Ottavio Missoni, 10 anni senza lo stilista atleta di colori e zigzag
Ottavio Missoni (Photo by Edoardo Fornaciari/Getty Images)

Ottavio Missoni, 10 anni senza lo stilista atleta di colori e zigzag

di Digital Team

Dalle Olimpiadi alle sfilate, ha elevato la maglieria a couture, in un’armonia di zigzag e righe, di colori accesi e fantasie. Con eleganza e leggerezza, senza prendersi troppo sul serio. Un pittore della moda di grande garbo e ironia

Un’armonia di zigzag e linee, di colori e fantasie, di eleganza e leggerezza. «Non ho mai fatto quello che era di moda», diceva Ottavio Missoni. Infatti il patriarca dell’iconico marchio che modella cromie la moda non l’ha mai seguita, l’ha creata. «Non volevo lavorare con schemi prestabiliti, dipingo a modo mio».
Morto dieci anni fa, il 9 maggio 2013, dopo mezzo secolo in cui insieme a sua moglie Rosita ha rivoluzionato l’estetica della maglieria made in Italy, Ottavio Missoni è stato un pittore di filati. «Un maestro del colore», lo definì l’artista del realismo magico Balthus. E pensare che Tai, come veniva chiamato lo stilista nato in Dalmazia, finì nella moda quasi per caso, da ex atleta olimpico dalle due vite.

Ottavio Missoni
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Ottavio Missoni e sua moglie Rosita accolgono l’applauso dopo la sfilata Primavera Estata 1990, 1 ottobre 1989

La prima vita da atleta olimpico

Alto e slanciato, con i capelli scuri ondulati, Ottavio Missoni è stato il portabandiera della squadra italiana alle Olimpiadi di Londra del 1948, i primi Giochi dopo la sosta causata dalla Seconda Guerra mondiale, anch’essa purtroppo vissuta da Tai da protagonista.
Nato nel 1921 in Dalmazia a Dubrovnik, quindi trasferitosi con la famiglia a Zara, da ragazzino Missoni si scoprì atleta talentuoso, nei 400 metri piani e nei 400 metri ostacoli, arrivando a vestire nel 1937 a 16 anni la maglia azzurra. Veloce più delle mode. Fino alla chiamata al fronte. Ha combattuto nei deserti vicino a El Alamein, tra la meglio gioventù italica mandata al massacro. Scampato alle bombe inglesi, fu fatto prigioniero e trascorse quattro anni in  un campo di prigionia in Egitto, la sua “università” che gli insegnò a leggere le persone con uno solo sguardo. Quindi, come altri 350.000 dalmati e istriani, visse il dramma dell’esilio, a Trieste.

Ottavio Missoni
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Olimpiadi di Londra 1948, Ottavio Missoni col pettorale numero 331, secondo da destra

Fino all’estate di quell’Olimpiade londinese del 1948. Ottavio Missoni nella sua prima vita da atleta conquistò sette titoli nazionali senza vincere alcuna medaglia olimpica, arrivò sesto nella finale dei 400 metri a ostacoli, ma conobbe Rosita Jelmini, la donna con cui avrebbe fondato l’impero di tessuti e colori. Lei, allora sedicenne, lo notò subito dagli spalti, maestoso, con quel pettorale numero 331 la colpì: la somma delle cifre dà 7, il numero portafortuna di suo nonno.
Da lì a breve si sarebbero conosciuti, sotto la statua di Cupido in Trafalgar Square.
E in quella Londra post conflitto si apriva già la seconda vita di sir Missoni: le tute degli atleti italiani erano infatti del maglificio Venjulia di Trieste, in cui Ottavio mosse i primi passi nell’industria del tessile, insieme all’amico discobolo Giorgio Oberweger. Furono realizzate con filato di lana in un’inedita tonalità poi chiamata Azzurro Olimpics.

