully, dedicato all’impresa del comandante Chelsey Sullenberger, che atterrando sul fiume Hudson salvò tutti i passeggeri, o l’ultimo capolavoro, Richard Jewell, che fa luce sulla vicenda riguardo l’omonima guardia di sicurezza, dopo gli attentanti durante le Olimpiadi Atlanta ‘96. Salta nella storia guardando la guerra da prospettive diverse, da cui escono due perle complementari, Flags of Our Fathers e Lettere da Iwo Jima, mentre nell’aldilà, in Hereafter, prova a unire i punti attraverso geografie emozionali.

Clint spiazza sempre. Veste i panni dell’astronauta post pensione (Space Cowboys) nell’anno in cui riceve il Leone d’Oro alla carriera alla Mostra di Venezia; del cantante country (Honkytonk Man), dell’integerrimo sergente in Gunny e del fotografo freelance innamorato furiosamente di Meryl Streep ne I ponti di Madison County. È il texas ranger di Un mondo perfetto, l’ex agente dei servizi di scorta di Kennedy ne Il centro del mirino a caccia di John Malkovich, o l’attempato detective di Debito di sangue. Nell’autodirigersi si ritaglia parti diverse e memorabili, a partire dall’omaggio all’amato western: Il cavaliere pallido, Il texano dagli occhi di ghiaccio, il cowboy spericolato e moderno di Bronco Billy, e soprattutto Gli spietati (Unforgiven) regalandoci uno strepitoso William Munny, afflitto dai propri rimorsi e da un passato doloroso.

L’Academy gli riconosce mille meriti, ma solo da regista e produttore conquista cinque statuette (tra cui il Premio alla memoria Irving G. Thalberg), conducendo però al trionfo nomi come Morgan Freeman, Gene Hackman, Sean Penn, Tim Robbins e Hilary Swank. Ognuno fantastico, intenso, indimenticabile. I suoi personaggi, non risolti, sono bisognosi in parte di recuperare i rapporti famigliari, inclini a fare del bene ad altri, dimenticandosi in parte di se stessi, e forse senza perdonarsi, ma in fondo lottano per una causa. Alla base c’è spesso il conflitto, che provano a risolvere, o superare: è il Walt ancora di Gran Torino e del suo sacrificio finale, il reduce della guerra di Corea diventato “erroneamente” corriere della droga in The Mule, o lo straordinario coach di boxe ammirato in Million Dollar Baby. Sono gli intrecci, i volti, le atmosfere clamorose di Mystic River (altro capolavoro assoluto e da rivedere) in cui tra sconfitte, perdite, fatalismo, alla fine vince sempre e solo lui.

Auguri allora ‘vecchio’ Clint.