Stefano Sollima:”Le rivoluzioni non si possono fare da soli”

Stefano Sollima:”Le rivoluzioni non si possono fare da soli”

Stefano Sollima torna a confrontarsi col cinema, modernizzando un altro grande autore, Tom Clancy, in Without Remorse – Senza Rimorso, tra cospirazioni ed action intelligente

Curtesy of Nadja Klier © 2020 Paramount Pictures
di Andrea Giordano

Il suo modo di girare ha ormai fatto scuola, in Italia, quanto all’estero, dove sta diventando sempre più una delle sicurezze registiche e richieste. Stefano Sollima, romano doc., figlio del grande Sergio, tra i cineasti culto degli anni ‘70, apripista, insieme a Sergio Leone e pochi altri, del genere spaghetti-western, in realtà si è imposto da tempo, fin dalla serie Romanzo Criminale, e da quella prima stagione di Gomorra, prodotti poi esportati in tutto il mondo. Cinema e tv dunque senza distinzioni, affrontati però col medesimo carattere inventivo, moderno, internazionale, fatto di ricerca meticolosa, studio, messa in scena: spettacolo da una parte, contenuto dall’altra, elementi mai distinti, ma sempre mixati e portati avanti attraverso enorme precisione e lavoro insieme agli attori. Per lui parlano però i lavori, da ACAB – All Cops Are Bastards, Suburra il film, lo splendido Soldado, seguito ideale di Sicario, i corti-evento (come The Legend of the Red Hand per Campari) alla recente serie, creata e diretta, ZeroZeroZero, tratta dal romanzo di Roberto Saviano. Ed è proprio da un altro bestseller, quello scritto da Tom Clancy nel 1993, Without Remorse – Senza Rimorso, rilancia la sua nuova sfida visiva (in onda dal 30 aprile su Amazon Prime Video) per raccontare la storia di Jack Ryan (interpretato da Michael B. Jordan, qui anche produttore della pellicola), l’esperto Navy Seal, a caccia di giustizia dopo l’omicidio della moglie incinta, uccisa per la sua partecipazione in un’operazione top secret. L’inizio di uno spy thriller, solido e avvincente, diviso tra Stati Uniti a Russia, tra onore e cospirazioni, in cui, alla fine, si confronta con i propri nemici, mettendo da parte ogni emozione, senza rimorso, come il titolo.

Da ex reporter di zone di guerra, il suo approccio registico si focalizza spesso sull’oggetto, mantenendo però un proprio punto di vita forte. Cosa le piace di questo aspetto?

Trovo che sia molto bello, e rispettoso, nei confronti del pubblico, cercare di prendere una posizione amorale, non pretendere di voler raccontare il senso morale di una storia, limitando a raccontare i personaggi, il mondo che lo abitano, senza mai giudicarsi, cercando semmai di approfondirli psicologicamente, tirandone fuori le contraddizioni, gli aspetti che li rendono esseri umani a tutto tondo, come fa un bravo report. Descrive una cosa, ma non la inquina, con il proprio punto di vista, alla fine poi non è così fondamentale, perché ognuno di noi ha comunque gli strumenti per elaborare un giudizio personale su cosa sta avvenendo.

Quella cifra stilistica di cui parla, ha permesso di esportare, anche all’ estero, una sua dimensione di serialità di alto livello, all’avanguardia: la sente talvolta come responsabilità?

No, in realtà. Da spettatore evoluto mi guardavo intorno, chiedendomi “ma perché non possiamo fare lo stesso?”. La risposta, mia e di altri colleghi, coincide con l’inizio di un movimento della nostra industria, mi riferisco per esempio alla serie di Romanzo Criminale, alla prima stagione di Gomorra, capaci di essere venduti all’estero in maniera incredibile. Ma anche a The Young Pope e The New Pope di Paolo Sorrentino, We Are Who We Are di Luca Guadagnino, o L’amica geniale, insomma le rivoluzioni non si possono fare da soli. Bisogna avere il coraggio nell’interpretare collettivamente un momento, di combattere per vivere in un mondo migliore, che è anche uno dei temi del film.

Entriamo nel dettaglio. Without Remorse mixa scene incredibili, mettendo al centro il fattore umano, che alla fine può cambiare situazioni apparentemente finite.

È uno degli elementi cruciali, per questa ragione ho chiesto di interpretare agli attori le loro scene di azione, volevo creare un senso di coreografia, di precisione, gestendo ovviamente tutto in sicurezza, senza esporli a dei rischi. Si sono affidati a me. Ma un film è un’esperienza umana, evolve, cambia, spinge i limiti, qui non sarebbe mai stata qualcosa di supererostico o sovrannaturale, le persone invece diventano il cuore di tutto.

Il cinema d’azione, “piegato” in maniera personale, rielaborato, era dunque l’ulteriore sfida?

