David Beckham: nello spogliatoio di uno stadio come in prima fila alle sfilate: sempre da protagonista. Storia degli incontri backstage con uno schivo di enorme successo, capace di dare il proprio nome a ciò che indossa.

Una parola che userei per descrivere David Beckham è canny, un’antica espressione scozzese che significa “astuto”, “scaltro” e persino “guardingo”. Il suo cortese riserbo mi sembra più che comprensibile. Beckham si è ritrovato al centro del circo mediatico sin da quando ha segnato il suo primo goal in Premier League, nell’agosto del 1995, per poi entrare a far parte della prima squadra del Manchester United.

Di persona è un uomo di eccezionale bellezza, immancabilmente corretto e affabile, eppure cauto sino all’estremo. Persino nelle circostanze più favolosamente trendy – cene, défilé, ricevimenti come quello per la sfilata di sua moglie a New York –, ovvero quel genere di occasioni in cui ci incontriamo di solito. L’ultima volta è stata per l’appunto il 10 febbraio, al défilé mattutino di Victoria, attorniati dalla magnificenza neoclassica della New York Public Library.

Visti insieme, i due sembrano la coppia ideale, benché Victoria sia sempre stata la più vivace dei due, con un senso dell’umorismo un po’ pepato e impertinente. Quello di New York è stato il suo primo défilé con tutti i crismi, sebbene mi sia capitato di assistere a diverse presentazioni delle sue collezioni, una delle quali allestita in un’elegante villa dell’Upper East Side, a una trentina di metri da Central Park. Il pubblico, in quel caso, era formato da una ventina di mega editor, disposti in circolo intorno all’area minimale che fungeva da passerella. Il tema portante della sfilata era il mondo di Dick Tracy, e più in generale le femmes fatales ispirate alla figura di Tess Cuorsincero, la bella fidanzata del detective. Dopo che una modella dalle gambe chilometriche – letteralmente inguainata nella sensuale silhouette di un aderentissimo abito da cocktail – ebbe fatto la sua comparsa in passerella, “Posh” commentò: «Quello che mi piace di questo vestito è che ti costringe a domandarti che genere di biancheria intima indossi la donna che lo porta… E se ne indossa, soprattutto!».

Quel giorno David sfoggiava un look total black: abito dal taglio attillato, abbinato a un elegante soprabito Crombie dello stesso colore e scarpe in pelle verniciata. Il tutto messo in risalto da una sciarpa in cachemire grigio chiaro di Lanvin.

Oltre a essere un tipo elegante, Beckham ha sempre avuto un’ammirazione reverenziale per gli stilisti. Difatti, l’unica volta che mi è capitato di incontrarlo in presenza di Armani, lui era letteralmente in adorazione davanti al mito della fashion industry. Ancora: è stato grazie a Giorgio se Beckham è potuto entrare a far parte di una eccezionale rosa di personaggi leggendari – una lista che include i suoi connazionali Wellington e Montgomery. Mi riferisco a quel genere di persone alla quali è stato dedicato un capo d’abbigliamento, che porta dunque il loro nome. Nel caso di David, stiamo parlando della “Beckham jacket”. Lo so bene – ne possiedo due esemplari io stesso. È stato Armani in persona a raccontarmi com’è andata. Nel lontano 2001, quando gli venne affidato l’incarico di vestire la Nazionale inglese, salì su un elicottero e si diresse al campo degli allenamenti per incontrare Sven-Göran Eriksson e Beckham, appena nominato capitano dal coach svedese. «Quel giorno», ha ricordato Armani, «indossavo una giacca di cardigan decostruita, il prototipo per una nuova collezione, di cui David si disse subito ammirato. Gli piaceva così tanto che gli presi le misure e gliene mandai una versione blue navy nel giro di settantadue ore. Così, quando alla fine la inserimmo nella sfilata della nuova collezione, la chiamammo “Beckham jacket”!». La giacca è presente ancora oggi, in numerose versioni, nella maggior parte dei défilé di menswear del brand. Al punto che la indossa lo stesso Armani, persino quando esce a ringraziare con un inchino il pubblico delle sue sfilate parigine di haute couture.

Benché sia in fondo una persona genuinamente modesta, Beckham mi è sempre sembrato piuttosto orgoglioso dei propri gusti in fatto di moda, una caratteristica che ho notato per la prima volta guardando le foto del suo matrimonio (luglio 1999): tight bianco con tanto di redingote e ascot avorio, per una cerimonia allestita nel fiabesco Luttrellstown Castle, un castello del quindicesimo secolo di proprietà dei veri sovrani d’Irlanda senza corona, ovvero la famiglia Guinness.

in volo sui grandi magazzini — I guadagni del calciatore, grazie a contratti con brand del calibro di Armani, Adidas, Samsung e Diet Coke, si contano a decine di milioni l’anno. Stando ai bilanci della Footwork Productions (la compagnia di sua proprietà che ha il compito di amministrare la “risorsa Beckham”), nel 2011 il nostro si è autofinanziato con uno stipendio di 13,3 milioni di sterline, da aggiungersi al contratto annuo di 2 milioni e mezzo con la squadra dei Los Angeles Galaxy.

