Leonardo Di Caprio e il meritato Oscar, Dylan e il Nobel, Obama dopo 8 anni come Presidente degli Stati Uniti: ecco tutti gli uomini che hanno cambiato il 2016

Sono diventati simboli, chi di un paese intero, chi della rivincita umana; hanno cambiato e stanno cambiando i destini di molti, scrivendo nuovi capitoli nei rispettivi campi; hanno dimostrato, in un tempo di insicurezza storica e di genere, che essere uomini vuol dire accettare di avere delle debolezze, ossessioni, e che il talento sta nel trasformarle in arte, benzina nel motore, sublimandole. Sono gli uomini più importanti del 2016, selezionati da Icon.

Leonardo Di Caprio: è stato l’anno del tanto atteso (e meritato) Oscar. E forse non era neanche per la sua interpretazione migliore (come dimenticare lo smacco del Lupo di Wall Street?) ma alla fine poco importa. Il quarantenne con la faccia da eterno ragazzino è salito sul palco per ritirare la statuetta come miglior attore protagonista di Revenant. Ma non solo alla sua carriera, si è dedicato Di Caprio. Da sempre convinto sostenitore delle cause ambientaliste, ha presentato il documentario Before the Flood, progetto da lui fortemente voluto e sostenuto. Una serie di incontri dell’attore con famose personalità, teso ad evidenziare il pericolo dei cambiamenti climatici, ne ha inviato una copia a Ivanka Trump, figlia di un neo presidente da sempre molto dubbioso sulla questione. In cantiere progetti con Martin Scorsese, di cui è ormai attore feticcio, e Clint Eastwood, Leo non ha alcuna intenzione di sparire dalle scene.

Nico Rosberg: chi invece si ritira, e non poteva scegliere un momento migliore per farlo, è Nico Rosberg. Un’uscita di scena che aveva fatto trapelare nella sua intervista su Icon di Novembre, una promessa mantenuta. Pochi giorni dopo aver guadagnato il titolo di campione nella Formula 1 a bordo della Mercedes, ha annunciato su Facebook l’uscita dalle scene. Il 31enne tedesco ha tenuto alto l’onore di famiglia, vincendo lo stesso titolo del padre Keke (campione del mondo 1982) con lo stesso numero di maglia, il 6. E ora si prepara a realizzare nuovi sogni. I migliori vanno via quando la festa è al culmine. 

Jonathan Safran Foer: suo il caso editoriale dell’anno. L’autore di Molto forte, incredibilmente vicino e Se niente importa, saggio a difesa del vegetarianesimo che mette in luce le pratiche aberranti degli allevamenti intensivi, ha dato alle stampe quest’anno Eccomi. Undici anni dopo l’ultimo libro, lo scrittore e professore di scrittura creativa all’Università di New York racconta i dissidi borghesi di una coppia newyorchese ebraica, nell’arco di quattro settimane, l’invasione di Israele come spettro. Accolto con entusiasmo dalla critica, che l’ha definito il suo romanzo più bello, Safran Foer è però personaggio discusso. Tra chi lo vede come l’erede di Roth, e chi come uno degli scrittori più sopravvalutati del nuovo secolo, il suo impatto sulla letteratura torna ad essere, come undici anni fa, devastante.

Bob Dylan: il ‘menestrello di Duluth’ di aver avuto un impatto sulla letteratura non se lo sarebbe mai immaginato, almeno a quanto sostiene il Guardian, a cui ha concesso l’unica intervista dopo la proclamazione. Ed era l’unico, visto che quest’anno è stato insignito proprio del Premio Nobel, per aver creato una nuova forma di narrativa attingendo alla tradizione del folk americano. Un premio intorno al quale si è scatenato un casus belli, che ha visto scrittori impegnati a difendere la supremazia della parola scritta su quella cantata. Battaglia inutile, considerato che Dylan, passato in cinquant’anni di carriera dal folk alla musica elettrica a quella cristiana non si è mai dato troppa pena dell’opinione altrui, fossero detrattori o fan che l’avrebbero sempre voluto uguale a se stesso, nella mente ancora il ragazzino di vent’anni che ha scritto Blowin’ in the wind. A ritirare l’onorificenza non è andato, a rappresentarlo Patti Smith che ha cantato A Hard Rain’s gonna fall insieme ad un discorso di ringraziamento che ha messo a tacere, senza troppe parole, chi lo ha accusato in questi mesi di snobismo. In pieno stile Dylan.

