In conversazione con Anicka Yi

In conversazione con Anicka Yi

di Maurizio Cattelan

Le opere dell’artista coreano-americana sono in mostra sino al 24 luglio al Pirelli Hangar Bicocca

Da quando conosco il suo lavoro avrei voluto essere invitato a cena a casa sua. Visitare la mostra Metaspore (al Pirelli HangarBicocca fino al 24 luglio), a cura di Fiammetta Griccioli e Vicente Todolí, non mi ha fatto cambiare idea. Le opere dell’artista coreano-americana (Seoul, 1971) coinvolgono tutti i sensi, specialmente quelli più trascurati dalle arti visive e prediletti in cucina, come olfatto e gusto. L’unione di colture batteriche e intelligenze artificiali ricorda il mondo tratteggiato da vecchi film di fantascienza, ma nelle sue opere la paura per l’ignoto è dissolta, trasformata in curiosità e occasione di incontro tra umano e non umano. Uscendo dalla mostra ci si sente piacevolmente contaminati e pronti per un futuro gelatinoso e interconnesso.

Un buon proposito che non riesci mai a mantenere.

Prendermi una pausa dal lavoro.

Raccontami il tuo rituale mattutino.

Un bicchiere d’acqua gigante, qualche integratore, esercizi di respirazione pranayama, 20 minuti di meditazione seguiti da leggeri esercizi di pilates ed esercizi per la densità ossea, colazione.

Cosa non manca mai nel tuo frigo?

Kimchi.

La cosa più interessante che hai ascoltato/guardato/letto ultimamente.

Il film Rockers di Theodoros Bafaloukos.

Cosa ti rende vulnerabile?
Dare vita è un atto di vulnerabilità.

Il panino perfetto.

Spam grigliata (un noto tipo di carne in scatola, ndr), alga nori e senape calda tra due pezzi di mochi grigliato.

Cosa è successo quando hai detto alla tua famiglia di voler essere un’artista?

La mia famiglia non ha sostenuto l’idea che diventassi un’artista. Hanno completamente rifiutato l’idea per molto tempo.

Parlami del momento più imbarazzante della tua vita.

Non c’è gara: l’inaugurazione della mia prima mostra personale nel 2009. Ero mortificata. Ero convinta che avrei dovuto smettere di fare arte seduta stante. Avevo la certezza che riunire i miei pensieri e le mie energie in quel modo fosse la cosa più sconsiderata e folle. Per settimane ho attraversato una profonda crisi esistenziale. E la notte dell’inaugurazione non ho chiuso occhio.

Qual è il tuo rapporto con la morte?     

Il mio rapporto con la morte è via via più amichevole: sto imparando ad abbracciare le piccole morti nella vita, la morte di un progetto, la morte di una relazione, per affrontare meglio il terrore della grande morte. 

Un sogno che poi è diventato realtà.

Contribuire con qualcosa di significativo per il mondo. Hai inventato la macchina del tempo: in che tempo viaggeresti? Non sono più sicura di credere in un tempo lineare, ma credo che mi piacerebbe assistere alla comparsa delle prime forme di vita sulla terra, quando i cianobatteri iniziavano a produrre ossigeno.

Photo @Kyle McBurnie