In trench, in doppiopetto, in smoking: l’attore divenuto volto di un’epoca compie 80 anni, tutti vissuti nel nome di un’eleganza raffinata e ribelle, dal twist francese

La sua produzione cinematografica è quasi sterminata (95 film da attore, 30 come produttore, 3 da regista); a far impallidire anche il numero e la qualità delle conquiste con il gentil sesso ( a partire dalla lunga passione con Romy Schneider passando per cantanti come Nico e Dalida); la sua storia personale una vera favola del riscatto in pieno stile hollywoodiano (anche se di Hollywood ha rifiutato le lusinghe anche agli inizi, quando il tycoon David O’Selznick gli offrì un contratto in esclusiva sulle colline di Los Angeles, e lui preferì vivere a Roma, ospite del fotografo Gian Paolo Barbieri, prima di tornare a Parigi e divenire il divo francese per antonomasia, ruolo che si è sempre diviso di buon grado con l’amico ed eterno rivale Jean Paul Belmondo, ndr).

Eppure Alain Delon, il ribelle di Sceaux, Alta Senna, che l’8 Novembre compie 80 anni, era figlio di un proprietario di un cinema di provincia e di una farmacista che lo abbandonarono ad un collegio di suore a 4 anni, dopo il divorzio, e della madrepatria non ha solo avuto il carattere umorale e un’inclinazione alla melancolia, ma anche lo stile, che ha, inconsapevolmente, mostrato al mondo.

Reduce di Saigon, artista bohemien a Montmartre prima dell’incontro con Jean-Claude Brialy che, colpito dalla sua bellezza, gli propone di divenire attore e di accompagnarlo a Cannes, attore poliedrico dedito al genere polar (incrocio di poliziesco e noir, ndr) poi, con incursioni nel cinema d’autore, da Visconti (Rocco e i suoi fratelli, Il Gattopardo) ad Antonioni (L’eclisse con Monica Vitti) passando per Jean-Luc Godard (Nouvelle Vague) Delon si è sempre calato con facilità nei panni dei personaggi, senza mai abbandonare completamente il suo marchio di fabbrica, quel je ne sais quoi che gli consentiva di indossare con la stessa nonchalance tre pezzi formali, (L’assassinio di Trotzky, nel 1972) o completi total white in lino, perfetto esempio della gioventù dorata che rese immortale la Costa Azzurra degli anni sessanta.

A suo agio anche con l’appeal casual dei jeans, che smorzava con blazer morbidi in nuance neutrali (come sul set di Delitto in pieno sole, prima trasposizione letteraria del libro di Patricia Highsmith a cui ha fatto seguito, molti anni dopo Il talento di Mr. Ripley, nel quale il suo ruolo fu affidato a Matt Damon, ndr) per il viaggio adottava però un approccio da esistenzialista francese, paletot in doppiopetto e lupetti a collo alto. Un altro suo capospalla iconico, il trench, indossato sia nella vita privata che in molte pellicole del genere poliziesco, quello da lui prediletto, lo abbinava ai Borsalino, come nell’omonimo film in compagnia dell’amico Belmondo. 

All’incrocio tra virtuosismi formali e praticità, osava la giacca in tweed con la camicia, dai polsi si intravedeva maglieria in cachemire nelle nuance scure, retaggio degli anni di Montmartre, ma il suo vero punto di forza è sempre stata l’eleganza assoluta, quella della sera, per lui tradotta esclusivamente sullo smoking. Mai la cravatta, sempre in papillon, il tocco più Deloniano e riconoscibile di tutti, la sciarpa in morbida seta, candida, appoggiata mai annodata. Uno stile francese, esibito con grazia, mai urlato, eppure passato alla storia insieme al resto della leggenda che ormai lo accompagna. 

(guarda anche: tutte le donne di Alain Delon)