Tom Ford: la conferma, il talento poliedrico. Dopo sette anni dal suo A single man, acclamato esordio alla regia, lo stilista texano ha mostrato che essere dietro la macchina da presa non è solo un passatempo da designer annoiato dai lustrini. Con il suo Nocturnal Animals, noir dai molteplici piani narrativi interpretato da Amy Adams e Jake Gyllenhaal, ha conquistato Venezia, che gli ha conferito il premio della critica. Meno estetizzante del primo, è insindacabile che il talento di Ford sia declinabile con la stessa agevolezza in più campi. E come tutti gli uomini davvero eleganti, lo sforzo è sapientemente nascosto.

Jude Law: il suo ruolo più bello dopo Il talento di Mr. Ripley. Una stella che torna a brillare, quella di Jude Law. E dietro c’è lo zampino di un italiano. Perché a dirigerlo in The Young Pope, serie prodotta da Sky, incentrata sulla vita di Lenny Belardo, immaginario primo papa americano, è nientemeno che Paolo Sorrentino. Un ruolo difficile, teatrale, eccessivo, eppure umano, tremendamente umano, quello del pontefice dilaniato dai dubbi e apparentemente tirannico, versione adulta di un bambino abbandonato dai genitori, a cui Jude Law ha conferito carattere, simpatia, uno humor crudele e inglese. Una interpretazione che lo ha riportato nell’empireo degli attori più dotati della storia contemporanea, per farcelo rimanere. 

Alessandro Michele: da Cenerentola a reginetta del ballo. La sua avanzata, iniziata un anno fa, non sembra fermarsi. Proclamato ai British Fashion Awards di qualche giorno fa come miglior designer di accessori, lo stilista di Gucci continua a sfidare i paradigmi costituiti, e nello stesso tempo, a far salire i profitti del marchio. Salito alla direzione stilistica in fretta, per rimpiazzare una Frida Giannini in uscita, ha rivoluzionato l’estetica di un marchio, portandola più vicina all’eterogeneità e alla complessità dell’uomo contemporaneo, introducendo con leggerezza anche questioni sociali come la fluidità di genere. Un risultato arrivato dopo undici anni in seconda linea. A dire che la perseveranza paga, (quasi) sempre.

Alex Zanardi: cinquant’anni e non sentirli. Iron man, a dimostrazione che non esistono ostacoli che il corpo (pur nelle sue limitazioni) e la volontà umana non possano sconfiggere, ha festeggiato il cinquantenario andandosi a prendere le medaglie delle Paralimpiadi di Rio de Janeiro ( primo posto nel Cronometro H5  e nella Staffetta mista). Esempio tricolore di etica, sportività, lealtà, abbinate alle vittorie umane e atletiche che continua ad elencare nel suo curriculum, Zanardi è semplicemente l’evoluzione dell’uomo. Quella nella quale non servono le gambe, basta il cuore. E magari la preparazione atletica.

Paolo Pellegrin: doveva diventare architetto, e poi la fotografia. Una storia di seconde vite, seconde scelte e talento da primo della classe, quella di Paolo Pellegrin. Doveva laurerarsi in Architettura alla Sapienza, poi abbandona l’università, e sceglie la fotografia. Entra nella Magnum nel 2001. Riconosciuto come uno dei migliori fotoreporter di guerra, quest’anno il New York Times gli dedica un volume monografico, nel quale Paolo illustra per immagini la terribile avanzata dell’ISIS in Iraq e Afghanistan. Uno sguardo il suo, delicato eppure violento, che restituisce la difficoltà dei tempi moderni, senza fare sconti a nessuno.

Barack Obama: alla fine del suo mandato, otto anni che hanno cambiato il volto dell’America, guidata per la prima volta da un uomo di colore, è lecito affermare che nessun presidente è mai stato così pop, nel senso di popolare, contemporaneo, cool. Ha sdoganato i daddy jeans, ha usato prima e meglio di tutti i social, ha affabulato un continente con un racconto sapientemente dosato, mai eccessivo, ma sempre incisivo. A far breccia nel cuore della gente la sua ostentata e forse studiata normalità, quella di un padre di due figlie adolescenti, marito di una donna volitiva da lui molto amata,  con i tempi comici perfetti. Non solo il Presidente degli Stati Uniti d’America, ma il vicino di casa che tutti avrebbero voluto, per una grigliata in giardino la domenica. Lascia un’America diversa, nel bene e nel male, consapevole però di aver raggiunto degli obiettivi che mai nessuno prima di lui: essere Presidente, e farlo sembrare persino divertente.