Jannik Sinner

Jannik Sinner

Da promessa dello sci a fenomeno del tennis capace di entrare nella top ten Atp a 20 anni. Merito del talento innato, ma anche del senso del dovere assimilato dai genitori. «La moda, invece, è una scoperta recente: non metto più quello che capita»

di Cristina Marinoni

Il suo animale preferito è il leone – «il mio segno zodiacale: il re della foresta è di un livello superiore», dice con occhi furbi – ma su una giraffa leggendaria, lunga 15 metri e galleggiante, sta una meraviglia. È lo yacht Tuiga (“giraffa” in lingua swahili: a commissionarlo nel 1909 fu un duca spagnolo appassionato di caccia grossa oltre che di nautica), set esclusivo del nostro servizio fotografico.  Per Jannik Sinner, residente a Montecarlo, raggiungere questa barca a vela dal valore inestimabile è stata una passeggiata: abita a 20 minuti a piedi dallo Yacht Club di Monaco, di cui l’ammiraglia di proprietà del principe Alberto è il simbolo. Eppure, oggi cammina sul pontile più chic del pianeta per la prima volta: «Il mare non è il mio habitat naturale. Al contrario della montagna: sono nato a San Candido, alle pendici delle Dolomiti.


Cresciuto a pane e neve, a 3 anni e mezzo sciavo e, pochi mesi dopo, mi lanciavo già sulla pista nera». Le premesse affinché l’enfant prodige della Val Fiscalina diventasse l’erede di Alberto Tomba c’erano tutte: a 7 anni conquista il campionato italiano Baby e a 11 è vicecampione della categoria Ragazzi. Però ama anche il tennis e, appena teenager, comincia a dedicarsi anima e corpo a questo sport. Fino a escludere un futuro brillante che sembrava ormai certo in slalom gigante per un motivo semplice: «Con la racchetta mi divertivo di più, non per niente il tennis è un gioco. Lo sci no: una discesa dura due minuti al massimo, ti lanci dal cancelletto e solo al traguardo scopri la classifica. Se poi inforchi una porta, in un attimo butti via la quantità industriale di lavoro che ti ha sfiancato; il minimo errore ti trascina giù al decimo posto e manda all’aria l’intera gara. In un match, invece, guardi negli occhi l’avversario, un doppio fallo non compromette il risultato, hai a disposizione continue occasioni per recuperare. E vincere».


Verbo, l’ultimo, da sempre coniugato all’imperativo categorico per Sinner, altrimenti il fan di Andreas Seppi («un esempio: ha portato il nostro Alto Adige in alto nel tennis) e Roger Federer (che l’ha definito «uno spettacolo») non si sarebbe trasferito a 13 anni e mezzo in Liguria. Meta: il Piatti Tennis Center di Bordighera, tra le migliori academy del pianeta. Non un luogo a caso: lì, nel 1878, è sorto il primo campo da tennis d’Italia, ancora perfetto. «A quell’età allontanarsi 650 km dalla famiglia è stato un sacrificio enorme» al quale ne sono seguiti tantissimi, per aggiudicarsi a soli 19 anni il Sofia Open, con annesso primato di azzurro più giovane a trionfare in un torneo Atp, ed entrare nel 2021 nella top ten mondiale.


«Non è stato facile costruirmi da solo, come atleta e come uomo, però, non rimpiango niente e non cambierei la mia vita di una virgola: ho trasformato la mia grande passione in mestiere». Nel giro di poche stagioni: «Al posto dei trofei juniores, ho puntato subito a sfidare i campioni. Uscivo dal campo distrutto, ma carico a mille e orgoglioso grazie alle lezioni che avevo imparato dai maestri. Ho un senso del dovere molto forte, che mi hanno insegnato i genitori. Mamma cameriera e papà cuoco in un rifugio, entrambi hanno fondato il loro mestiere sulla disciplina ferrea e mi hanno educato a portare a termine con impegno e onestà ciò che inizio. Costi quel che costi». Si chiama cultura del lavoro, che non ha nulla da invidiare a quella del libro, e ha forgiato questo talento cristallino di 191 cm per 75 kg: anticipo fulmineo, servizio a 200 km orari, dritto pregevole e il rovescio più potente del circuito.


La maturità del fuoriclasse 21enne spicca dalle sue parole sagge esattamente come dall’atteggiamento impeccabile che lo contraddistingue in campo. A chi lo definisce glaciale risponde: «Non sono freddo, mantengo la calma, condizione indispensabile per non subire la pressione, affrontare con lucidità ogni game ed evitare di perdere il controllo nella frenesia tra un punto di vantaggio e uno a sfavore, la difesa e l’attacco». È merito di questo principio – «lo seguo per responsabilità, lealtà verso me stesso e rispetto delle mie capacità» – se il campione di Sesto Pusteria ha bruciato le tappe ed è già un idolo. «Apprezzo molto i complimenti e i tifosi che mi aspettano. Cerco di essere gentile con tutti: non dimentico le mie origini e tengo i piedi ben piantati a terra». 


Persino quando sale a bordo di uno scafo d’epoca e sperimenta pose da rockstar nei total look Gucci che indossa per Icon. Il vento accarezza le onde e il suo inconfondibile ciuffo ramato: «La moda non mi ha mai interessato, pensavo che lo stile sportivo fosse l’unico capace di esprimere la mia personalità. Invece adesso mi sento io anche con la giacca – questa verde è splendida! – o un pantalone classico e sto attento ad abbinare i colori giusti». Terminato il servizio, però, Jannik infila le sue sneaker e torna all’anonimato che tanto gli piace. «Con tutte le superstar che vivono nel Principato, passo inosservato e mi godo la libertà. Ecco perché qui mi sento a casa».



Nel servizio gli abiti sono Gucci, il segnatempo è Rolex Oyster Perpetual Submariner Date

Photos by Stafano Galuzzi, Styling by Edoardo Caniglia, Grooming: Ezio Diaferia using Cotril Styling assistant: Valentina Volpe; Location: Yacht Club de Monaco