Il libro originale di Clancy era già molto forte dal punto di vista della tematica, certo non rifletteva la società di oggi, è stato scritto nel 1993, ed è ambientato negli anni ‘70, quindi andava pensato un approfondimento psicologico, spesso ritenuto superfluo, non necessario, che qui doveva essere riconoscibile al mondo reale. Ecco il primo passaggio, di nuovo, un racconto intorno all’uomo, non alla spettacolarità del genere, andando controcorrente, poiché di solito si racconta l’eroe, per me era interessante narrare come lo si diventa un eroe, le sue azioni, quanto gli costano fatica. Ogni volta che realizzo qualcosa, sento la necessità di conoscere un settore, che poi pretendo di raccontare. Ci siamo avvalsi di consulenti militari, politici, sottoponendo il cast a dei veri training accurati, si parla di un paese che sta vivendo momenti di lacerazione, quindi era ovvio che creare un nemico esterno potesse aiutare a ricompattare il tessuto sociale disperso, argomento appartenente già nel libro. Per portare un film hollywoodiano ad una vera complessità, l’azione non deve essere fine a se stessa, serve un contesto all’interno del quale vedi, osservi un personaggio, come cambia di fronte azione. Il processo creativo non era solo di riadattamento, andava attualizzato.

La modernità del film passa dal fatto che si bypassa, nel settore militare, l’idea di divisioni di generi. «Riflette il mondo circostante, rispetto al romanzo, c’è un’unica forzatura rispetto alla realtà, rispetto a Karen Greer, l’altro personaggio chiave interpretato da Jodie Turner-Smith, che lì era uomo, ed è diventata sua nipote. Beh non esistono al momento donne nei ruoli di capo operativo dei Seal, mentre in altri reparti speciali sì, è come se ci fossimo portati avanti, succederà tra un po’, sera doveroso, rispettoso fare una scelta di questa natura. La presenza femminile nell’esercito è ormai numerosa, volevamo che il rapporto fra i due commilitoni fosse però diverso, esclusivamente basato sulla lealtà e il proprio lavoro, senza scendere in nessuna sorta di possibile liason.La bellezza a volte è remare contro lo stereotipo, degenderizzare, era una cosa moderna da inserire»,

Il personaggio di Michael B. Jordan, dice ad un certo punto “ho smesso di fare promesse che non posso mantenere”. La presa di coscienza, assumersi le proprie responsabilità, è un tema ricorrente allora per lei?

A me piacciono i personaggi complessi. Provo a renderli, al di là dell’avventura che vivono, più possibili tridimensionali, vicini all’essere umano, facendogli porre delle domande, mostrando lati di sé diversi, anche forse in contraddizione, nessuno è portatore di positività, incasellabili se buono o cattivo nello stesso tempo. Devono mettersi in discussione riguardo a ciò in cui credono.

Non solo dunque grande impatto visivo, ma impreziosito altresì dall’elemento musicale, che ancora una volta traccia tutto. «In un racconto cinematografico è cruciale. Ci sono due aspetti, in uno la musica insiste su un emozione, ci obbliga, o suggerisce a provarle, e a me questo non piace, al contrario lo è quando la musica crea il presupposto di provare un’emozione, non ti guida, e prende forma la giusta atmosfera. Adoro lavorare con musicisti che non siano compositori di colonne sonore, ma più legati al circuito tradizionale dei dischi, sono più difficili da gestire tecnicamente, ma sanno regalare una visione più fresca, non insistita , Normalmente, come in questo caso, chiedo, imploro artisti che stimo, è successo con Jón Þór Birgisson, leader dei Sigur Rós uno dei miei gruppi preferirti, di cui ho tutti i loro album. Quando progredisci come professionista, cerchi di coinvolgere chi ami in fondo, realizzando un’esperienza creativa»,

Fattore divertimento? «È il motivo per cui faccio questo lavoro. Quando stavo sui set di mio padre, vedevo gli adulti, a cavallo, vestiti da veri cowboy, era una meraviglia, ai miei occhi giocavano anche se in maniera seria. L’elemento ludico è fondamentale, trovo anzi che il cinema debba essere intrattenitivo, non troppo ovviamente se no sconfina nella noia, che sappia divertire sì, ma con intelligenza, facendoti riflettere una volta che hai visto qualcosa, o sei uscito dalla sala. Tutto sta nel trovare questo equilibrio». Mentre sull’atteso Colt, il prossimo atteso progetto, dice «Non è pensato come un omaggio al cinema western, è un film moderno, di ambientazione d’epoca. La sceneggiatura è opera di Dennis Lehane (sceneggiatore tra gli altri di Mystic River di Eastwood e Shutter Island di Scorsese, ndr), stiamo facendo sopralluoghi, costruendolo dal punto di vista produttivo. Il momento è bizzarro, è difficile prevedere il futuro, dobbiamo essere certi prima di muoverci».