Sono i denim più iconici del momento con i loro dettagli che li rendono unici

Tutti la chiamano la gioielleria. È una stanza larga, luminosa, parecchio piena, dove i tesori sono brillanti e piccoli e sembrano non finire mai: cassetti di bottoni smaltati con finiture a prova di microscopio e poi rivetti a mucchi, fino al tappeto colorato di etichette in cavallino che si stende davanti all’uscita. Hanno le lettere montate in modo artigianale, a una a una, così anche il nome del brand diventa elastico e non compromette nemmeno in un angolo minuscolo la vestibilità dei capi. Non è un vezzo, né un preziosismo esagerato o fine a se stesso: della ricerca spasmodica di un comfort estremo, della cura e del pregio dei dettagli, Jacob Cohën si è fatto portavoce dall’inizio. Da quando ha deciso di irrobustire con un paradigma inedito la già solida tradizione dei jeans. Di realizzarli, ancora prima pensarli, con lo stesso rigore e riguardo di un abito d’alta sartoria.

UNA SCOPERTA INFINITA – Ecco perché lo stabilimento di Adria, a est di Rovigo, ha poco o niente d’industriale: mantiene tempi e riti di un atelier moderno, dove alcuni artigiani si tengono accanto una radio che sparge in sottofondo musica pop e a volte picchia duro a suon di bassi di dance. Ago e filo, d’altronde, non fanno rumore. «Parliamo a chi fugge dallo stile formale. A chi vuole sdrammatizzare il concetto del vestire, ma non si accontenta di un cinque tasche qualsiasi. Anche perché, specie se è abituato a un pantalone tailor-made, troverà un jeans ordinario piuttosto stretto», spiega Marco Tiburzi, direttore commerciale e marketing del marchio ed enciclopedia vivente del denim. Un padrone di casa gentile e appassionato, capace di spendere ore intere a magnificare prodigi, sfaccettature e meraviglie di questo materiale vivo, in continua evoluzione: «Potenzialmente infinito. E che a ogni lavaggio scrive una pagina nuova della vita di chi lo indossa».

Da Jacob Cohën s’imposta solo il primo capitolo, il look del debutto, lavorando a ritroso, per sottrazione, come uno scultore con il suo blocco di marmo: il denim di base è denso, compatto nel colore, qui lo si rende a tratti più chiaro, lo si invecchia con pietra pomice, passaggi a base di enzimi naturali, sabbiature, graffi di carta vetrata, persino grazie a una particolare durezza dell’acqua. Si scava nei toni attingendo a una tavolozza anomala che partorisce un effetto provvisorio: continuerà a cambiare, a sembrare più vero, con l’uso quotidiano.  

INCASTRI PERFETTI –  I denim scelti da Jacob Cohën sono soprattutto giapponesi e americani, i più pregiati, mentre le lane e i cotoni arrivano dai migliori distretti italiani. Tutti sono figli di un dialogo costante con i fornitori, che spesso porta alla nascita di materiali esclusivi: «Andiamo a prendere il meglio dove c’è il meglio», commenta Tiburzi mostrando giacche, trench e altri capi che rappresentano l’evoluzione del brand e ne mantengono intatto il Dna per qualità, ricerca, linee. Così originali, così unici ed elaborati, da essere raccontati con un bonus di fierezza: «Nemmeno smontandolo in tanti piccoli pezzi qualcuno potrebbe copiare, rifare identico un nostro jeans», dice Giuseppe Michielon, responsabile della modelleria e dello sviluppo, mentre traffica con grosse stampanti e complessi programmi su un computer. Spiega che una taglia non è una semplice riduzione o aumento in scala di un’altra, ma il frutto di uno studio attento, fino al millimetro. Ciascun pantalone è una combinazione di misure precisissime, cuciture qui spesse e lì sottili, disegni fatti con un filo e poi tasche, passanti e parti che combaciano.

LEZIONE DI VITA – Non servirebbe nient’altro, ma in aggiunta c’è un pizzico di glamour che non guasta: ai pantaloni è abbinata una pochette che in qualche modo ne riprende i toni o la stampa. I jeans, in origine, erano un capo da lavoro e chi li indossava teneva in tasca uno straccio per asciugarsi il sudore. Succede anche nel film Il gigante, l’ultimo di James Dean; così si è deciso di trasformare tale lembo d’altri tempi in un accessorio di stile che, alla lunga, è stato apprezzato, collezionato e ostentato dai clienti, inclusi vip, politici, imprenditori e star di Hollywood, innominabili per ragioni di privacy. Ma bastano i loro ordini, così come qualsiasi altro ordine, a ricompensare il lavoro di un gruppo che sta portando avanti con passione l’eredità di Nicola Bardelle, anima creativa del brand scomparsa tragicamente un anno fa. Il principio guida non è cambiato, d’altronde: è racchiuso in un motto appeso dietro una scrivania della Giada Spa, l’azienda che ha in licenza il marchio Jacob Cohën. È scritto in inglese e si traduce così: «Vai a dormire con un sogno, ma svegliati con uno scopo». Ovvero: desidera grandi cose, quindi impegnati per realizzarle.