Tommaso Sacchi: “Cara Cultura, andrà tutto bene perché lo faremo andare”
Foto: Marlin Dedaj

Tommaso Sacchi: “Cara Cultura, andrà tutto bene perché lo faremo andare”

di Giacomo Alberto Vieri

Assessore alla Cultura, Moda e Design, è il volto (e voce) della nuova Firenze. Una città che deve affrontare con coraggio le conseguenze della crisi sanitaria. E che vuole farlo attraverso il suo immenso patrimonio artistico. Con lo sguardo rivolto al futuro.

Classe 1983, milanese, in carica all’assessorato di Cultura, Moda e Design nella culla del rinascimento, descrivere Tommaso Sacchi non è affar semplice. Attento alle esigenze sociali e alla (ri)nascita culturale di movimenti e associazioni del territorio, in cerca di continue sinergie trasversali, oggi si trova a fare i conti con una città economicamente vessata dall’improvvisa mancanza di turismo, un’offerta culturale depotenziata – ma alla continua ricerca di nuove strade per emergere e darsi voce – e la voglia di riabbracciare al più presto, con le opportunità che porterà con sé, la propria forma di Futuro.

Abbiamo fatto una chiacchierata con lui: sull’Arte, Tik Tok e anche… la paura.

Innovativo, giovanissimo, alla guida del programma culturale di una città dal passato antichissimo: come vede oggi Tommaso Sacchi il futuro artistico e creativo di Firenze?
Firenze è da sempre una grande fucina di innovazione e contemporaneità. Sbaglia chi crede che sia una città vocata solo al passato o che si crogiola sui fasti di un tempo che fu e che non può tornare. In questi anni, nel mio lavoro prima come responsabile delle politiche culturali del sindaco Dario Nardella e poi come Assessore alla cultura, ho cercato da un lato di mettere a sistema la grande ricchezza di imprese culturali di cui la città è ricchissima e dall’altro di sperimentare nuove vie di racconto di Firenze, per esempio valorizzando il contenuto contemporaneo attraverso il lavoro con il museo Novecento, Palazzo Strozzi, le Murate, le grandi mostre di arte pubblica che hanno visto alternarsi grandi protagonisti come Jan Fabre, Gormley, Penone, Urs Fischer, Jeff Koons, attualmente Liu Ruowang (in collaborazione con le Gallerie degli Uffizi) e i suoi ‘lupi’ in due tra i più suggestivi spazi della città come piazza Pitti e piazza Santissima Annunziata. Nel futuro vogliamo continuare a investire su questa strada ancora con maggior convinzione.

Si fa (ancora) un gran parlare della visita di Chiara Ferragni agli Uffizi, del seguitissimo profilo TikTok del Museo. Qual è un buon compromesso, secondo Lei, fra contenuto e contenitore quando si parla di Arte? Il fine giustifica “il mezzo” oppure la questione è più complessa?
Una polemica che faccio sinceramente fatica a capire e anche sproporzionata. Un po’ di tempo fa, solo per fare un esempio, ho accompagnato in una visita fiorentina l’Estetista Cinica (Cristina Fogazzi), abilissima imprenditrice e straordinaria comunicatrice che ha fatto conoscere le nostre sale di Palazzo Vecchio ai suoi oltre 650 mila follower, un pubblico che con i metodi tradizionali avrei senza dubbio raggiunto con più difficoltà. La settimana dopo abbiamo ricevuto decine, centinaia di mail, messaggi e prenotazioni che facevano riferimento alla sua visita. Riuscire a coinvolgere nuovi visitatori, anche con pubblicità non convenzionali, mi pare soltanto positivo. Anzi, ho personalmente invitato Chiara Ferragni a tornare a Firenze, magari in musei a torto definiti “minori”, luoghi bellissimi e ricchi di storia e tesori artistico-architettonici che vanno promossi e valorizzati. 

Entriamo nel vivo, e nel personale, del suo rapporto con la città: la miglior qualità che apprezza di Firenze? E invece qualcosa che non le va – del tutto – a genio?
Tra le qualità metto al primo posto la veracità: Firenze è una città che a prima vista può sembrare poco accogliente ma dopo poco ti spiazza col suo calore, la sua umanità, la sua anima per nulla da cartolina ma assolutamente autentica. Un difetto? L’enorme orgoglio è croce e delizia dei fiorentini: è un grande, enorme valore finché non crea una miopia dettata dalla autoreferenzialità. Firenze può e deve dialogare con il mondo e mai chiudersi in se stessa.