Rosita e Ottavio Missoni
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Rosita e Ottavio Missoni al Fashion Institute of Technology di New York, 1992 circa

La seconda vita da stilista di maglie multicolor

Il 1953 è l’anno di un nuovo inizio, quello del matrimonio con Rosita – la cui famiglia produceva vestaglie e scialli ricamati – e della fondazione dell’etichetta Missoni. I due hanno unito destini e competenze allestendo un laboratorio di maglieria nel seminterrato di casa a Gallarate: da lì a breve le prime «maie» multicolor, come le chiamava lui nel suo accento triestino.
La prima cliente fu Biki, celebre sarta milanese che trasformò Maria Callas in una diva.

A inizio anni ’60 l’intuizione: i Missoni usano per la prima volta per la creazione di vestiti le macchine da cucito Rachel, nate per la lavorazione di scialli dai disegni arabescati. Modellano abiti favolosi, colorati e leggeri. Il zigzag diventa una grafica d’abbigliamento dai colori accesi e dai forti contrasti, un’estetica decisa e caratteristica che divenne il simbolo della griffe.  

Nel 1966 la prima sfilata, al Teatro Gerolamo di Milano. Nel 1967 il debutto a Palazzo Pitti e lo scandalo, quasi involontario, che fece riecheggiare ovunque il loro nome: Rosita all’ultimo momento si accorge che le modelle non hanno reggiseni adatti e le manda in passarella senza niente sotto, mentre i riflettori puntati svelano i seni nudi sotto il lamè. Sui giornali i titoli gridano: «Crazy Horse al Pitti». Nell’edizione a seguire, mentre a Parigi Yves Saint Laurent lanciava il nude look, i Missoni non furono invitati a Firenze, ma loro si rifanno con una sfilata acquatica spettacolare a Milano alla piscina Solari, tra gli arredi gonfiabili di Quasar Khahn.

Ottavio Missoni
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Ottavio Missoni

Con l’apertura di un punto vendita nella Grande Mela, nel 1970 il New York Times definì Missoni il nuovo status symbol dell’Italian Design. È l’anno del “put-together”, una libera e sapiente mescolanza di fantasie, con il patchwork, le linee colorate, il fiammato, speciale effetto a righe sfumate. È l’arte che si fa moda.

A Washington nel 1986 in un ricevimento alla Casa Bianca, con smoking obbligatorio per gli uomini, Ottavio Missoni arrivò con un cardigan di maglia nero al posto della giacca, bellissimo.
La sua eleganza alternativa portò una ventata di freschezza nel guardaroba maschile. «Non ho niente contro gli uomini in tailleur – ha detto in un’intervista – ma ho sempre auspicato una maggior libertà anche nell’abbigliamento maschile».

Ottavio e Rosita Missoni
Photo by Enzo Signorelli/Getty Images
Ottavio e Rosita Missoni al termini della sfilata Primavera Estate 1997, 1 ottobre 1996

Ottavio Missoni tra pois, righe e leggerezza

Gentile e carismatico, anticonformista e antidivo, Ottavio Missoni è stato pioniere del rilancio del knitwear come forma di raffinatezza e vera e propria couture. Facendo dialogare cromie, materia e forme in un modo tutto tuo, ha unito il pois alla riga, lo scozzese alla losanga, il quadretto al fiore. Senza prendersi mai troppo sul serio. Emblematica la sua frase: «Per vestirsi male non serve seguire la moda, ma aiuta».

«Era un colorista meraviglioso», ha detto di lui Rosita, che oggi ha 92 anni.
Il 4 gennaio 2013 il dramma che segnò la solida famiglia Missoni e anticipò da lì a pochi mesi la morte di Ottavio: suo figlio maggiore Vittorio, amministratore delegato della Maison, scomparve in Venezuela a bordo dell’aereo da turismo su cui stava viaggiando.
«La vita è una sequela di fatti alcuni belli, altri meno. A me affascina la casualità di questi fatti»: era la filosofia di vita dello stilista atleta, gentiluomo di grande simpatia e ironia che viveva alla giornata. «Sette giorni fanno una settimana, quattro settimane diventano un mese e dodici mesi un anno. Se nella vita riesci a mettere insieme una serie di belle giornate, sei a cavallo». Ottavio Missoni docet.