Tuttavia, per quanto Armani non rivelerà mai le cifre esatte, pare che Beckham, per la celebre campagna pubblicitaria di underwear, abbia chiesto un cachet intorno al milione di euro, vale a dire meno della metà del suo solito, proprio per il piacere di collaborare con il grande maestro.

Il contratto prevedeva tra l’altro che Beckham prendesse parte a diversi eventi nel corso dell’anno, e benché il ragazzo sia cresciuto nei dintorni di Hackney – un quartiere che sta a Londra più o meno come Pero sta a Milano: diciamo una zona dagli affitti piuttosto bassi – da grande ha preso l’abitudine di viaggiare soltanto con aerei privati. Il che, va da sé, costa un bel po’ di soldi, nel caso specifico elegantemente sborsati da Armani per organizzare una serie di “Beckham day” in grandi magazzini di lusso, in cui i clienti che avevano speso un minimo di cento dollari acquisivano il privilegio di incontrare il celebre testimonial e stringergli la mano. Cosa che, in effetti, hanno fatto svariate centinaia di persone.

Lo scorso settembre ho incontrato David Beckham in un gigantesco capannone industriale sullo Hudson River, in occasione della sfilata di Y-3, una collezione nata dalla collaborazione tra Adidas e lo stilista Yohij Yamamoto e che costituisce oggi la più importante linea di sportswear mai realizzata. Anche in quel caso Beckham era chiaramente elettrizzato per il solo fatto di trovarsi accanto a un nome di quel calibro. In più, Yamamoto è riservato quasi quanto lui, il che fa sì che i due si trovino stranamente a proprio agio l’uno con l’altro.

Yohij, gentilissimo, mi ha ri-presentato David quando il calciatore si è avvicinato per stringergli la mano, non sapendo che ci eravamo già incontrati diverse volte. Un istante dopo sono stato letteralmente accecato dai flash di paparazzi e blogger di moda, branco di piranha in preda a un attacco di frenesia mediatica. Un centinaio di loro, infatti, o forse anche di più, era riuscito a superare la barriera della security fino al backstage.

«Sono molto onorato di essere qui con Mr Yamamoto. Mi ha molto colpito pensare che dopo dieci anni sia ancora possibile creare una collezione di sportswear così bella», mi ha sussurrato il dandy David – prima di aprirsi un varco verso l’uscita e raggiungere la sua 4×4 dai vetri fumé parcheggiata giù al molo, con un codazzo di blogger al seguito che saltellava scattando foto a più non posso.

british collection — Oggigiorno la vita dei Beckham è regolata da regole di sicurezza ferree. Non c’è da sorprendersi, considerato che nel novembre del 2002 la famiglia è stata l’obiettivo di un tentativo di sequestro. Un piano che per fortuna è venuto alla luce grazie a un infiltrato, un giornalista dell’ormai defunto News of the World, unitosi sotto copertura alla gang di rumeni e albanesi che aveva progettato il rapimento.

Per ora Beckham alloggia nella suite presidenziale dell’hotel Le Bristol, a due passi dagli Champs-Élysées, e ha subito ampliato il proprio guardaroba, aprendolo ai nuovi influssi francesi. Di norma preferisce tenere un basso profilo, anche se lui e Posh sono stati avvistati in giro per i ristoranti di Avenue Montaigne (stessa zona). Lei che indossava la collezione più “hot” della stagione – vale a dire Céline – e David equipaggiato dei suoi nuovissimi, fantastici capi a firma Louis Vuitton. Perché il suo nuovo miglior amico nel mondo della moda è il connazionale Kim Jones, stilista di menswear per il brand francese. Quando è stato presentato ai fan del Paris Saint-Germain, David indossava un abito Vuitton dal taglio stretch, camicia e cravatta – l’ideale, considerata la sua eccellente forma fisica. Mentre nei post-partita strizza evidentemente l’occhio all’iconografia LV girovagando per la Ville Lumière con il suo look più caratteristico: berretto aderente di lana, in questo caso in cachemire lavorato e con l’iconico motivo Damier, spesso indossato con una sciarpa dell’ultima collezione della maison, con le stampe dei fratelli Chapman.
Insomma: anche un globetrotter come lui, a conti fatti, si rivela tipicamente “british”: David Beckham approda a Parigi e finisce per preferire gli abiti disegnati da un inglese. 

Testo Godfrey Deeny