Assessore, come può risollevarsi la Cultura da una pandemia e un’emergenza sanitaria globale che ha tolto lavoro e possibilità a migliaia di lavoratori nel nostro paese?
Teatri, cinema, musei, biblioteche chiusi. Ogni attività culturale sospesa. Durante il lockdown abbiamo vissuto una situazione allarmante da cui ancora oggi il mondo della cultura fatica a riprendersi. Fin dai primi giorni di marzo ho attivato, insieme ad altri undici assessori alla cultura delle principali città italiane, un tavolo permanente con il ministro Dario Franceschini: insieme abbiamo spinto per un decreto ‘cura cultura’ che ha avuto riscontri concreti nelle prime misure annunciate dal Mibact, come per esempio i 20 milioni di euro per il mondo dello spettacolo, del teatro, della danza, della musica, dei circhi, dei festival che sono esclusi dal Fus, e i 13 milioni di euro del diritto d’autore per musicisti e artisti sotto un certo reddito, un primo importante sostegno alle realtà più piccole e più fragili nel mondo dello spettacolo dal vivo, profondamente colpito dallo stop e dalle misure di distanziamento sociale ancora oggi necessarie. Sono convinto che continuando nel confronto e nel reciproco ascolto, lavorando seriamente e insieme, si riuscirà a salvare il settore e rilanciare la produzione culturale, dal cui destino dipende quello del Paese e delle nostre città.

Una curiosità: dove ha trascorso la quarantena? Si è mai sentito vulnerabile? Ha mai provato per un attimo… paura?
Sì, lo ammetto, ho avuto paura. Ci siamo trovati all’improvviso dentro una situazione del tutto nuova, più grande di noi, quasi impossibilitati ad agire. I primi giorni del lockdown sono stati stranianti. Ma fin da subito il mio lavoro non mi ha permesso lo scoramento: amministrare una città in una situazione così inedita e drammatica è stato un impegno totalizzante. Un impegno che continua, necessario e appassionante, e che mi sento chiamato a svolgere senza pause.

Andrà tutto bene: oltre alla retorica e alla naturale speranza, come si può concretamente aiutare i vari settori – nel caso specifico, la cultura – a rialzarsi da quello che abbiamo vissuto, e stiamo vivendo?
La cultura è senza dubbio, insieme al turismo, uno dei settori più penalizzati dalla pandemia. A Firenze ci siamo trovati di fronte a un ammanco di cassa di circa 200 milioni di euro del quale solo molto parzialmente avremo un ristoro da parte del Governo centrale e alcuni tagli sono stati inevitabili e dolorosissimi. Ma non siamo stati ad aspettare. A breve sarà pronto un Fondo di emergenza proprio per la cultura, un ‘recovery fund’ tutto dedicato alle imprese culturali che hanno sofferto questa crisi e che oggi si trovano in grandi difficoltà. Vogliamo essere al loro fianco per aiutarle a rialzarsi e per non far morire l’offerta e la vivacità culturale della nostra città, qualità che sono tra i motivi di orgoglio del mio lavoro da amministratore e che ci hanno anche fatto conquistare il primo posto in Europa tra le medie città del continente. Oggi questa offerta è parzialmente mortificata ma vorremmo che nei prossimi mesi tutti quegli enti, quelle associazioni, quelle istituzioni che sono il nostro fiore all’occhiello possano avere un fondo che inietta loro liquidità e fiducia. 

Nella gallery qui sotto, il servizio fotografico Italian Lockdown – The Forbidden Photographs realizzato da Marco Castelli a Firenze durante la quarantena. Un momento storico in cui la documentazione visiva risultava intrinsecamente ed esplicitamente compromessa, collocandosi sulla linea d’ombra dei divieti contestualmente imposti. Ma cosa determina la legittimità della figura del fotografo? Può l’occhio narrativo, in senso autoriale, riappropriarsi del diritto a un’analisi consapevole, senza dover ricorrere a letture e interpretazioni o, come sopra, a un riconoscimento legale quale il libero professionismo? In definitiva, cosa sancisce il discrimine tra il dovere di raccontare e la possibilità di farlo? Queste e altre riflessioni, oltre al bisogno incontenibile di documentare una fase storica – a detta di molti, senza precedenti – sono alla base di questo lavoro di Marco Castelli, fotografo che vive e lavora a Firenze. La sua ricerca si muove attraverso un profondo interesse per il contesto umano, utilizzando approcci differenti alle arti visive e alla comunicazione creativa. I suoi lavori sono stati esposti, premiati e pubblicati a livello internazionale.